C’è distanza e distanza…

Non è difficile definire e calcolare la distanza tra due oggetti nella realtà di tutti i giorni. Non è nemmeno difficile, con la tecnologia odierna, misurare la distanza tra oggetti celesti siano essi membri del Sistema Solare o stelle o addirittura galassie. I problemi nascono quando si vuole andare molto più lontano sia nel tempo che nello spazio. Ciò causa spesso confusione o visioni distorte del nostro Universo.

Questo articolo non vuole assolutamente descrivere i metodi per determinare le distanze tra noi e gli astri. Ciò sarà fatto separatamente, in modo dettagliato anche se estremamente divulgativo. Lo scopo è invece quello di mostrare come siano profondamente ambigui i valori delle distanze usati comunemente nel Cosmo e quali confusioni possano creare, quando si voglia parlare di oggetti molto lontani da noi.

Innanzitutto, vediamo di definire la distanza tra due oggetti. Sul nostro pianeta è molto semplice. Bastano due dita, un righello, o altri ben noti accorgimenti per valutare la separazione spaziale tra due corpi, sia direttamente che su una cartina geografica. Il procedimento diventa addirittura banale quando gli oggetti sono immobili e la distanza fissa. Leggermente più complicata è la misura della distanza tra due corpi che siano in movimento, ad esempio due automobili lungo un’autostrada. In questo caso è fondamentale conoscere la legge del moto di uno rispetto all’altro e poi procedere al calcolo della distanza che è valida istante per istante e varia in funzione del tempo. Se non si ha la legge del moto, si può agire attraverso triangolazioni effettuate da osservatori posti in posizioni diverse o in grado di “vedere” il movimento da una distanza considerevole (satelliti artificiali).

Lo stesso procedimento viene usato nel determinare le distanze nel Sistema Solare, dove è nota, sia attraverso la teoria che attraverso modelli al computer, la legge del moto di un corpo attorno a un altro. Quanto ciò sia valido viene dimostrato quotidianamente dalle missioni spaziali in cui le distanze relative tra i corpi in gioco sono conosciute a priori e proprio sulla loro precisione ci si affida per guidare l’intero viaggio di una sonda.

Le cose si complicano quando si esce dal Sistema Solare. Mentre al suo interno i movimenti reciproci sono stabiliti dall’attrazione gravitazionale e quindi quantificabili con grande precisione, al di fuori i moti degli astri sono in gran parte casuali (a parte la comune rotazione attorno al centro della galassia) e non riproducibili con formule. L’unica informazione che riceviamo dalle stelle è solo e soltanto la luce e più esse sono lontane, più difficile è applicare metodi diretti o indiretti per misurarne la distanza.

Tuttavia, il problema non cambia di molto nello spazio a noi vicino, dominato SOLTANTO dai movimenti reali di un astro rispetto a un altro. Oggi, attraverso il metodo delle cefeidi, si sono riuscite a misurare con buona precisione anche le distanze delle galassie non troppo lontane. Bisogna ricordare, però, che la velocità della luce, malgrado sia la massima raggiungibile in natura, è comunque finita e impiega un certo tempo per giungere fino a noi. La distanza che misuriamo è quindi quella tra la posizione dell’oggetto al momento t, in cui è ha emesso la luce, e la nostra posizione, che possiamo considerare fissa. Se la stella non si fosse mossa, questa distanza sarebbe sempre la stessa. Se invece la stella ha un moto relativo rispetto a noi, allora la distanza calcolata sulla base della luce ricevuta oggi, sarebbe diversa da quella che la stella ha realmente oggi. Conoscendo il moto della stella, non sarebbe comunque difficile estrapolare la distanza osservata a quella odierna. Comunque sia, non si commettono errori significativi quando la distanza tra una stella al tempo t e noi viene espressa in anni luce, ossia in termini di distanza percorsa dalla luce, emessa dalla stella al tempo t, per giungere fino a noi. Questo valore è lo stesso sia al tempo t che oggi, a parte il movimento proprio della stella rispetto a noi.

Attenzione, però, che ciò è possibile perché i fotoni che hanno lasciato la stella hanno potuto viaggiare senza alcun intoppo. Infatti, se il tempo necessario alla luce per coprire una certa distanza fosse di 57 anni, ma essa si fermasse a fare uno “spuntino” da qualche parte per una ventina d’anni per poi riprendere il viaggio, la nostra misura finale di 77 anni sarebbe errata, a meno di non venire a conoscenza della sosta e quindi di potere tenerne conto sottraendola al valore finale.

