corrado973
24-09-2016, 11:37
Domani 25 settembre cade l'anniversario della nascita di questo grande astronomo. Nel forum è gia stato menzionato qui (http://www.astronomia.com/2012/09/06/determinazioni-astronomiche-della-velocita-della-luce/) perchè fu il primo a misurare la velocità della luce (sottostimandola comunque).
Aggiungo però il come si arrivò a tale determinazione che fu rivoluzionaria dal punto di vista filosofico perché liberò il campo dall’antica convinzione, tutta metafisica secondo la quale la propagazione dei raggi luminosi sarebbe stata istantanea, cioè avveniva a velocità infinita.
Nato a Aarhus, Jutland, il 25 settembre 1644, Ole Christensen Roemer studiò astronomia a Copenaghen con Erasmus Bartholin (1625-1698), matematico, fisico e medico, scopritore della doppia rifrazione della luce sulla calcite (carbonato di calcio) e della Sindrome di Patau, dovuta, come si scoprirà in tempi recenti, alla trisomia del cromosoma 13.
Roemer fu il primo ad applicare a un telescopio una montatura equatoriale; intuì il fenomeno dell’aberrazione della luce poi scoperto da Bradley; cercò di misurare la parallasse delle stelle; perfezionò il micrometro e costruì perfetti meccanismi che riproducevano il moto dei pianeti, collaborò all’acquedotto di Versailles. Più avanti negli anni, ebbe anche incarichi politici: si occupò della Zecca danese, fu borgomastro di Copenaghen nel 1705 e consigliere di stato l’anno dopo. Purtroppo dei suoi molti lavori non si è salvato quasi nulla: andarono distrutti nell’incendio che devasto Copenaghen il 21 ottobre 1728.
Decisivo per la sua vita fu l’incontro con l’abate e astronomo francese Jean Picard, che nel 1671 si recò all’Osservatorio di Copenaghen per organizzare una misura di longitudine con il metodo delle eclissi dei satelliti di Giove già immaginato dallo stesso Galileo e poi ripreso a Parigi da Giovanni Domenico Cassini.
Stabilire la longitudine in mare aperto era all’epoca un problema di importanza capitale per la navigazione, e quindi per i commerci e le operazioni militari. Picard capì subito che Roemer era un giovane sveglio e lo sollecitò a misurare i tempi delle eclissi del satellite Io, il più vicino a Giove. Il progetto si tradusse nell’osservazione di 140 eclissi compiute a Uraniburg, nell’isola di Hven, dove Tycho Brahe aveva costruito il suo osservatorio. Il giovane danese fece un lavoro fu così accurato che otto mesi dopo Picard lo convinse a trasferirsi all’Osservatorio di Parigi. Qui Roemer rimarrà per dieci anni, fino al 1681, quando tornerà in Danimarca in seguito a contrasti con Cassini, personaggio che non aveva certo un buon carattere. A Parigi ebbe invece la stima e l’amicizia di Huygens, a sua volta, manco a dirlo, in pessimi rapporti con l’astronomo italiano. Roemer aveva applicato ai denti delle ruote la curva chiamata epicicloide (quella descritta da un punto su una circonferenza che rotola su un’altra circonferenza fissa e sullo stesso piano) con il risultato che il profilo epicicloidale assicurava agli ingranaggi una perfetta trasmissione del moto. Huygens, che con gli ingranaggi aveva a che fare per il suo orologio a pendolo, era la persona più adatta ad apprezzare questa idea di Roemer.
La scoperta della velocità finita della luce fu un sottoprodotto delle accurate osservazioni delle eclissi dei satelliti di Giove fatte per la misura della longitudine: spesso nella scienza succede che gli effetti collaterali di una ricerca si rivelino più importanti dell’obiettivo primario della ricerca stessa. Messi di fronte alle tabelle di previsione delle eclissi e ai loro tempi effettivamente misurati al telescopi, Cassini, Picard e Roemer constatarono che c’era un errore sistematico: quando Giove era più lontano dalla Terra, i tempi reali ritardavano rispetto a quelli previsti. Anche Cassini prese in considerazione la possibilità che ciò fosse dovuto al fatto che quando Giove è più lontano la luce deve percorrere una distanza maggiore e quindi noi vediamo le eclissi con un certo ritardo, ma poi rigettò questa ipotesi non osando andare contro l’autorità della tradizione che voleva infinita la velocità dei raggi luminosi. Roemer invece si convinse che nelle tabelle delle eclissi si nascondeva la prova della velocità finita della luce. Nel 1676 predisse il ritardo che si sarebbe osservato in una eclisse di Io, e i fatti gli diedero ragione. Cassini aveva eseguito un magnifico e paziente lavoro di osservazione, ma il pregiudizio ideologico gli impedì di capire ciò che aveva osservato.
