La carica dei bisonti

Una piccola grande storia che non dovrebbe mai ripetersi. Un piccolo grande uomo da cui si dovrebbe imparare molto.


I fucili sparavano un po’ ovunque. I colpi penetravano nella piccola testa di Agnello Dorato e lo trafiggevano con un dolore acuto ed insopportabile. Più che una sofferenza fisica era uno strazio mentale. Ogni colpo rappresentava un numero ed il giovane indiano contava senza smettere mai: duecento, duecentouno, duecentodue bisonti che si accasciavano al suolo, con la loro anima che saliva nel regno di Manitù. Agnello Dorato era sicuro che i bisonti avessero un’anima e che quei malvagi visi pallidi che scorrazzavano nelle praterie la cercassero per strappargliela. Ma non ci riuscivano perché essa saliva subito in cielo e loro erano costretti ad uccidere ed uccidere ancora. L’odio del piccolo indiano cresceva ad ogni colpo ed avrebbe voluto essere uno dei grandi capi di cui gli parlava il padre per poter comandare migliaia e migliaia di guerrieri pronti a seguirlo contro gli invasori.

Rimaneva però solo un sogno. Decimati, debilitati dalla fame, costretti in territori angusti e desolati non potevano fare altro che guardare la distruzione delle loro praterie, odiare con tutta la loro forza e piangere i grandi fratelli bisonti che si accasciavano al suolo senza vita. Non vi era più la leale e schietta battaglia condotta con l’arco e le frecce. Nei tempi passati la forza degli enormi animali poteva ancora esprimersi liberamente ed i cacciatori dovevano essere abili e veloci per avere la meglio. Il minimo errore e sarebbero stati stritolati dalla mandria: una vera lotta ad armi pari, in cui tutti rischiavano la vita. La battaglia però si fermava immediatamente quando le uccisioni erano sufficienti al proseguimento della vita della loro tribù. Non un bisonte in più del giusto. Poi l’amico-nemico ritornava a vivere in pace ed a brucare nelle praterie. La sua dignità era salva e così quella dei cacciatori. Così era stato e così doveva essere in un mondo dominato dal rispetto reciproco.

Quei vigliacchi venuti da lontano non sapevano niente di queste regole sacre: uccidevano per il puro piacere di distruggere l’anima, per strappare le corna dai bisonti più vecchi e possenti, per venderne le pelli, lasciando le carcasse in balia degli avvoltoi. Distruggevano la dignità e l’onore del nemico e lo trattavano come uno schiavo. Ma non vi erano schiavi tra gli esseri viventi del regno di Manitù. Agnello Dorato ogni tanto piangeva, da solo e ben nascosto. Non poteva farsi vedere dagli adulti e dalle donne. Ormai era un uomo ed un guerriero, avendo compiuto i dodici anni. Poi l’odio aveva il sopravvento e la sua ira diventava terribile. Doveva fare qualcosa, anche fosse stato solo contro tutti quei volti pallidi ed ignobili.

Andava spesso in quella piccola valle, nascosta tra le rocce multicolori ed invisibile da lontano. In quel silenzio ed in quella pace anche gli spari sembravano non esistere più e Agnello Dorato si illudeva di essere tornato indietro nel tempo. Sarebbe presto stato il capo di tutte le sue genti e avrebbe guidato i suoi uomini ed i suoi fratelli bisonti verso la vendetta. Avrebbe ricacciato ed ucciso gli invasori ed il suo popolo sarebbe vissuto in pace per sempre. Mentre quelle visioni gli passavano davanti fino a sembragli vere e concrete e gli occhi gli dolevano fino a lacrimare, si accorse di non essere solo. A pochi metri da lui c’era un enorme bisonte. Non ne aveva mai visti così grandi e così imponenti. Sembrava anche lui un grande capo e forse lo era ancora. Nei suoi grandi occhi si leggeva lo stesso dolore e la stessa rabbia.