Purtroppo, i fotoni non parlano e non ci diranno mai se sono fermati da qualche parte o quantomeno se hanno rallentato. In realtà i fotoni non rallentano e nemmeno si fermano a mangiare. La loro velocità è costante e teoricamente senza intoppi. Ma è lo spazio che devono percorrere che può giocargli degli scherzi.

Se esso si “allungasse” notevolmente, i fotoni dovrebbero percorrere una distanza maggiore di quella preventivata. La misura della distanza, espressa in anni luce, avrebbe un significato diverso. Ci direbbe soltanto che la luce è partita al tempo t, ossia un certo numero di anni fa, e ci ha raggiunto OGGI, ma non ci darebbe una misura corretta della distanza reale della stella al tempo t, né di quella di OGGI. In altre parole, gli anni luce impiegati a percorrere lo spazio tra la stella e noi poco avrebbe in comune con la vera distanza tra la $galassia$ e noi. La situazione, quando si parla di distanze veramente grandi è, però, proprio questa.

Per riassumere, potremmo dire che le distanze misurate, senza intoppi da parte dei fotoni, sono quelle relative a uno spazio che può essere considerato immutabile, in cui gli oggetti si muovono soltanto per il loro moto proprio. Qualcosa di molto simile alle distanze misurate nella realtà di tutti i giorni. Se invece lo spazio non è immutabile, ma cambia costantemente, le distanze assumono significati diversi e più complessi.

Purtroppo, per distanze veramente grandi, maggiori di un paio di miliardi di anni luce, lo spazio non può approssimarsi come immobile, o meglio statico. Esso si espande continuamente e il percorso della luce compiuta in un certo periodo di tempo è ben maggiore di quello relativo alla differenza di tempo tra quando i fotoni sono stati emessi e OGGI. In altre parole, dire che una $galassia$ è vecchia di 10 miliardi di anni è ancora esatto, ma dire che essa dista 10 anni luce da noi NON è più esatto. A questo punto dobbiamo farci aiutare dalla Fig. 1 (che ormai conosciamo abbastanza bene), in grado di sintetizzare e chiarire quanto detto finora e permettere di definire le distanze in uno spazio in espansione.

Rappresentazione a due dimensioni del Cono di Luce relativo al nostro passato

Figura 1. Rappresentazione a due dimensioni del Cono di Luce relativo al nostro passato – ingrandisci

La Fig. 1 illustra l’evoluzione dello spazio-tempo a partire dal Big Bang. Lo spazio è però considerato a una dimensione ed è rappresentato dalle conferenze concentriche che si allargano sempre più a causa dell’espansione dell’Universo. Il tempo scorre invece in senso radiale. La posizione della Terra è rappresentata dalla sferetta blu e l’asse orizzontale descrive il nostro tempo (NON è una posizione privilegiata, dato che qualsiasi retta che parta dal Big Bang può essere considerata asse delle ascisse). Lo spazio invece varia da momento a momento e le distanze possono essere misurate solo su queste circonferenze. Facciamo molta attenzione a questo dato di fatto che spesso comporta facili confusioni. Il sistema di coordinate si riferisce a un’asse fisso (tempo) e a uno mobile e circolare (spazio). Ripeto: “Il tempo si misura lungo l’asse orizzontale o lungo qualsiasi retta che parta dal Big Bang. Le distanze nello spazio si misurano lungo le circonferenze”.

Se non ci fosse espansione e potessimo bloccare lo spazio (ad esempio quello relativo a 4 miliardi di anni dopo il Big Bang), tutte le misure di distanza sarebbero senza ambiguità e si ricondurrebbero a quelle descritte all’inizio dell’articolo. Saremmo in un sistema di riferimento con un’asse orizzontale fisso (tempo) e un asse “circolare” anch’esso fisso (spazio relativo alla circonferenza di raggio 4 miliardi di anni). Purtroppo (o per fortuna?) lo spazio, invece, si espande.

