Le onde gravitazionali sono uno dei fenomeni che tutti sperano di poter osservare prima o poi. Sembra sempre di esserci vicini, ma poi si deve accettare la limitatezza degli strumenti e avere ancora pazienza. Forse pochi anni, forse qualcuno di più. Tuttavia, esse ci hanno dato un primo segno flebile ma decisivo, dimostrandoci che i buchi neri galattici non amano crescere unendosi assieme. E questa è una non-notizia che darà parecchio filo da torcere.
Richiamiamo brevemente il fenomeno delle onde gravitazionali. Quando un oggetto estremamente massiccio cambia velocità o direzione, “stropiccia” lo spazio-tempo come può fare una mano che entra e si agita in un catino d’acqua. Questa piega nel tessuto del Cosmo si trasmette nello spazio, come farebbe una vera e propria onda marina. Malgrado siano legate a fenomeni di altissima energia, le deformazioni dello spazio-tempo sono estremamente piccole se cerchiamo di rivelarle sulla Terra. Ben altra cosa sarebbe poter osservare questo meccanismo a distanza ravvicinata, ma l’Universo è immenso e non si può pretendere troppo. Oltretutto, è sicuramente meglio così, dato che assistere troppo da vicino ad una increspatura dello spazio-tempo sarebbe un’esperienza da non augurare nemmeno al peggior nemico.
Deformazioni dello spazio tempo vuole anche dire cambiamento delle posizioni degli oggetti che ne vengono investiti. A parole sembrerebbe facile misurarle, ma le posizioni non sono così precise da poter risalire a una loro effettiva variazione. Riassumiamo il problema di fondo: uno o più oggetti, mentre si muovono violentemente, causano una deformazione dello spazio tempo. Questa deformazione si propaga nello spazio come un’onda. Tutto ciò che incontra subisce una variazione di posizione. Alla fine, l’onda arriva anche sulla Terra, ma, al momento, non abbiamo nessuno strumento in grado di verificare uno spostamento di tale entità. Come un maremoto a distanza di milioni di chilometri di oceano. Darebbe luogo a un’onda troppo piccola per essere notata.
Tuttavia, vi sono oggetti nell’Universo che mandano continuamente segnali di precisione estrema. Qualsiasi piccola variazione subiscano nella loro posizione non passa inosservata, anche se misurata a migliaia di anni luce di distanza. Questi oggetti sono le pulsar, orologi di precisione estrema. La loro rotazione è scandita da segnali radio che giungono a noi con una precisione fantastica, dell’ordine del decimo di microsecondo. Se una di esse si muovesse anche di pochissimo cambierebbe immediatamente anche la durata del tempo necessario a far giungere il loro segnale fino a noi. Se le immaginiamo come fari cosmici, vorrebbe dire che la loro luce arriverebbe un po’ in anticipo e un po’ in ritardo a seconda dell’onda gravitazionale che la investe. O, se preferite, sarebbero come tappi di sughero sopra un’onda: un po’si alzano e un po’ s’abbassano, variando di un pochino la loro distanza da noi. Questo cambiamento di distanza è inviato attraverso segnali radio, la cui precisione è perfettamente legata alle variazioni che subiscono le pulsar. Se gli strumenti per misurare le distanza sono ancora imprecisi, non lo sono più i nostri orologi. Il tempo di arrivo del segnale è rivelato con accuratezza estrema.
In Australia, sono 20 anni che si osservano continuamente un certo numero di pulsar, proprio per verificare questi inattesi cambiamenti nel loro segnale sempre cadenzato e perfetto. L’intensità di queste variazioni ci informa in qualche modo dell’intensità delle onde gravitazionali che le investono. Vent’anni è un periodo sufficiente per tirare le somme e per vedere con che frequenza si manifestano gli “ondeggiamenti” delle pulsar (e, come detto, anche il valore della loro intensità media). Non si sa dove nascono le onde gravitazionali, sicuramente un po’ dappertutto e con violenza diversa, ma si può ricavare una stima media della loro intensità.
A questo punto, possiamo definire i risultati rilevati sulle pulsar come una specie di rumore di fondo, dovuto alle onde gravitazionali che attraversano la nostra galassia e che colpiscono i “precisissimi” fari cosmici. Gran bel risultato, ma ancora ben lontano dallo studiare l’andamento e l’origine di un’onda gravitazionale. Per quello bisogna ancora aspettare (speriamo poco, dato che Einstein ha proprio voglia di avere una nuova conferma della sua straordinaria teoria).
Tuttavia, questo rumore di fondo ci offre già un NON-risultato su un piatto d’argento. Seguitemi attentamente. Il rumore di fondo dovrebbe essere dominato dall’azione degli oggetti più massicci dell’Universo. Sapete tutti chi sono: i buchi neri galattici. Sono sicuramente loro che dovrebbero inviare le onde più potenti. Praticamente, tutte le galassie ne hanno uno al loro centro ed essi sono di dimensioni veramente mostruose.

Essi pongono una domanda inquietante: “Come hanno fatto a diventare così grandi?” Sappiamo, però, che le collisioni tra galassie sono all’ordine del giorno e che, come conseguenza, i rispettivi buchi neri devono affrontarsi in un duello cosmico. Probabilmente la loro fine è quella di unirsi in un unico oggetto di massa uguale alla somma delle singole masse. Un modo fantastico e anche semplice di crescere in fretta. Talmente ovvio che è stato considerato il metodo più frequente ed efficace.

Attenzione, però. Quando due buchi neri galattici si uniscono, non lo fanno con delicatezza e nemmeno velocemente. Eseguono una specie di danza rituale, che li vede ruotare attorno al comune baricentro, avvicinarsi, allontanarsi, cambiare drasticamente direzione e, infine, piombare uno sull’altro. Insomma, proprio ciò che dovrebbe causare onde gravitazionali. Anzi, dato che essi sono gli oggetti più massicci dell’Universo, le onde gravitazionali più intense e probabilmente anche più frequenti. In altre parole, sono loro che dovrebbero produrre il rumore di fondo “sentito” attraverso le pulsar.

Ed eccoci, finalmente, alla risposta negativa. L’intensità dei segnali che riceviamo dalle pulsar, ossia l’intensità dei loro spostamenti dovuti alle onde che le investono, è troppo debole per essere dovuta all’unione di buchi neri galattici. Il segnale dovrebbe essere nettamente più rumoroso di quanto non dicano le osservazioni. Conclusione? La fusione di buchi neri non è un fenomeno frequente nel Cosmo, né può essere il sistema per ingrassare i giganti galattici. Sembra proprio che non ci sia niente da fare. Bisogna cambiare teoria. L’Universo si diverte ancora una volta a metterci alla prova. Accidenti… era tanto bella la danza dei buchi neri.

Ah… non ditemi che potrebbe essere sbagliata la teoria che prevede le onde gravitazionali. Esse, in realtà, vengono misurate dalle pulsar (e quindi sicuramente ci sono), ma non possono provenire da due giganti in rotta di collisione. E, poi, chi si sentirebbe di dire che Einstein ha sbagliato nel valutare la loro intensità? Le prove della sua teoria sono sotto gli occhi di tutti ogni singolo giorno. No, temo proprio che i buchi neri s’ingrassino in altro modo…
Articolo originario QUI (ovviamente a pagamento…)
di Vincenzo Zappalà – tratto da: L’Infinito Teatro del Cosmo