Agnello Dorato non ebbe paura nemmeno per un istante, malgrado il grande animale lo sovrastasse e lo facesse apparire una nullità. Qualcosa li legava uno all’altro. Era sicuro che il bisonte lo stesse aspettando ed il grande piccolo indiano gli si avvicinò e mise la sua mano sulla gigantesca schiena del fratello. La pelle era liscia e sembrava risplendere ai raggi solari. Non c’era bisogno di parlare, si capivano perfettamente. Le loro pupille si incontrarono e misero in luce i sentimenti reciproci. Agnello Dorato vide negli occhi del grande capo le antiche praterie e le mandrie dei suoi fratelli. Scorse bambini allegri e battaglie furiose, ma leali. Vide fiumi e foreste, deserti e grandi eroi. E sentì un fremito incontenibile. Sicuramente l’enorme bisonte notò le stesse cose nei piccoli occhi del giovane indiano. Lesse la stessa disperazione e la stessa volontà di ribellione. Passarono pochi minuti silenziosi ed i due fratelli capirono cosa dovevano fare. Agnello Dorato saltò in groppa alla montagna di carne e muscoli tesa come un arco prima di scoccare la freccia. Il bisonte chinò la possente testa per aiutarlo a salire. Poi furono un tutt’uno di rabbia e determinazione.

Il giovane armò il suo arco con la freccia più bella che aveva, strinse forte le piccole gambe attorno al colosso e lanciò un urlo acuto e terribile. Immediatamente il grande animale partì di corsa a velocità sfrenata. Più veloci delle volpi e delle aquile si lanciarono fuori dalla valle verso la prateria che si apriva davanti. Era immensa ed in lontananza si sentivano gli spari che diventavano sempre più nitidi e vicini.

Agnello Dorato si voltò e dietro di lui vide distintamente una mandria enorme, infinita. Ogni bisonte aveva in groppa un guerriero. Riuscì a scorgere tutti i grandi capi del passato e tutti avevano l’arco teso, pronto a lanciare la freccia più bella e precisa. Un grande sorriso inondò il suo volto ancora infantile. Gli spari erano ormai vicinissimi ed il piccolo indiano che guidava quella carica inarrestabile vide il terrore negli occhi dei vigliacchi che stavano facendo strage di bisonti. Li vide chiedere pietà, ma lui non ne aveva più per nessuno ed i suoi occhi erano spietati. Sentì gli spari e le urla.

Nel momento della vittoria sentì perfino un magnifico calore interno, il segnale con il quale Manitù lo stava incoronando capo supremo, liberatore delle sue genti. Ebbe tanta gioia da piangere lacrime di sangue. Anche il grande bisonte si inchinò in segno di rispetto toccando il terreno col capo e lanciando un urlo profondo ed immenso. Sentirono entrambi il tepore ed il profumo del terreno. Ebbero in bocca quella terra polverosa, che aveva un sapore meraviglioso, misto a quello acre del sangue dei nemici sconfitti.

I piccoli grandi occhi di Agnello Dorato infine si chiusero, ma le sue braccia rimasero ben strette attorno al collo dell’enorme fratello bisonte. Poi fu solo un sogno infinito di libertà e purezza …

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5 Commenti

  1. Bellissimo racconto che mette in evidenza uno dei più grandi delitti dei bianchi. 😀

  2. il sentimento che mi rimane nel leggere questo racconto è davvero di libererazione e verità.
    grazie Enzo!

  3. Che bellissimo racconto Enzo !
    In un breve racconto hai descritto chiaramente il senso di grave ingiustizia che viene sconfitta dalla forza della ribellione del piccolo indiano e del bisonte perseguitato. L’immagine viva di quanto si va leggendo in poche righe è tutto merito della tua espressionalità.
    Complimenti! 🙂 😉

  4. @tutti,
    grazie ragazzi…in effetti lo sentivo veramente. Ed il triste ed ovvio finale si stempera nel sogno di Agnello Dorato.

  5. molto affascinante e scrupolosamente intenso atto ad indicare il “genocidio”di un popolo molto fiero di cui la “cultura bianca”dovrebbe fare tesoro di tali insegnamenti.mytakuye oyasin in linguaggio sioux siamo tutti fratelli! 😉