Per facilitare i calcoli che stanno dietro alle figure ho considerato l’età dell’Universo uguale a un numero intero, cioè 14 miliardi di anni. Tuttavia, è solo una semplificazione, ma nulla cambierebbe se lo ponessimo uguale a 13.7 miliardi anni o quello che volete: cambierebbero solo certi “numeri” che troveremo in seguito…

La linea curva, che parte dal Big Bang e giunge fino a noi, rappresenta il CONO DI LUCE relativo al nostro passato, ossia tutto ciò che noi riusciamo a vedere oggi. Per il momento tralasciamo i numeri scritti vicino al CONO DI LUCE: ci torneremo più avanti. Cerchiamo, allora, di costruire questa linea curva che ovviamente si ripete tale e quale, ma ribaltata, sotto all’asse del tempo. Per farlo dobbiamo seguire il movimento della luce a partire da un certo punto-oggetto la cui luce ci raggiunge oggi. Partendo dal Big Bang (TEORICAMENTE sempre visibile) avremmo il cono completo. Non ci si può sbagliare, perché il CONO DI LUCE del nostro passato al tempo odierno è UNO e UNO SOLO. Consideriamo la Fig. 2 e cominciamo a studiare la luce inviata 4 miliardi di anni dopo il Big Bang dalla $galassia$ rappresentata dalla sferetta gialla.

Figura 2. Costruzione del Cono di Luce e definizione delle distanze

Figura 2. Costruzione del Cono di Luce e definizione delle distanze – ingrandisci

Essa, ovviamente si dirige verso di noi nello spazio relativo a quell’istante temporale e viaggia lungo la freccia rossa. Se non ci fosse espansione essa ci raggiungerebbe senza “intoppi” e la distanza tra la $galassia$ e noi sarebbe uguale all’arco di cerchio marrone tra le sferette gialla e blu. Potrebbe essere espressa correttamente in anni luce, ossia in spazio percorso dalla luce per andare dalla sferetta gialla a quella blu. Purtroppo, però, mentre la luce descrive lo spazio indicato dalla freccia rossa, lo spazio si è espanso e dopo un miliardo di anni è diventato una circonferenza con un raggio maggiore. La luce è costretta, quindi, a viaggiare anche lungo la freccia verde (che rappresenta l’espansione dello spazio). Come conseguenza il suo moto sarà descritto dalla freccia blu (somma di due vettori).

Andando avanti nel tempo, è facile costruire la linea formata da tutti i segmenti blu fino a che -finalmente- la luce giunge fino a noi nella posizione che occupiamo OGGI (ossia 14 miliardi di anni dopo il Big Bang). Nota: per non sbagliare conviene disegnarla andando a ritroso e partire da OGGI e arrivare fino all’oggetto al tempo t = 4 miliardi dopo il Big Bang. Non potremmo fare errori, in quanto l’unico oggetto visibile oggi, la cui luce sia partita 4 miliardi di anni dopo il Big Bang (ossia 10 miliardi di anni fa) è individuato SOLO e SOLTANTO dalla sferetta gialla (o da quella che otterremmo ribaltando la figura rispetto all’asse del nostro tempo).

Qual è allora la vera distanza percorsa dalla luce? Non è ovvio rispondere, come potete facilmente vedere. La traiettoria descritta in funzione del tempo è l’insieme dei segmenti blu, ma la distanza deve essere misurata nello spazio (ossia, lungo una circonferenza). Sì, ma quale? Quello di 4 miliardi di anni dopo il Big Bang (arco marrone) o quello di oggi (arco viola)? Entrambe sono giuste, ma differiscono di molti anni luce tra loro. Forse sarebbe meglio usare un valore medio? No, no, sarebbe comunque sbagliato.

Molto meglio, allora, calcolare entrambe le distanze e chiamarle per nome, in funzione del tempo: dE, al momento t = 4 miliardi di anni dopo il Big Bang, quando la luce è stata emessa (arco marrone) e dA, al momento t = 14 miliardi di anni, ossia quella attuale. Esse sono distanze reali, misurabili in anni luce, ma estremamente diverse tra loro, a causa dell’espansione. Tuttavia, Einstein e i fisici del suo tempo non hanno avuto problemi e esprimere con formule le relazioni esistenti tra queste distanze, in funzione del tempo e del tipo di espansione prescelto. Nella Fig. 2 ho anche riportato le distanze dA e le corrispondenti dE (tra parentesi), espresse in miliardi di anni luce, per oggetti la cui luce è partita in tempi diversi (5, 6, 7, 8, 9, 10, 12 miliardi di anni luce dopo il Big Bang).

A questo punto, prima di proseguire, possiamo dare una definizione e fare due constatazioni.