Una piccola videodimostrazione (https://www.youtube.com/watch?v=XNJw0B1o8cQ)
;)
Aggiungo però il come si arrivò a tale determinazione che fu rivoluzionaria dal punto di vista filosofico perché liberò il campo dall’antica convinzione, tutta metafisica secondo la quale la propagazione dei raggi luminosi sarebbe stata istantanea, cioè avveniva a velocità infinita.
Nato a Aarhus, Jutland, il 25 settembre 1644, Ole Christensen Roemer studiò astronomia a Copenaghen con Erasmus Bartholin (1625-1698), matematico, fisico e medico, scopritore della doppia rifrazione della luce sulla calcite (carbonato di calcio) e della Sindrome di Patau, dovuta, come si scoprirà in tempi recenti, alla trisomia del cromosoma 13.
Roemer fu il primo ad applicare a un telescopio una montatura equatoriale; intuì il fenomeno dell’aberrazione della luce poi scoperto da Bradley; cercò di misurare la parallasse delle stelle; perfezionò il micrometro e costruì perfetti meccanismi che riproducevano il moto dei pianeti, collaborò all’acquedotto di Versailles. Più avanti negli anni, ebbe anche incarichi politici: si occupò della Zecca danese, fu borgomastro di Copenaghen nel 1705 e consigliere di stato l’anno dopo. Purtroppo dei suoi molti lavori non si è salvato quasi nulla: andarono distrutti nell’incendio che devasto Copenaghen il 21 ottobre 1728.
Decisivo per la sua vita fu l’incontro con l’abate e astronomo francese Jean Picard, che nel 1671 si recò all’Osservatorio di Copenaghen per organizzare una misura di longitudine con il metodo delle eclissi dei satelliti di Giove già immaginato dallo stesso Galileo e poi ripreso a Parigi da Giovanni Domenico Cassini.
Stabilire la longitudine in mare aperto era all’epoca un problema di importanza capitale per la navigazione, e quindi per i commerci e le operazioni militari. Picard capì subito che Roemer era un giovane sveglio e lo sollecitò a misurare i tempi delle eclissi del satellite Io, il più vicino a Giove. Il progetto si tradusse nell’osservazione di 140 eclissi compiute a Uraniburg, nell’isola di Hven, dove Tycho Brahe aveva costruito il suo osservatorio. Il giovane danese fece un lavoro fu così accurato che otto mesi dopo Picard lo convinse a trasferirsi all’Osservatorio di Parigi. Qui Roemer rimarrà per dieci anni, fino al 1681, quando tornerà in Danimarca in seguito a contrasti con Cassini, personaggio che non aveva certo un buon carattere. A Parigi ebbe invece la stima e l’amicizia di Huygens, a sua volta, manco a dirlo, in pessimi rapporti con l’astronomo italiano. Roemer aveva applicato ai denti delle ruote la curva chiamata epicicloide (quella descritta da un punto su una circonferenza che rotola su un’altra circonferenza fissa e sullo stesso piano) con il risultato che il profilo epicicloidale assicurava agli ingranaggi una perfetta trasmissione del moto. Huygens, che con gli ingranaggi aveva a che fare per il suo orologio a pendolo, era la persona più adatta ad apprezzare questa idea di Roemer.
La scoperta della velocità finita della luce fu un sottoprodotto delle accurate osservazioni delle eclissi dei satelliti di Giove fatte per la misura della longitudine: spesso nella scienza succede che gli effetti collaterali di una ricerca si rivelino più importanti dell’obiettivo primario della ricerca stessa. Messi di fronte alle tabelle di previsione delle eclissi e ai loro tempi effettivamente misurati al telescopi, Cassini, Picard e Roemer constatarono che c’era un errore sistematico: quando Giove era più lontano dalla Terra, i tempi reali ritardavano rispetto a quelli previsti. Anche Cassini prese in considerazione la possibilità che ciò fosse dovuto al fatto che quando Giove è più lontano la luce deve percorrere una distanza maggiore e quindi noi vediamo le eclissi con un certo ritardo, ma poi rigettò questa ipotesi non osando andare contro l’autorità della tradizione che voleva infinita la velocità dei raggi luminosi. Roemer invece si convinse che nelle tabelle delle eclissi si nascondeva la prova della velocità finita della luce. Nel 1676 predisse il ritardo che si sarebbe osservato in una eclisse di Io, e i fatti gli diedero ragione. Cassini aveva eseguito un magnifico e paziente lavoro di osservazione, ma il pregiudizio ideologico gli impedì di capire ciò che aveva osservato.
Una piccola videodimostrazione (https://www.youtube.com/watch?v=XNJw0B1o8cQ)
;)