Un granello di polvere svela i misteri di Giove

Nel 2006 la sonda Stardust riportò a terra particelle catturate dalla cometa Wild 2. Lo scopo era di studiare la composizione dei “fossili”più antichi del Sistema Solare, le comete, appunto. Nessuno poteva però supporre che sarebbero anche servite per datare la formazione di Giove.


La maggior parte delle comete che visitano le zone interne del Sistema Solare provengono dalla fascia di Kuiper, oltre l’orbita di Nettuno. Le prime analisi della Wild 2 avevano però svelato che su di essa non si trovavano solo particelle nate a bassa, ma anche ad alta temperatura, ossia provenienti da una zona ben più vicina al Sole. Anzi, queste erano la maggioranza.

Com’era possibile che un oggetto nato così lontano dalla stella contenesse materiale di origine completamente diversa? Sicuramente le particelle “calde” dovevano essere state trasportate verso l’esterno nelle prime fasi di formazione del Sistema Solare. Lo studio di queste particelle potevano, perciò, dare informazioni fondamentali sulla migrazione della materia da zone interne a zone esterne.

Un gruppo di ricerca dell’Università delle Hawaii ha misurato il rapporto tra due isotopi dell’allumino: il 26Al, radioattivo e che decade rapidamente, e il 27Al stabile. Questo rapporto è un orologio cosmochimico eccezionale per misurare l’età di eventi molto antichi. Il risultato ha dimostrato che la particella della cometa doveva essersi formata almeno tre milioni di anni dopo che si era “costruita” la prima particella solida del Sistema Solare interno.

Questo risultato implicava, però, un’altra conclusione che dava risposte importanti su un argomento molto controverso: la formazione di Giove. Le teorie correnti dicono che la crescita rapida di Giove implica una specie di barriera nel Sistema Solare, tale da bloccare qualsiasi passaggio di materia dalle zone più interne a quelle più esterne. La particella cometaria doveva, perciò, essere passata attraverso la zona di formazione di Giove PRIMA che esso si costruisse. Se ne deduce che anche Giove deve essersi agglomerato almeno tre milioni di anni dopo la formazione della prima particella solida del sistema solare interno.

Un microscopico frammento cometario ha gettato luce sulla storia evolutiva del più grande pianeta del Sistema Solare. Veramente sorprendente…

La cometa Wild ripresa dalla sonda NASA Stardust nel 2004

La cometa Wild ripresa dalla sonda NASA Stardust nel 2004

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5 Commenti

  1. Lo studio dell’Universo in fondo non è mai scontato! Molto spesso si ottengono risultati incredibili seguendo le vie più impensabili… 😉

  2. Mi fa riflettere la frase “Sicuramente le particelle “calde” dovevano essere state trasportate verso l’esterno nelle prime fasi di formazione del Sistema Solare.“.
    Dalle mie conoscenze base di fisica e astronomia, mi verrebbe da pensare che possano essere residuo della generazione di stelle precedente (come del resto lo siamo noi, e quindi nulla di strano se è la frazione più abbondante di materia)
    Sicuramente non sarà non è così, ma cosa ci rende sicuri di ciò?
    Perchè l’alta temperatura è sicuramente quella del nostro Sole e non della (super)nova che ha prcedentemente proiettato nello spazio interstellare questa materia?
    Grazie.

  3. piccola curiosità 🙂

    Mi spieghereste come missioni simili a quella della sonda stardust si svolgono??
    La sonda per recuperare quel piccolo frammento, lo ha preso dalla scia lasciata dalla cometa ?

  4. Perdonami Enzo, ma , forse non ho ben chiara la cosa, come dice Bertupg vi è stata sicuramente una supernova che ha preceduto la nostra nascita? Forse questa mattina ho un po’ di sonno.

  5. cari tutti,
    le supernove precedenti hanno inseminato lo spazio di elementi pesanti, ma non di granelli solidi. Quelli si sono formati durante la fase di accrescimento planetario e quindi per essere caldi dovevano stare vicini al Sole. Una supernova scoppiata mentre si accrescevano i pianeti e che abbia riscaldato il materiale esterno avrebbe portato a ben altre conseguenze…

    perfetto Nicolò