Intervista a Ferdinando Patat, ricercatore presso ESO

La nuova rubrica inizia con l’intervista a Ferdinando Patat, astronomo all’ESO-Garching in Germania, al quale abbiamo rivolto alcune domande sull’affascinante mondo delle supernovae.

Biografia

Ferdinando Patat

Ferdinando “Nando” Patat

Nato a Udine nel 1966, dopo la maturita’ scientifica si iscrive all’Universita’ di Padova, dove si laurea in Astronomia nel 1992, con una tesi sperimentale sulle supernovae (SNe d’ora in poi). Nel 1993 inizia il dottorato di ricerca in Astronomia presso l’Osservatorio Astrofisico di Asiago. Nel 1994 gli viene offerta una studentship presso i quartieri generali dell’ ESO, dove completa la tesi di dottorato sotto la supervisione di John Danziger. Nel 1997 accetta una post-doctoral fellowship a sito La Silla dell’ESO, in Cile, dove lavora nei team dei telescopi da 2.2 metri e 3.6 metri. Nel 1999 entra a far parte dello staff internazionale di ESO-Garching presso cui, dal 2001, presta servizio come astronomo associato nello Users Support Department, dove svolge attivita’ di supporto per alcuni degli strumenti del Very Large Telescope (VLT – 8.2 metri).

Membro di numerose collaborazioni internazionali, della International Astronomical Union e della ESO Faculty, si occupa principalmente di supernovae nell’universo locale. Recentemente ha pubblicato su Science (volume 317, pagina 924 del 2007) i risultati di una ricerca sui progenitori delle SNe di tipo Ia, frutto di una vasta collaborazione che ha coinvolto ricercatori europei, americani e giapponesi.

Nel tempo libero si dedica all’archeoastronomia e suona il flauto traverso, ma per comprendere meglio il suo campo di ricerca gli abbiamo rivolto alcune domande alle quali ha prontamente risposto direttamente dal Paranal, durante una sessione osservativa, corredandole anche di alcune foto:

Le foto di Ferdinando Patat

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L’intervista

Ci puo’ parlare brevemente della storia delle SN, delle loro tipologie e per quale motivo sono cosi’ interessanti da studiare?

Lo studio delle SNe in epoca moderna inizia nel 1885, quando l’astronomo estone E. Hartwig scopre, nella galassia di Andromeda, un nuovo oggetto che viene indicato come S And. Poco dopo la scoperta, il suo spettro viene osservato visualmente e rivela delle caratteristiche mai viste prima: su un continuo molto brillante emergono delle bande in emissione, estremamente larghe e di natura ignota. Dieci anni dopo, un evento simile (Z Cen) viene scoperto nella galassia NGC 5253 e il suo spettro viene registrato su una lastra fotografica.

Dopo di allora, altri oggetti vengono scoperti sporadicamente e si deve attendere fino al 1927 per il passo successivo. L’astronomo tedesco W. Baade, avendo compreso che questi eventi dovevano essere ben diversi dalle piu’ note stelle novae, le chiama “hauptnovae” . Dopo aver superato lo scetticismo della comunità astronomica, Baade e lo svizzero F. Zwicky danno inizio alla prima ricerca sistematica presso il Caltech. Il termine Supernova (comunemente abbreviato in SN) fa la sua comparsa nel 1931, quando Zwicky comprende che questi oggetti hanno una luminosita’ pari a qualcosa come 10 miliardi di stelle come il Sole. Nel 1936 prende l’avvio la ricerca sistematica di SNe con lo Schmidt di monte Palomar, mentre nel 1937 R. Minkovski inizia lo studio spettroscopico di questi oggetti. Sulla base di questi dati, nel 1941, Baade e Minkowski introducono i tipi I e II, che si distinguono per l’assenza o la presenza di righe dell’idrogeno, rispettivamente.

A partire da allora, ma soprattutto dopo la scoperta della SN esplosa nella Grande Nube di Magellano (SN1987A), lo studio delle SNe ha conosciuto uno sviluppo sempre maggiore, tanto che al giorno d’oggi si scoprono oltre 350 nuovi eventi ogni anno. Cio’ ci ha condotti ad uno scenario piuttosto aggrovigliato. Anche se si ignorano ancora molti dettagli, il fatto fondamentale è che si hanno due meccanismi: l’esplosione termonucleare di stelle di piccola massa e il collasso gravitazionale del nucleo di stelle piu’ massicce. Il capitolo piu’ recente nella storia delle SNe riguarda l’utilizzo di una loro sotto-classe (le cosidette Ia) come indicatori di distanza su scale cosmologiche. E cio’ ha portato alla conclusione che
l’espansione dell’universo, contrariamente a quanto si credeva, ha probabilmente subito una fase di accelerazione.

