In un recente articolo avevamo seguito l’approssimarsi della sonda Messenger al suo terzo flyby di Mercurio, dal quale avrebbe ricevuto un GA per poter entrare in orbita dopo un lungo giro intorno al Sole. Analizziamo insieme alcune foto del corposo album fotografico ottenuto!
Iniziamo dalla foto a fianco, che mostra una grande distesa di pianure lisce nella quale la densità dei crateri da impatto è minore rispetto al terreno pieno di crateri visibile sulla destra dell’immagine, sia in alto che in basso. La presenza di pochi crateri da impatto significa che queste pianure sono giovani rispetto al terreno più butterato. Malgrado la loro giovane età, le pianure sono state modificate pesantemente dalle forze tettoniche nella crosta di Mercurio, che hanno prodotto delle scarpate curve (cliffs, scogliere) e delle creste, dall’alto verso il basso nella foto. Le scarpate e le creste sono state create dalle fratture delle rocce vicine alla superficie, in risposta alle forze di compressione all’interno della crosta stessa.
Ecco una bellissima foto della zona compresa tra una fascia illuminata dal Sole al tramonto ed una già al buio, separate dalla linea di demarcazione chiamata terminatore. Come accade pure sulla Luna in corrispondenza del $terminatore$, appaiono illuminate le creste dei crateri ed i picchi eventualmente presenti al loro interno, circondati dal buio. E’ proprio in queste condizioni di luce radente che le foto permettono di calcolare l’$altezza$ delle caratteristiche geologiche.
Ecco la terza foto di una caratteristica peculiare di Mercurio, un’area molto luminosa, finora vista solo due volte: la prima volta è stata grazie ad un’osservazione telescopica da parte dell’astronomo R.Dantovitz, mentre la seconda era stata ottenuta dal Messenger nel corso del suo secondo passaggio ravvicinato di Mercurio il 6 ottobre 2008. Quella volta la zona luminosa appariva solamente al bordo visibile del pianeta, mentre ora è decisamente più in vista, circondata da pianure lisce e vicina ad una scarpata di un bacino ad impatto scoperto solo recentemente. Sorprendentemente, proprio al centro dell’alone bianco c’è una depressione irregolare, che potrebbe essere stata formata da processi vulcanici. Altre immagini a colori della zona evidenziano colorazioni differenti per la depressione e l’alone: proprio quest’area potrà essere osservata in dettaglio allorché la Messenger entrerà in orbita nel 2011.
Questa coppia di foto riprende la medesima scena più o meno alla stessa ora del giorno (mercuriano) in momenti differenti, rispettivamente in occasione del secondo e del terzo flyby. Nella foto più recente (quella a destra) il Sole è più radente e la sonda si trova nella verticale del luogo: la scarpata è sempre la stessa, ovviamente, ma nella seconda sembra addirittura più alta, per effetto delle ombre più lunghe. Sempre grazie all’illuminazione radente è possibile rilevare le altezze delle caratteristiche superficiali ed inoltre si possono vedere maggiori particolari sul bordo sinistro del cratere, che nella seconda foto appare decisamente più frastagliato.
Questa foto mostra un bacino di impatto molto particolare, a doppio anello, con un altro grande cratere di impatto nella parte meridionale. Altri crateri da impatto più recenti appaiono chiaramente nella foto e la superficie all’interno del cratere più interno e nell’anello circostante appare decisamente più liscia, probabilmente a causa di flussi lavici che hanno parzialmente riempito il bacino centrale qualche tempo dopo l’impatto. Questi bacini da impatto a doppio anello si formano quando un meteoroide grande colpisce la superficie di un pianeta roccioso.
Questo cratere dal fondo piatto è stato visto per la prima volta da un una posizione angolata nel corso di questo flyby, due ore dopo il massimo avvicinamento. Questo cratere è più giovane degli altri crateri vicini e di uguale ampiezza, aventi la caratteristica comune di un alone di crateri secondari più piccoli che si irradiano verso l’esterno della struttura principale. Molti di questi crateri secondari sono allineati in una formazione a catena, formatasi a causa di eiezioni di materiale, in una forma abbastanza comune sulla superficie di Mercurio: altre caratteristiche eiezioni sono quelle continue oppure a raggiera. Un’altra caratteristica ad eiezione si trova in questa foto in una zona di terreno più chiaro che si estende a NordOvest rispetto al cratere, ad indicare una probabile direzione dell’oggetto che ha impattato la superficie. Questo cratere, ancora senza nome, è parzialmente sovrapposto ad un cratere più piccolo situato a Sud e decisamente meno profondo.
