Supernovae, fari cosmici attendibili

Un recente studio spiega le variazioni osservate tra differenti supernovae di tipo I e conferma la loro affidabilità quali indicatori di distanze cosmiche.


Supernovae

Una Supernova

Lo show pirotecnico conclusivo di una stella, l’esplosione di supernova, rovescia tutt’intorno talmente tanta energia da rendere l’evento visibile persino se avviene nelle profondità del cosmo. Per qualche settimana, infatti, la luminosità della supernova uguaglia quella dell’intera galassia che la ospita, dunque riesce a rivaleggiare con la luce emessa da miliardi di stelle. Da tempo gli astronomi sanno che, riuscendo a valutare in modo univoco questa emissione luminosa, avrebbero su un vassoio d’argento un perfetto strumento in grado di fornire la misura della distanza di quelle galassie.

Purtroppo, però, ci sono troppe incertezze. Anche limitandoci a considerare solo una classe particolare di supernovae, quelle di tipo I, dobbiamo fare i conti con la difficoltà di determinare la loro luminosità assoluta. Pur essendo tutte quante figlie dello stesso meccanismo – il collasso di una nana bianca con massa pari a una volta e mezza quella del nostro Sole – e dunque disponendo in teoria dello stesso quantitativo di energia, mostrano livelli di luminosità troppo variabili per non lasciare qualche dubbio. E’ proprio per tale difficoltà nella loro calibrazione, dunque, che le supernovae non lasciavano tranquilli i cosmologi che le impiegavano come candele-campione.

Uno studio pubblicato all’inizio di febbraio su Science, però, sembra rimuovere molte di queste perplessità. Gli autori, ricercatori del Max Planck Institute for Astrophysics e dell’Istituto Nazionale di astrofisica (primo firmatario dello studio è in nostro Paolo Mazzali), hanno preso in considerazione 20 supernovae di tipo I seguendone l’evoluzione per alcune settimane. I dati fotometrici e spettroscopici, uniti a complesse simulazioni numeriche, hanno permesso ai ricercatori di scoprire la possibile causa delle differenze di luminosità osservate. Tutto dipenderebbe dalla quantità di nickel a disposizione della supernova: una maggiore disponibilità di nickel corrisponderebbe a una più elevata luminosità.

In altre parole, la differente disponibilità degli elementi prodotti dai meccanismi di fusione nucleare della stella si manifesterebbe con un differente grado di luminosità della supernova. In particolare, la presenza di grandi quantità dell’isotopo 56 del nickel sarebbe responsabile, in seguito al suo decadimento radioattivo, di una maggiore luminosità, mentre questo non si verificherebbe con altri elementi, per esempio con il silicio. Insomma, l’energia a disposizione della supernova sarebbe sempre la stessa, ma sarebbe la composizione chimica della stella a rendere un’esplosione più brillante di un’altra.

Se le cose stanno così, allora, la calibrazione delle supernovae di tipo I non sarebbe più così problematica e il loro impiego come indicatori di distanza offrirebbe sufficienti garanzie di affidabilità. I cosmologi ringraziano di cuore.

Fonte: Coelum

Informazioni su Stefano Simoni 644 Articoli
Di professione informatico, è nato e vive a Roma dove lavora come system engineer presso una grande azienda nel settore IT. E' l'ideatore e sviluppatore di Astronomia.com, portale nato dal connubio tra due delle sue più grandi passioni: "bit" e stelle. Da anni coltiva l’interesse per la progettazione e lo sviluppo di siti web aderenti agli standard e per il posizionamento sui motori di ricerca.

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1 Commento

  1. E’ un bellissimo sito anche se dovreste pubblicare qualcosa in più.Ciao.