A parte le implicazioni cosmologiche, di per se’ gia’ d’importanza fondamentale, lo studio delle SNe investe molti campi dell’astrofisica, come l’evoluzione stellare, la fisica del mezzo interstellare e l’evoluzione chimica delle galassie.

Quali strumenti dell’ESO vengono utilizzati per la loro indagine?

Una volta che una SN viene scoperta e classificata in base al suo spettro, e’ molto importante seguirne l’evoluzione in modo dettagliato per il maggior tempo possibile finche’, una volta che il materiale espulso si e’ espanso e raffreddato, l’oggetto non e’ piu’ osservabile. Le varie fasi dell’evoluzione vegono studiate a ESO utilizzando la gran parte dei telescopi e degli strumenti disponibili. Mentre le $fasi$ iniziali sono seguite con il 3.5m-NTT ed il 3.60m posti a La Silla, le epoche piu’ avanzate vengono generalmente coperte con i telescopi da 8.2m di Paranal.

Oltre ai classici studi fotometrico e spettroscopico (sia nell’ottico che nell’infrarosso), VLT permette ora l’utilizzo della $spettro$-polarimetria, che ci consente di ottenere informazioni sulla geometria dell’esplosione, un punto fondamentale nello studio di questi oggetti. Mentre la fotometria e la spettroscopia ci dicono come varia la luminosita’ e la distribuzione spettrale di energia con l’andare del tempo, la polarimetria ci consente di comprendere se una frazione (in genere molto piccola) delle onde elettromagnetiche emesse dalla SN oscilla su un piano ben definito. Anche frazioni dell’ordine di 1% indicano la presenza di asimmetrie o di disomogeneita’ nell’esplosione. Nessun altro metodo, nemmeno l’interferometria, e’ in grado di darci questo tipo di informazioni.

Purtroppo, questa tecnica richiede un segnale molto forte e, dunque, telescopi di grande diametro. Con l’entrata in funzione del VLT, equipaggiato con il versatilissimo FORS1 (vedi sito), questo studio e’ divenuto possibile, con un’accuratezza che non ha precedenti. L’avvento di VLT ha reso fattibile anche la spettroscopia ad alta risoluzione delle SNe, permettendo di studiare emissioni e/o assorbimenti molto deboli, legati al materiale circumstellare, e dunque fondamentali per capire la natura delle stelle che esplodono. Con telescopi della classe 4 metri questo tipo di analisi era proibitivo.

In generale, con l’entrata in operazione del VLT, gli astronomi europei che si occupano di SNe hanno potuto competere con i loro colleghi americani e, posso dire con orgoglio, batterli almeno su alcuni fronti. La polarimetria e’ certamemte uno di questi.

Le SN possono aiutare a risolvere la questione cosmologica?

Per poter essere usato come strumento cosmologico un certo oggetto astronomico deve soddisfare a due requisiti:

  • a) essere estremamente brillante
  • b) appartenere ad una classe omogenea (o almeno “omogeneizzabile”)

Non tutte le SNe soddisfano questi requisiti. Ad esempio, le SNe che si pensa derivino dal collasso gravitazionale di stelle massicce hanno proprieta’ molto variabili. Al contrario, gli eventi che si credono derivare dall’esplosione di nane bianche che accrescono materia da una stella compagna all’interno di un sistema binario (le cosi’ dette SNe di tipo Ia), mostrano caratteristiche molto simili, anche se non sono esattamente identiche. Inoltre, sono estremamente brillanti, tanto che durante la fase di massimo splendore (che ha luogo circa 20 giorni dopo l’esplosione) raggiungono una luminosita’ confrontabile con quella della $galassia$ a cui appartengono. Cio’ le rende visibili a distanze enormi, permettendo, almeno in linea di principio, di studiare la storia dell’universo fino ad epoche molto remote.

Il concetto e’ piuttosto semplice. Se si conosce la luminosita’ intrinseca dell’oggetto, si puo’ risalire alla sua distanza direttamente dalla luminosita’ apparente. Confrontando questa distanza con quanto ci si attenderebbe da un certo modello cosmologico (ad esempio quello dell’espansione libera) si puo’ tentare di distinguere fra varie possibilita’. Ed e’ stato grazie a considerazioni di questo tipo che due team di ricercatori sono giunti, indipendentemente, alla conclusione che l’universo ha attraversato una fase di accelerazione. A sua volta, questo ha portato al sospetto che possa esitere una forza di tipo repulsivo (gia’ introdotta da Einstein) o che vi sia un nuovo tipo di energia, di cui si ignora la natura e per questo indicata come “oscura”.