Definizione: la curva costruita attraverso i segmenti è, come già detto, il CONO DI LUCE del nostro passato, ossia l’insieme di tutti gli oggetti la cui luce ci raggiunge OGGI. Esso pone i confini dell’Universo osservabile ed è come ben noto un miscuglio di spazio e tempo. Infatti, noi vediamo nello stesso momento oggetti la cui luce è partita pochi miliardi di anni dopo il Big Bang (o anche meno) e oggetti la cui luce è partita pochi minuti fa (come il Sole). Il CONO DI LUCE è funzione del tempo -ovviamente- e cresce anno dopo anno, in quanto noi ci allontaniamo lungo l’asse del tempo. Quanto cresce in lunghezza temporale? Esattamente di un anno luce all’anno, per definizione. Provate ad allungare l’asse di un miliardo di anni e rifare la costruzione grafica, tenendo però conto che, nel frattempo, la $galassia$ gialla si è spostata nella circonferenza successiva a causa dell’espansione dell’Universo. Il CONO DI LUCE di domani si allarga e ci permette di vedere nuovi oggetti prima invisibili e quelli già visibili in posizione ed età diversa. Attenzione però: non invisibili perché troppo deboli, ma solo perché la loro luce non è ancora riuscita a raggiungerci.

E’ facile dimostrare che alcuni oggetti non potranno essere mai visti, perché la loro luce non potrà mai raggiungerci. Il CONO DI LUCE (che rappresenta il nostro Universo) è ben piccola cosa rispetto alla circonferenza che ci contiene (Universo attuale). In questo contesto è facile “individuare” anche quello che si chiama Universo Osservabile, ossia l’Universo che riusciamo ad osservare oggi, estrapolato al tempo odierno. Esso si ottiene facilmente tracciando le linee del tempo relative agli oggetti più giovani dell’Universo (normalmente si considera come confine la linea relativa alla radiazione cosmica di fondo, emessa circa 380000 anni dopo il $Big bang$). La Fig. 3 ci mostra l’Universo Osservabile OGGI, ma si può intuire anche quello di ieri e di domani (con i relativi coni di luce). Lo spazio osservabile crescerà come dimensioni, ma molti oggetti non saranno più visibili in quanto la luce che emetteranno nel futuro non riuscirà più a raggiungerci, a causa dell’espansione dell’Universo. Ecco perché si dice che nel lontano futuro probabilmente si vedranno ben poche galassie e saranno visibili solo quelle del gruppo locale, realmente molto vicine a noi.

Figura 3. Universo reale e Universo osservabile

Figura 3. Universo reale e Universo osservabile – ingrandisci

Constatazione 1: la distanza di una $galassia$ espressa in anni luce non ha senso, a meno di non riferirsi alla distanza tra due oggetti in un istante ben preciso. OGGI la $galassia$ gialla disterà da noi più dei 10 miliardi di anni, cui generalmente ci si riferisce quando si danno i risultati di oggetti ultra lontani. Dire, ad esempio, che la radiazione cosmica di fondo dista da noi poco meno di 14 miliardi di anni (o che lo stesso $Big bang$ dista 14 miliardi di anni) è in realtà un errore. E’ invece giusto dire che la sua età è di 14 miliardi di anni o meglio che la luce emessa (e che oggi ci raggiunge) è partita 14 miliardi di anni fa. Un errore comunissimo, veniale se vogliamo, ma che spesso getta grande confusione nella comprensione dello spazio-tempo. Ovviamente, i professionisti sanno benissimo a cosa ci si riferisce e come trasformare quel dato in distanze reali. Ma per i non addetti ai lavori, la cosa può dare luogo ad ambiguità.

Anche se ne parleremo diffusamente in un altro articolo (molto più semplice), vale la pena ricordare come si determinano le distanze di oggetti, lontanissimi nel tempo, attraverso la legge di Hubble. Essa, in modo molto semplice, dice che esiste una relazione tra la velocità di espansione dell’Universo (o meglio ancora di allontanamento tra le galassie) e distanza dell’oggetto celeste. La relazione è lineare e vale semplicemente d = Ho ∙ v, dove d è la distanza, v è la velocità di allontanamento e Ho è una costante. Tuttavia, Ho è una costante variabile, in quanto assume valori sempre diversi in tempi diversi (rappresenta in pratica le modalità dell’espansione).

Essa è una costante per un tempo ben determinato, nel senso che è uguale per tutto l’Universo all’istante t. Ne consegue che essa fornisce un valore diverso della distanza a seconda del tempo e quindi della costante che noi inseriamo. Questo fatto ci porta a una conclusione importantissima. Il valore più importante è quello realmente osservato della velocità di allontanamento, ottenuto attraverso il redshift z (spostamento delle righe spettrali verso il rosso). A partire da questa velocità è possibile, attraverso formule più o meno complicate, calcolare le distanza che preferiamo. E’ giusto quindi inserire sul CONO DI LUCE i valori del $redshift$ z per i vari tempi a partire dal Big Bang, come fatto in Fig. 1.

