
Rappresentazione artistica
L’asteroide (90) Antiope è noto da oltre 140 anni; era infatti il 1 ottobre 1866 allorché Karl Robert Luther lo individuò nel cielo di Dusseldorf, in Germania. Nel 2000, sfruttando la potenza delle ottiche adattive del Keck II, William Merline e il suo team annunciarono che Antiope, come appariva chiaramente dalle immagini del telescopio hawaiiano, non era un unico asteroide, bensì consisteva di due distinti oggetti in orbita reciproca.
A partire dal 2003, proprio per scoprire altri dettagli su quella curiosa coppia, l’asteroide venne nuovamente preso di mira dagli astronomi. Questa volta a interessarsi di Antiope furono i team di Franck Marchis (University of California, Berkeley) e di Pascal Descamps (Osservatorio di Parigi), che per le loro osservazioni utilizzarono principalmente il Very Large Telescope dell’ESO. La qualità delle osservazioni permise ai ricercatori di stabilire che le due componenti di Antiope erano più o meno delle stesse dimensioni (circa 86 chilometri di diametro) e orbitavano intorno al comune centro di massa in 16 ore e mezza, separate l’una dall’altra da soli 171 chilometri.
Ma, si sa, gli astronomi non si accontentano mai e quando Marchis e Descamps si accorsero che nel periodo compreso tra la fine di maggio e la fine di novembre del 2005 il sistema avrebbe mostrato agli spettatori terrestri un susseguirsi di mutue eclissi cercarono di coinvolgere nel nuovo progetto quanti più partecipanti possibile. Alla campagna osservativa aderirono non solo astronomi professionisti, ma anche semplici appassionati da ogni parte del mondo. Per sei mesi, dunque, osservatori di Francia, Cile, Brasile, Sudafrica e Stati Uniti rilevarono ogni minimo cambiamento di luminosità generato dalle ripetute occultazioni dei due oggetti inviando ai due astronomi i dati raccolti.
Quella insolita maratona osservativa, i cui risultati sono stati pubblicati sull’ultimo numero della rivista Icarus, ha permesso a Marchis e Descamps di definire con maggiore precisione le caratteristiche fisiche di Antiope. Le due componenti hanno grossomodo una forma ellissoidale e misurano rispettivamente 93,0 x 87,0 x 83,6 chilometri e 89,4 x 82,8 x 79,6 chilometri. La forma di entrambe, dunque, è molto prossima a quella che verrebbe loro imposta dalla mutua gravitazione se fossero di composizione fluida, una particolarità che ha fatto ipotizzare una struttura interna paragonabile a quella di un mucchio di detriti. Il calcolo della densità, poi, fornisce un valore di soli 1,25 grammi per centimetro cubo, un dato che, se assumiamo per Antiope una composizione analoga a quella delle condriti carbonacee, indica che per il 30% il volume dei due oggetti potrebbe essere in realtà spazio vuoto.
E’ pur vero che Antiope è un membro della cosiddetta famiglia di THEMIS – un numeroso e variegato gruppo di asteroidi che, stando a complesse ricostruzioni dinamiche, potrebbero essere i frammenti generati da una collisione asteroidale avvenuta 2,5 milioni di anni fa – ma le sue caratteristiche fisiche sono piuttosto problematiche. E non sarà certo un compito agevole capire come possa essersi originata una coppia così anomala.
Fonte: Coelum