Va detto subito che tutto si regge sull’assunzione che le Ia che esplodono nell’universo locale siano identiche a quelle che esplodono a grandi distanze. Ma nessuno ce lo garantisce (in verita’, poche cose sono garantite in astrofisica). Per questo motivo e’ di importanza fondamentale comprendere come avvenga l’esplosione, che ruolo abbia la composizione chimica e via dicendo.

Tutte cose che, al momento, sono abbastanza oscure, ma che dovremo necessariamente chiarire prima di poter concludere a favore di uno scenario piuttosto che di un’altro.

Osservando la tavola periodica possiamo dire che non siamo solo figli delle stelle, ma soprattutto delle SNe?

Una stella “normale”, diciamo come il nostro Sole, sintetizza elementi pesanti a partire dall’idrogeno. Tuttavia, questi elementi restano confinati all’interno della stella e dunque non arricchiscono il mezzo interstellare. In alcuni casi, certe stelle perdono materiale dalla superficie con un meccanismo che viene detto vento stellare. In altri, le stelle perdono i loro strati superficiali all’attraversare la fase di nebulosa planetaria. Ma nel caso delle SNe, l’esplosione riversa istantaneamente nell’ambiente circostante grandi quantita’ di materiale, arricchendolo degli elementi pesanti. Questo gas, un giorno, andra’ a formare altri sistemi stellari, nei quali forse si formeranno dei pianeti che erediteranno la composizione chimica della SN.

A differenza del materiale perso attraverso i venti stellari, nel caso delle SNe il gas viene espulso ad altissime velocita’, superiori ad un decimo della velocita’ della luce. Questo provoca delle onde d’urto nel mezzo interstellare circostante, con importanti conseguenze sulla formazione di altri sistemi stellari e, in ultima analisi, di sistemi planetari. Per questo motivo non siamo troppo lontani dalla verita’ nel dire che il calcio delle nostre ossa ed il ferro del nostro sangue sono stati prodotti in una stella, e liberati nel mezzo interstellare tramite l’esplosione di una supernova. In astrofisica, per un motivo o per l’altro, e’ difficile evitare di fare i conti con le SNe.

Abbiamo dimenticato le Hypernovae?

Certo, questa e’ l’ultima specie che si e’ aggiunta al gia’ variegato zoo delle SNe verso la fine degli anni ’90. A partire dalla scoperta di SN1998bw (avvenuta tramite i telescopi di ESO), la connessione fra alcune SNe e un tipo di gamma-ray burst (GRB) e’ divenuta chiara, tanto che questo evento e’ spesso considerato come l’equivalente della stele di Rosetta.

Oltre ad essere associata ad un flash di raggi gamma, 1998bw ha mostrato delle proprieta’ senza precedenti in quanto a luminosita’ e a velocita’ del materiale espulso, che ha raggiunto velocita’ relativistiche. Per questo motivo si e’ iniziato a parlare di Hypernovae, visto che il prefisso “super” non pareva sufficientemente superlativo per descrivere queste nuove “bestie”. Da quel momento, le due comunita’ scientifiche, quella dei GRB e quella delle SNe, si sono avvicinate, portando a studi combinati. Come al solito, ma come e’ anche giusto che sia, ci ritroviamo ora con piu’ domande (e meno risposte) di prima.

Nella scoperta delle SNe gli astrofili sono molto attivi. In che modo possono contribuire?

Indubbiamente quello delle SNe e’ un campo dove gli astrofili possono dare un apporto significativo al progresso scientifico. Di fatto, circa un terzo delle SNe viene scoperto da astronomi non professionisti e, di solito, si tratta di oggetti “vicini” e quindi ben studiabili e dunque particolarmente “appetitosi” per gli specialisti. La diffusione dei CCD commerciali e della possibilita’ di controllare piccoli telescopi con un computer ha fatto fare un passo enorme alle potenzialita’ degli astrofili. Certo, ci vuole molta passione e pazienza. Due doti che, per fortuna, non mancano nel mondo amatoriale.

Informazioni su Gabriella Bernardi 75 Articoli
Laurea in Fisica e master in divulgazione scientifica, ha lavorato presso l’Alenia Spazio di Torino (missione Rosetta), passando poi a tempo pieno alla divulgazione scientifica, soprattutto nel campo astronomico. La sua attività principale è quella di giornalista freelance per riviste e periodici, anche on-line, che alterna con altre attività in campo divulgativo come la collaborazione alla realizzazione del Planetario e Museo dell’Astronomia e dello Spazio di Pino Torinese o l’attività di animatrice in piccoli planetari e mostre. Attualmente partecipa anche al programma di informatizzazione e digitalizzazione dell’archivio di lastre fotografiche dell’Osservatorio Astronomico di Torino. Recentemente le è stato assegnato il premio giornalistico per la divulgazione scientifica “Voltolino”.