Essi ci forniscono le velocità che sono strettamente legate alle distanze che vogliamo considerare. La formula (banale) che lega le distanze prima definite e il $redshift$ è la seguente: dE= dA/ ( 1 + z ). Ne segue che 1/(1 + z) è un vero e proprio fattore di riduzione che ci permette di risalire alle vere distanze al momento dell’emissione della luce, in funzione del $redshift$ osservato. Ovviamente, il suo inverso (1 + z) permette di passare dalla distanza di emissione a quella attuale ed è il fattore di espansione dell’Universo.

Essendo il valore di z legato strettamente al tempo di emissione, esso si usa per stabilire l’età dell’emissione della luce da parte dell’oggetto (concetto esatto) o la distanza in anni luce (non esatta, ma facilmente riconducibile alle distanze reali). Questa situazione porta, però, a incomprensioni. Si dice, ad esempio, che il Big Bang ha un’età di circa 14 miliardi di anni (esatto), ma si dice anche che esso dista 14 miliardi di anni luce (errato). E’ invece vero che l’Universo Osservabile ha un raggio di circa 47 miliardi di anni luce. Com’è possibile che vi siano oggetti più distanti del Big Bang? Tutto torna perfettamente se teniamo conto di quanto ho cercato di esprimere precedentemente (spero, almeno…).

Constatazione 2: per oggetti più vicini di circa un paio di miliardi di anni (temporalmente), i problemi sollevati possono essere “praticamente” trascurati, in quanto l’espansione non ha causato grandi differenze (il più delle volte nei limiti della precisione delle misure). Ciò si può vedere bene nella Fig. 2 notando la piccolissima differenza tra il pezzo di arco viola (distanza attuale) e la freccetta rossa che indica la distanza relativa a due miliardi di anni fa (distanza al tempo dell’emissione).

A questo punto, possiamo concludere descrivendo le distanze principali che si usano nell’Universo e la loro definizione. Esse sono quattro:

1) Distanza comovente (dC). Essa indica la distanza che si espande con l’Universo. In altre parole, essa dice dove si trovano le varie galassie OGGI, anche se la luce era partita da loro quando l’Universo era ben più piccolo e le distanze minori. Essa è uguale alla nostra dA. Con questa definizione l’Universo osservabile ha un raggio pari a 47 miliardi di anni luce, mentre le galassie più lontane visibili con il telescopio Spaziale Hubble hanno una distanza di circa 32 miliardi di anni luce. La distanza comovente può anche essere considerata una costante in un sistema di riferimento che tenga conto intrinsecamente del fattore di espansione (1 + z), dato che la sua variazione dipende solo da tale fattore.

2) Distanza di diametro angolare (dDA). Noi vediamo oggi le galassie com’erano al momento in cui ci hanno inviato la luce. In quel momento sappiamo benissimo che la distanza (dE) era minore di quella che è oggi. Le dimensioni della $galassia$ che vediamo oggi sono relative a quel ben determinato istante. In altre parole, le dimensioni della $galassia$ sono ben più grandi di quanto ci si aspetterebbe da un oggetto così lontano. In altre parole ancora, il diametro angolare di una $galassia$ si conserva attraverso l’espansione (l’espansione espande lo spazio, non i singoli oggetti). Ne consegue che il diametro angolare che vedo oggi è strettamente legato alla distanza della $galassia$ al momento dell’emissione della luce (dE). Questo tipo di distanza è in pratica la distanza al momento dell’emissione della luce. Il suo andamento in funzione del tempo è peculiare, in quanto inizia a crescere dopo il Big Bang fino a circa 3-4 miliardi di anni ( z = 1.65, per l’esattezza) e poi inizia una lenta decrescita fino ad oggi. Questo andamento si può vedere bene seguendo le distanze per i vari punti del CONO DI LUCE.

3) Distanza di luminosità (dL). Durante l’espansione, la luce che arriva fino a noi è molto più debole di quanto indicherebbe la distanza che la $galassia$ aveva al momento dell’emissione della luce. Ciò è causato dallo “stiramento” e dalla dispersione della luce su una superficie più vasta ($redshift$). Ne consegue che le galassie più lontane osservate dal Telescopio Spaziale appaiono come se si trovassero a distanze di circa 350 miliardi di anni luce. Ovviamente essa non è una misura realistica, ma è utile per determinare il fattore di affievolimento della luce.

