L’asteroide Bennu rivela gli ingredienti della vita

La NASA presenta i primi risultati scientifici sui campioni dell’asteroide Bennu nei quali sono stati trovati acqua, minerali e composti organici. I risultati inaspettati hanno il potenziale di rivoluzionare il nostro approccio alla ricerca di vita extraterrestre nel Sistema Solare.


Settant’anni dopo l’ultima missione Apollo, un nuovo capitolo della scienza planetaria si è aperto con il ritorno sulla Terra di 121,6 grammi di regolite dall’asteroide Bennu.

I risultati della missione OSIRIS-REx annunciati mercoledì 29 gennaio dalla NASA, e pubblicati su Nature e Nature Astronomy, offrono uno sguardo senza precedenti sulla chimica primordiale del sistema solare. Tra minerali formatisi in brine alcaline, abbondanti composti organici e interrogativi sull’origine della chiralità della vita, Bennu si conferma una capsula del tempo di 4,5 miliardi di anni.  

Un viaggio tra passato e futuro  

La missione OSIRIS-REx (Origins, Spectral Interpretation, Resource Identification, Security-Regolith Explorer) ha impiegato sette anni per completare il suo obiettivo: partire dalla Terra nel 2016, raggiungere Bennu nel 2018, e riportarne un campione nel 2023. L’asteroide, un ammasso di detriti carbonacei largo 500 metri, è stato scelto per la sua composizione primitiva e il rischio di impatto con la Terra nel XXII secolo (1 probabilità su 2.700).  

Il momento critico è arrivato il 20 ottobre 2020 quando il veicolo ha sfiorato la superficie a 10 cm/s, sparando un getto di azoto compresso con il braccio robotico TAGSAM (Touch-And-Go Sample Acquisition Mechanism). L’operazione ha sollevato una nube di detriti, catturando materiale sia superficiale che subsuperficiale. Tre anni dopo, il 24 settembre 2023, la capsula è atterrata nel deserto dello Utah, protetta da uno scudo termico in carbonio e un paracadute ispirato al design Apollo.  

NASA/Keegan Barber

L’ambiente acquoso di un asteroide primordiale  

Le prime analisi hanno rivelato una sorpresa: grani di carbonato di sodio idrato (trona) e fosfati amorfi, minerali che sulla Terra si formano per evaporazione di laghi salati come il Mono Lake in California. Su Bennu, tuttavia, questi composti si sono generati in condizioni radicalmente diverse. «L’asteroide genitore di Bennu, un corpo di 100 km di diametro, conteneva sacche di acqua liquida riscaldate dal decadimento dell’alluminio-26, un isotopo radioattivo comune nel sistema solare iniziale», ha spiegato Tim McCoy, curatore della Smithsonian Institution. «L’acqua, reagendo con i silicati, ha creato vene minerali alcaline (pH 9-11) prima che Bennu si formasse dalla disgregazione del corpo madre, 1-2 miliardi di anni fa».  

I minerali evaporitici, mai osservati in meteoriti a causa della loro sensibilità all’umidità terrestre, sono stati preservati grazie alla pronta conservazione del campione in atmosfera di azoto. Alcuni grani, esposti accidentalmente all’aria durante il trasferimento iniziale, si sono dissolti in pochi minuti, confermando la necessità di missioni di sample return per studiare materiali così delicati.  

NASA/Keegan Barber

Ammoniaca e la sinfonia organica  

Oltre ai minerali, il campione contiene una sinfonia di composti organici. Le analisi con spettrometria di massa ad alta risoluzione (Orbitrap LC-MS) hanno identificato oltre 10.000 molecole organiche, tra cui 14 dei 20 aminoacidi utilizzati dalla vita terrestre per costruire proteine e tutte e cinque le nucleobasi del DNA e RNA. «La vera sorpresa è stata l’ammoniaca: 230 parti per milione, 75 volte più che nel campione di Ryugu», ha sottolineato Danny Glavin, responsabile dell’analisi organica al Goddard Space Flight Center. «L’ammoniaca, combinata con solfuri e formati, potrebbe aver agito da catalizzatore per sintetizzare molecole complesse in ambiente alcalino».  

