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Red Hanuman
30-09-2014, 22:36
Le simulazioni mostrano una morte insolita per le stelle antiche


Sommario:
Alcune stelle primordiali - tra 55.000 e 56.000 volte la massa del nostro sole, o masse solari - potrebbero essere morte in modo insolito. Morendo, questi oggetti - la prima generazione di stelle dell'universo - sarebbero esplosi come supernovae e bruciati completamente, senza lasciare un buco nero residuo alle loro spalle.

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Questa immagine è la sezione lungo l'asse di simmetria dell'interno di una stella supermassiccia di 55.500 masse solari. Essa mostra l’interno del nucleo di elio in cui la combustione nucleare converte l’elio in ossigeno, alimentando varie instabilità del fluido (linee vorticose). Questa "istantanea", ricavata da una simulazione CASTRO, mostra un momento del giorno dopo l'inizio dell'esplosione, quando il raggio della superficie esterna sarebbe leggermente superiore a quello dell'orbita della Terra intorno al sole. Le visualizzazioni sono stati fatti con VisIT.
Credit: Ken Chen, UCSC


Alcune stelle primordiali - quelle tra 55.000 e 56.000 volte la massa del nostro Sole, o masse solari - potrebbero essere morte insolitamente. Morendo, questi oggetti - la prima generazione di stelle dell'universo - sarebbero esplosi come supernovae e bruciati completamente, senza lasciare un buco nero residuo alle loro spalle.
Gli astrofisici dell’Università della California, Santa Cruz (UCSC) e dell'Università del Minnesota sono giunti a questa conclusione dopo aver eseguito una serie di simulazioni con supercomputer presso il Department of Energy's (DOE's), il National Energy Research Scientific Computing Center (NERSC) ed il Minnesota Supercomputing Institute (DOE) dell'Università del Minnesota. Hanno riposto ampiamente la loro fiducia su CASTRO, un codice astrofisica compresso sviluppato presso il DOE's Lawrence Berkeley National Laboratory's (Berkeley Lab's) Computational Research Division (CRD). I loro risultati sono stati recentemente pubblicati sulla rivista “Astrophysical Journal” (ApJ).
Le stelle di prima generazione sono particolarmente interessanti perché hanno prodotto i primi elementi pesanti, ossia elementi chimici diversi da idrogeno ed elio. Morendo, hanno inviato le loro creazioni chimiche nello spazio, aprendo la strada per le successive generazioni di stelle, sistemi solari e galassie. Con una maggiore comprensione di come queste prime stelle sono morte, gli scienziati sperano di cogliere alcune intuizioni su come l'Universo possa essersi sviluppato così come lo conosciamo oggi.
"Abbiamo scoperto che vi è una stretta finestra in cui le stelle supermassiccie potrebbero esplodere completamente, invece di diventare un buco nero supermassiccio - nessuno ha mai immagianto questo meccanismo prima", dice Ke-Jung Chen, un ricercatore post-dottorato presso l’UCSC ed autore principale del documento su ApJ. "Senza le risorse del NERSC avremmo impiegato molto più tempo per raggiungere questo risultato. Dal punto di vista dell'utente, l'impianto è gestito in modo molto efficiente ed è un luogo estremamente conveniente per fare scienza."


Le simulazioni: Cosa succede?


Per modellare la vita di una stella supermassiccio primordiale, Chen e colleghi hanno utilizzato un codice di evoluzione stellare monodimensionale chiamato Kepler. Questo codice prende in considerazione i processi chiave come la combustione nucleare e convezione stellare. Ed anche processi di foto-disintegrazione di elementi, produzione di coppie elettrone-positrone e gli effetti della relatività speciale, che sono rilevanti per le stelle massicce. Il team ha tenuto conto anche degli effetti della relatività generale, che sono importanti per le stelle sopra le 1.000 masse solari.
Essi hanno scoperto che le stelle primordiali tra 55.000 e 56.000 masse solari hanno vissuto circa 1,69 milioni di anni prima di diventare instabili a causa degli effetti della relatività generale, e poi hanno inizianto a collassare. Come la stella collassa, comincia a sintetizzare rapidamente elementi pesanti come ossigeno, neon, magnesio e silicio che utilizzano l’elio presente nel suo nucleo. Questo processo rilascia più energia dell'energia di legame della stella, arresta il collasso e provoca una massiccia esplosione: una supernova.
Per creare un modello dei meccanismi della morte di queste stelle, Chen e colleghi hanno utilizzato CASTRO - un programma di astrofisica compresso e multidimensionale sviluppato al Berkeley Lab dagli scienziati Ann Almgren e John Bell. Queste simulazioni dimostrano che una volta che il collasso è invertito, le instabilità di Rayleigh-Taylor mescolano gli elementi pesanti prodotti nei momenti finali della stella in tutta la massa della stella stessa. I ricercatori dicono che questo rimescolamento dovrebbe creare una firma osservabile e distinta, che potrebbe essere rilevata da imminenti esperimenti nel vicino infrarosso, come Euclide dell'Agenzia Spaziale Europea ed il Wide-Field Infrared Survey Telescope della NASA .
A seconda dell'intensità della supernovae, alcune stelle supermassicce potrebbero, una volta esplose, arricchire la loro intera galassia ospite e anche alcune galassie vicine con elementi che vanno dal carbonio al silicio. In alcuni casi, la supernova avrebbe potuto anche scatenare una raffica di formazione stellare nella sua galassia ospite, il che la renderebbe visivamente distinta da altre galassie giovani.
"Il mio lavoro consiste nello studiare le supernove di stelle molto massicce, comprendendo nuovi processi fisici al di là idrodinamica, così ho collaborato con Ann Almgren per adattare CASTRO per molti progetti diversi nel corso degli anni", dice Chen. "Prima di eseguire le mie simulazioni, io di solito penso alla fisica di cui ho bisogno per risolvere un particolare problema. Io poi lavoro con Ann allo sviluppo del codice e lo incorporo nella CASTRO. E’ un sistema molto efficiente."
Per visualizzare i suoi dati, Chen ha utilizzato un tool open source chiamato VisIt, che è stato realizzato da Hank Childs, già scienziato in forza al personale del Berkeley Lab. "La maggior parte delle volte ho realizzato le simulazioni de me, ma quando c'erano cose che avevo bisogno di modificare o personalizzare ho “sparato” a Hank una e-mail, ed è stato molto disponibile."
Chen ha completato la gran parte di questo lavoro mentre era uno studente laureando presso l'Università del Minnesota. Ha completato il suo dottorato di ricerca in fisica nel 2013.

Articolo originale QUI (http://www.sciencedaily.com/releases/2014/09/140929090559.htm).

Enrico Corsaro
05-10-2014, 15:30
Secondo me è un lavoro molto interessante e da un punto di vista fisico ha dell'incredibile. Pensare alla possibilità che siano esistite stelle di massa così grande è davvero impressionante, se consideriamo che quelle attuali non superano le 200 masse solari... Conoscere la fisica al loro interno è sicuramente di grande interesse per una maggiore comprensione della struttura ed evoluzione stellare, ma rimane il grande problema delle osservazioni che purtroppo sono del tutto inesistenti a conferma di questa tipologia di "mostri" spaziali.