4) Distanza di tempo luce (dT). Essa rappresenta il tempo impiegato dalla luce di una $galassia$ per giungere fino a noi. Questa definizione è quella che ci permette di dire che il Big Bang è “distante” circa 14 miliardi di anni luce. Essa è però, in realtà, una misura di tempo e non di distanza. In pratica si ottiene semplicemente moltiplicando l’età di un evento per la velocità della luce.

L’andamento di queste quattro distanze in funzione del $redshift$ z è riportato in Fig. 4. Per come sono state definite è abbastanza ovvio che per oggetti relativamente vicini a noi ($redshift$ minori di 0.1) e relativamente vicini nel tempo (un paio di miliardi di anni) le quattro distanza coincidono tra loro.

Differenze tra vari tipi di distanza in funzione del redshift

Figura 4. Differenze tra vari tipi di distanza in funzione del $redshift$ – ingrandisci


Nota finale
: ho cercato di scrivere l’articolo senza fare comparire formule. Esse non sono in realtà complicate nelle loro forma definitiva, ma complicato è sicuramente il metodo per determinarle. Non chiedetemi di descriverlo e fidatevi dei numeri che ho scritto… Forse ho cercato di dire troppo in un singolo articolo, ma penso che possa chiarire molte cose e riassumerne altre già trattate. Non è sicuramente perfetto e lo voglio considerare come una prima bozza che vorrei migliorare, integrare e correggere attraverso i vostri sempre puntuali commenti. Penso che alla fine avremo in mano una visione capace di far comprendere la situazione generale e risolvere molti dubbi e confusioni che spesso si manifestano. Aiutatemi e vedrete che ce la faremo!

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24 Commenti

  1. Woooow, bellissimo articolo! Mi ricorda particolarmente ciò di cui discutevamo tempo fa dal vivo! Solo che allora con una bottiglia di amarone in corpo nn ci avevo capito granché… 🙂

    Ora é molto più chiaro! 😉

    Grande Enzo!

  2. Caro Enzo,
    dopo i complimenti per il bellissimo articolo raccolgo l’invito e ti chiedo, se puoi spiegarmi come si arriva a 47, io intuitivamente farei 14×2 (o 13,7×2) e poi la linea blu della fig 2 la vedrei dritta.
    Grazie

  3. caro Gaetano,
    perchè vorresti moltiplicare per 2 l’età dell’Universo? il 47 viene estrapolando a oggi le dimensioni di ciò che vediamo, che è rappresentato dal cono di luce attuale. Quest’ultimo non è delimitato da linee rette in quanto abbiamo considerato il tempo in modo lineare. Se vai a vedere negli articoli che avevo scritto su “perchè vediamo il Big Bang dappertutto”, vedrai che capirai la deformazione del tempo. Non deformando lui, dobbiamo deformare il cono di luce… Prova e poi ci risentiamo 😉

  4. caro Gaetano (bis),
    se guardi attentamente le figure e segui il modo con cui si costruisce la linea blu, dieri che, comunque, dovrebbero risultarti chiare le risposte alle tue due domande… Il raggio dell’Universo Osservabile non è altro che la distanza dA della prima luce dell’Universo (diciamo la radiazione di fondo).

  5. Caro Enzo,
    continuo ad approfittare della tua pazienza…
    Non è l’età dell’universo che moliplico per due, l’equivoco nasce dal fatto che si misurano le distanze in anni luce. Io faccio questo ragionamento: al B.B. le distanze tra le componemti dell’universo erano praticamete nulle, quindi l’ipotetica galassia più lontana da noi è quella che si è allontanata (per effetto dell’espansione) da parte opposta sullo stesso diametro(?) 13,7+13,7 :mrgreen: Cercando di spiegarlo mi rendo conto che non funziona (pensando al panettone e all’uvetta). Ma in questo modo spero di aver almeno chiarito il mio dubbio.