Che la superficie di Mercurio sia ricoperta da una innumerevole coltre di crateri della più disparata forma, è un dato di fatto noto anche prima di questo sorvolo ed è il risultato di impatti avvenuti in miliardi di anni. Nella foto a fianco, all’interno del riquadro bianco è indicata una particolarissima formazione di crateri da impatto (ingrandita nella piccola porzione di destra) che sembra proprio l’impronta di una zampa di un animale gigante! Ecco infatti i quattro crateri in alto, disposti a raggiera, ad indicare le orme di altrettante dita di questa specie di Yeti mercuriano.
Anche gli scienziati della NASA hanno evidentemente uno spiccato senso dell’umorismo e visto il successo che sta avendo la missione, sono ampiamente giustificati! Tornando più seri, c’è da dire che non è possibile datare questi quattro crateri, l’uno rispetto agli altri, dal momento che non si sovrappongono.
Questo bacino da impatto ancora senza nome è stato visto per la prima volta in occasione di questo flyby: ha un diametro esterno di circa 260km ed ha una struttura a doppio anello tipica di bacini dal diametro maggiore di 200km. La superficie del bacino è formata da materiale levigato e piatto: solchi concentrici presenti in questo bacino sono tuttavia molto rari sulla superficie di Mercurio e la scoperta di tali caratteristiche superficiali di giovane età è di grandissimo interesse per il team di scienziati del Messenger. Si possono infine vedere piccole catene di craterini che si irradiano dal bacino e causati ancora una volta da eiezione di materiale a seguito dell’impatto che ha formato il bacino stesso.
Ecco un bellissimo primo piano di una parte di Mercurio mai fotografata finora e contenente una serie apparentemente sconfinata di pianure, bucherellate da pochi crateri, che si estendono fin oltre l’orizzonte visibile.
Questa foto ad alta risoluzione è il risultato di un fotomosaico di 62 foto.
In quest’ultima foto infine vediamo un altro bellissimo cratere doppio.
Aspettiamo dunque con pazienza il 2011, quando la sonda entrerà in orbita di Mercurio e ci regalerà una miriade di foto della superficie di questo pianeta, il più vicino al Sole.
Ho visto l’impronta….. finalemente abbiamo le prove della vita non solo fuori dalla terra, ma addirittura nel nostro sistema solare! 😀
Comunque, son molto belle queste immagini, grazie a tutto lo staff, oltre a Pierluigi!
Bellissime immagini 😀 … e articolo esauriente, come sempre ! 💡
Ma… a proposito di LCROSS, invece: sappiamo ancora nulla della presenza di acqua sulla Luna ? ❓ Spero che presto facciate un articolo al riguardo !
Bellissime immagini, i miei complimenti per il post! posso dare un consiglio? dovreste pubblicare i vostri articoli anche su twitter, credo che sia uno strumento che si integri alla perfezione con questo splendido sito.
saluti e complimenti ancora!
per quanto riguarda la sonda LCROSS bisogna attendere ancora: gli scienziati della NASA si sono riservati anche un mese per analizzare l’enorme mole di dati che la sonda ha inviato a Terra subito prima di schiantarsi sul suolo lunare. 😉
ma se è così vicino al sole quale temperaturà raggiunge di giorno la sua superficie, e come farà il messenger a resistere.
@vincenzo
la temperatura sulla superficie di Mercurio può variare da circa -150°C a più di 400°C a seconda se si è sul lato buio o quello direttamente illuminato dal sole.
Altra è la temperatura orbitale, quando il Messenger verrà appunto posto in orbita del pianeta. Anche in questo caso (anche se non saprei quantificarla) tutto dipende se la sonda sarà nel lato illuminato dal Sole oppure all’interno dell’ombra del pianeta: è stata però costruita appositamente per poter resistere ad alte temperature, completamente differenti da quelle che si possono trovare ad esempio intorno a Saturno, ben più lontano dal Sole.