La scoperta colloca Bennu tra i corpi più ricchi di composti azotati del sistema solare, insieme a Encelado e Cerere. L’abbondanza di ammoniaca suggerisce inoltre un’origine nelle regioni esterne del sistema solare, oltre l’orbita di Saturno, dove i ghiacci di NH₃ sopravvivono alle radiazioni solari.  

L’enigma della chiralità  

Un risultato inatteso riguarda la chiralità degli aminoacidi. La chiralità è una proprietà delle molecole che, come le mani, esistono in due forme speculari non sovrapponibili, chiamate enantiomeri (destrogiro, D, e levogiro, L). Mentre meteoriti come Murchison (CM2) mostrano un eccesso di isomeri levogiri (L), quelli di Bennu sono racemici: 50% L e 50% D. «Questo implica che l’omochiralità della vita terrestre – l’uso esclusivo di forme L – non sia stata determinata da processi spaziali», ha osservato Glavin. «Potrebbe essere emersa casualmente sulla Terra, o essere il risultato di dinamiche locali ancora sconosciute».  

Modelli molecolari di due enantiomeri di un generico amminoacido. Immagine tratta da Wikipedia

La scoperta ha implicazioni per la ricerca di vita extraterrestre. Se la chiralità è un prodotto di contesti specifici, pianeti o lune con chimica prebiotica simile alla Terra potrebbero ospitare forme di vita con chiralità opposta. «È un invito a cercare biofirme ambidestre», ha aggiunto Jason Dworkin, project scientist della missione.  

Tecnologie a confronto: OSIRIS-REx vs Hayabusa 2  

Le differenze tra Bennu e Ryugu, l’asteroide visitato dalla missione giapponese Hayabusa 2 nel 2020, sollevano interrogativi sulla diversità degli asteroidi carbonacei. Ryugu, più secco e ricco di fillosilicati, ha restituito 5,4 grammi di materiale con meno ammoniaca e composti volatili. «La spiegazione potrebbe risiedere nella profondità del campionamento», ha ipotizzato Sarah Russell del Natural History Museum di Londra. «OSIRIS-REx ha scavato 50 cm sotto la superficie, protetta dalle radiazioni solari, mentre Hayabusa 2 ha raccolto regolite superficiale alterata».  

Entrambe le missioni confermano tuttavia un quadro coerente: gli asteroidi carbonacei hanno agito come navi cargo, distribuendo acqua e organici nel sistema solare interno durante il cosiddetto intenso bombardamento tardivo (LHB o Late Heavy Bombardment) 4,1-3,8 miliardi di anni fa.  

Verso Apophis e oltre  

Mentre il 75% del campione di Bennu rimane sigillato in azoto liquido per studi futuri, il veicolo OSIRIS-REx – ribattezzato OSIRIS-APEX – è già diretto verso un nuovo obiettivo: l’asteroide Apophis, che il 13 aprile 2029 passerà a 31.600 km dalla Terra, più vicino dei satelliti geostazionari. La missione estesa studierà come l’interazione gravitazionale con il nostro pianeta modifica la struttura interna degli asteroidi, dati cruciali per la difesa planetaria.  

«Tra 50 anni questi campioni parleranno una lingua che oggi non comprendiamo», ha concluso Dworkin. «Come con le rocce lunari, il loro vero valore emergerà quando avremo strumenti che oggi non possiamo immaginare».  

Fonti: https://www.nasa.gov/news-release/nasas-asteroid-bennu-sample-reveals-mix-of-lifes-ingredients/
https://www.youtube.com/watch?v=TLmJYgUHTD8&ab_channel=NASAVideo

Informazioni su Antonio Piras 71 Articoli
Ingegnere elettronico per lavoro, da sempre appassionato di scienza. Scopro l'osservazione astronomica grazie al telescopio della LIDL (ebbene sì) che mi svela le lune medicee un giorno prima di Galileo...ma 405 anni dopo. Da allora la passione cresce a dismisura e attualmente la coniugo alla fotografia, altro grande hobby.

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