  6. attenzione Gaetano!
    le distanze si misurano lungo le circonferenze! Non dal centro all’oggetto (lì esiste solo il tempo). Inoltre, ciò che sta dalla parte opposta del Big bang non potremmo mai vederlo. La sua distanza in un qualsiasi momento è uguale a mezza circonferenza e il nostro cono di luce non potrà mai contenerlo: non appartiene sll’Universo Osservabile! Tu hai fatto 13.7 x 2, il che vuol dire che hai preso come distanza l’asse dei tempi… Se no, come fai a parlare di una distanza di 13.7 anni luce? L’unica cosa che possiamo misurare è il redshift e da quello puoi avere la diastanza che preferisci, dA o dE…
    Se ho capito ciò che dici… ovviamente.
    Fammi sapere
    ciao

  7. Enzo,
    hai capito benissimo e grazie alla tua ultima risposta sono anch’io sulla buona strada 😉
    Un’ultima cosa: è possibile calcolare (o è già stata calcolata) una velocità media di espansione da l B.B. a oggi?
    Grazie

  8. Caro Enzo, Come al solo un bellissimo articolo!! 😎
    Certo che è curioso pensare che la costante di Hubble è variabile nel tempo.
    Una costante variabile è un po’ un controsenso, non credi? Non sarebbe meglio definirla come una funzione di T, con T0 coincidente col BB?
    Altra domanda: come si distingue il redshift dovuto all’espansione da quello generato dal moto proprio? Solo dal confronto con le galassie vicine a quella considerata?

  9. cari Gaetano e Red,
    innanzitutto, dobbiamo capire che il redshift e quindi di conseguenza la costante di Hubble che se ne deriva è per definizione una misura relativa a noi in questo momento. Quando la luce era stata emessa dalla stella o dalla galassia non aveva nessun spostamento verso il rosso. Esso dipende solo da quanto si è spostata la riga spettrale viaggiando nel tempo e quindi dipende dalla distanza originaria della galassia rispetto a noi. Se volete, è , per definizione, un valore medio dell’espansione. In prima approssimazione è stata considerata automaticamente COSTANTE anche nel tempo, ma relativamente al momento in cui la possiamo calcolare, ossia oggi. Teoricamente, però, è ovvio che se cambiano le modalità dell’espansione, devono anche cambiare i valori della costante. Non è possibile calcolare la costante per il tempo di emissione della luce di ogni singolo oggetto di cui oggi riceviamo la luce. E nemmeno si potrebbe. La misurazione del redshift è basato proprio sulla distanza dell’oggetto e quindi sul tempo trascorso da quando ha inviato la luce. Non si può fare di più. D’altra parte la costante si misura perfettamente attraverso le galassie vicine dove si possono osservare le cefeidi. Poi viene estrapolata a quelle lontane e automaticamente diventa costante… Ho paura di girare in tondo… Per poter assistere alla variazione della costante, dobbiamo cambiare NOI la variabile tempo, ossia aspettare che l’espansione sia cambiata tra qualche migliaio di anni e rifare i conti.. Non possiamo trovare valori diversi andando indietro nel tempo, perchè noi non c’eravamo a misurare il redshift in quei momenti. Forse se misurassimo le cefeidi di galassie molto antiche e relativamente vicine tra loro nel tempo potremmo ricavare un Ho che dipende dall’espansione di quel momento antico… Per adesso, questo non si può misurare, ma si possono avere indicazioni molto aleatorie.

    In realtà, per le galassie vicine è difficile separare redshift locale e comologico. Tuttavia, uno è random e l’altro è in una sola direzione. Basta però andare un po’ più lontani e indietro nel tempo ed ecco che uno resta il solo misurabile, in quanto cresce, mentre tende ad annullarsi quello casuale…

  10. Caro Enzo,
    grazie a te penso di poter finalmente dire: ho cominciato a capire il redshitt.
    Perchè non ti impegni, vista la tua abilità e pazienza in uno di quei bei libri divulgativi tanto di moda in lingua inglese (o ce l’hai già nel cassetto?) Lo comprerei subito :mrgreen:

  11. caro Gaetano,
    ti ringrazio per le belle parole. Ti spiego però il mio carattere quando ho ormai superato i 66 anni… A me piace un sacco la divulgazione astronomica, ma la ritengo sempre un’appendice del mio lavoro di astrofisico. Ora che sono in pensione ho voluto ricominciare da capo e tentare altri impegni stuzzicanti. Ossia, scrivere sì, ma di vino, di processi chimici legati a lui, di fantascienza o di fantasia assurda in genere. Probabilmente riuscirei meglio se mi limitassi alla divulgazione di ciò che ho studiato per 40 anni, ma… come dice il grande Eduardo: “Gli esami non finiscono mai…” e io ho voglia di tentare nuove strade. Astronomia.com sì, allora, ma i libri verso altri argomenti nuovi e da capire, studiare e su cui riflettere ed esternare sentimenti e pensieri. Sarà che forse sarebbe più facile e io voglio difficoltà, o sarà che preferisco contatti continui e diretti con chi condivide la passione verso l’Universo… sai, sono un po’ … strano! 🙄 😕 :mrgreen:

  12. E tutti a fare i professori in questi commenti, lasciate parlare chi ha scritto l’articolo che sicuramente ne sa molto ma molto più di voi!

  13. caro Enzo
    intanto volevo complimentarmi per lo splendido articolo poi volevo ringraziarvi per lo splendido lavoro che fate su questo sito che si presenta sempre chiaro e ben curato e che permette anche a persone come me di scoprire cose nuove di questo affascinante mondo

  14. Enzo bellissimo articolo,ma secondo te quando si potrà espandere ancora l’universo?
    Ti spiego,adesso la sua età e di 13-15 miliardi di anni luce,a quando corrisponde la sua espansione ? e fino a dove potrà espandersi con quale conseguenza sulle distanze cosmiche?
    Ciao a tutti! :mrgreen:

  15. caro Raffaele,
    e chi lo sa? Tutto dipende dal suo futuro… Potrebbe espandersi all’infinito o richiudersi su se stesso. Non potremo mai saperlo se non conosceremo la sua vera massa e altre cose del genere. Al momento, possiamo solo stimare quanto è grande ciò che riusciamo a osservare, estrapolandolo ad oggi (l’universo Osservabile). Ciao e speriamo non faccia … scherzi! :mrgreen:

  16. caro K,
    grazie mille per il tuo apprezzamento! L’importante è però che si riesca a essere comprensibile e insegnare qualcosa. le tue parole ci danno fiducia! 😛
    Caro Francesco,
    il nostro sito è fatto di articoli scritti da qualcuno che ne sa un po’ di più, ma soprattutto dai commenti e dalle discussioni con chi ci segue. Solo così si riesce a migliorare sempre più la comprensione. Per cui non preoccuparti delle ipotesi o delle domande, fanno proprio parte del gioco e spesso servono molto… 😉

  17. @Raffaele.
    Ciao, sicuramente ti sarà scappato il dito… ma l’anno luce è una distanza 🙂

    Non vorrei che qualcuno si confondesse, visto che se ne sentono molte di frasi…” succede di rado….. una volta ogni anno-luce” :mrgreen:

  18. caro Alesssio,
    no, non mi è scappato il dito. L’anno luce è effettivamente una misura di distanza (come ho ripetuto varie volte nel testo), ma calcolare la distanza in anni luce non è altro che misurare un tempo e poi moltiplicare per una costante. ne deriva che è sinonimo di distanza solo per condizioni particolari come indico nell’articolo.

  19. Una domanda: nella valutazione del redshift, si tiene conto della parte di stiramento dei fotoni relativa alla forza gravitazionale esercitata dal corpo che li emette come indicato nella Relatività generale? Se si, in quale misura?

    Grazie
    Sandro

  20. caro Sandro,
    si sa calcolare, ma se non sappiamo la massa… Penso che si trascuri, anche perchè per oggetti di redshift significante si parla sempre di masse enormi (galassie). Diventa veramente importante e decisiva quando ci si avvicina a un buco nero…

  21. Intanto complimenti per l’articolo che oltre a spiegare con semplicità argomenti tanto complessi, fornisce anche lo spunto per ulteriori approfondimenti. Mi piace l’idea del “diagramma polare” per le distanze.
    Solo una cosa non mi è del tutto chiara: nella graduazione dei tempi della fig. 1 si tiene conto anche dell’espansione accelerata dovuta alla ipotetica energia oscura (ovvero costante cosmologica positiva), oppure si tratta di un modello più generico che non ne tiene conto ?

  22. caro daraggio,
    no, si considera un’espansione uniforme. Non solo per l’accelerazione attuale (non ancora ben definita), ma anche nelle fasi iniziali dell’Universo. Comunque l’errore non è molto significativo, dato che il tempo che la luce ha impiegato è sempre quello e il redshift degli oggetti più lontani ( e più sensibili alle variazioni avvenute) ha subito più o meno lo stesso effetto.

  23. Enzo, è stupendo!! Articolo affascinante come l’universo. Strano pensare a un universo futuro dove si vedranno pochissime galassie, magari solo quelle del Gruppo Locale…Gli scherzi dello spazio-tempo 😆