Per cercare di descrivere tutti risvolti che si nascondono nell’esperimento di Feynman bisogna muoversi per gradi e senza dare niente per scontato. Arriveremo alla fine e poi torneremo indietro senza aver paura di annoiarci o di sentirci degli idioti. Ogni volta cercheremo di vedere le cose sotto angolazioni leggermente diverse. Abbiamo detto che il nostro cervello deve abituarsi gradatamente a non rifiutare situazioni fuori da ogni logica “normale”, ma prima vuole essere veramente sicuro.
Ad esempio, potremmo dire, secondo la logica corrente, che la proposizione: “Un elettrone o passa dal primo foro o passa dal secondo” è un dato di fatto, che non si può contestare. Non possiamo pensare che succeda qualcosa di diverso dato che gli elettroni si comportano esattamente come i proiettili e lo abbiamo provato sentendo i loro “clic” sulla piastra.. Questa proposizione la possiamo chiamare evidenza A. Cerchiamo allora di discuterla a fondo, dato che è proprio ciò che sembra logico che deve sollevare i nostri dubbi. Poiché il risultato finale è illogico, il salto dalla conoscenza comune alla realtà assurda si può avere in un qualsiasi punto. Niente deve essere, quindi, giudicato sicuro.
L’evidenza A porterebbe a dire che la somma finale deve proprio essere la somma degli elettroni che passano dai singoli fori. La logica scientifica impone questa deduzione. Tuttavia, l’esperimento con i due fori aperti contraddice il risultato atteso e dobbiamo fare uno sforzo e ammettere che la proposizione A è falsa. E’ una scelta durissima e contro ogni nostra capacità deduttiva.
A questo punto, non ci resta che ammettere che non è vero che un elettrone debba passare per forza o dal foro 1 o dal foro 2. Vi deve essere un’altra possibilità. Forse Alice non si sarebbe stupita tanto come stiamo facendo noi. Per non abbandonare una logica che è dura a morire non ci resta che dimostrare, in qualche modo sensato, che gli elettroni passano contemporaneamente attraverso entrambi i fori. Insomma, stiamo cercando di trovare una logica in un’evidenza completamente illogica. Il cervello potrebbe anche riuscirci, ma gli esperimenti sono quelli che sono e non possono inventarsi cose che non avvengono. Dobbiamo affidarci a loro. Non ci resta che osservare direttamente se un elettrone passa da 1 o da 2 o da entrambi. In altre parole, dobbiamo guardarli mentre attraversano i fori. Così saremo veramente sicuri di quello che fanno. La realtà dell’esperimento non potrà essere confutata, qualunque sia il risultato.
Insomma, vogliamo controllare ancora una volta l’esperimento di Feynman, andando più a fondo. La speranza è l’ultima a morire e saremmo ben contenti di dire che i discorsi fatti la volta scorsa sono una “bufala”, uno scherzo dell’immaginazione o un trucco da Premio Nobel. In fondo, chi ci ha garantito che gli elettroni, una volta in volo, passino realmente da un solo foro?
Per potere vedere qualcosa, però, è necessario illuminarla. Siamo quindi costretti a mettere dietro ai fori una sorgente di luce. Se essa è sufficientemente intensa la luce viene dispersa dall’elettrone e la parte che rimbalza verso di noi ci permette di localizzare il “proiettile” microscopico. In queste condizioni possiamo verificare tranquillamente cosa succede prima del ‘clic” sulla parete. Vi sono tre possibilità: o l’elettrone passa da 1, o passa da 2 o si divide in qualche modo e passa sia da 1 che da 2. La sorgente luminosa ci permette di verificare quale evento sia quello vero.
Con una certa ansia iniziamo l’esperimento. Anche se niente sembra poterci più sorprendere, dobbiamo ammettere, alla fine, che tutti gli elettroni che hanno fatto ‘clic’ sono stati visti passare o dal foro 1 o dal foro 2. In altre parole, ogni elettrone ha mostrato il 100% di probabilità di passare da un certo foro piuttosto che dall’altro. In nessun caso si è visto un elettrone passare contemporaneamente sia da 1 che da 2.
Impossibile! E’ necessario rifare l’esperimento comportandoci come potrebbe fare un bambino. Forse proprio i bambini sono i più vicini alla MQ, dato che ancora non sono stati plagiati dalla fenomenologia quotidiana che è ormai troppo radicata in tutti noi. Prendiamo un quaderno e prepariamo due colonne. Nella prima segniamo gli elettroni che sono passati da 1 e nella seconda quelli che sono passati da 2. Controlliamo, adesso, la loro distribuzione sulla parete. Quelli che sono passati dal foro 1 descrivono esattamente la curva N1, mentre quelli che sono passati da 2 descrivono esattamente la curva N2. Accidenti, questo sì che è un risultato logico. Abbiamo, infatti, provato che gli elettroni, con entrambi i fori aperti, passano sempre o da uno o dall’altro foro e che quando giungono sulla parete seguono esattamente le distribuzioni che avevamo ottenuto chiudendo un foro alla volta. Ma, allora, sia lavorando con un foro alla volta che con tutti e due il risultato finale è uguale. Ma dov’è finita quella strana curva d’interferenza? Sparita nel nulla. Forse avevamo bevuto anche noi come il soldato…
Proviamo addirittura (anche se sembrerebbe una fatica del tutto inutile) a disegnare la distribuzione degli elettroni sulla parete senza far differenza tra quelli provenienti da 1 e da 2. La solita logica ci direbbe che devono per forza seguire la curva N1 + N2. E’ un momento molto critico, dato che è quello che abbiamo fatto nell’articolo precedente con entrambi i fori aperti e che ci aveva portato a quella assurda figura di interferenza. Meraviglia delle meraviglie! La curva che vediamo è proprio N1 + N2. Altro che interferenza… Avevamo davvero bevuto troppo, possiamo scrivere che N12 = N1 + N2, proprio come per i proiettili del fucile. Scusate, buttiamo via tutto l’articolo precedente: era solo un’illusione. Forse anche Feynman aveva bevuto e con lui tutti gli scienziati che si sono fatti influenzare dalla sua sbornia.
Un attimo, un attimo. Prima facciamo un veloce riassunto di quello ottenuto la volta scorsa e di quello ottenuto poco fa.
La volta scorsa avevamo chiuso 2, obbligato gli elettroni a passare dal foro 1 e trovato N1. Poi avevamo chiuso 2, fatto passare gli elettroni solo da 2 e la curva era risultata N2. Poi avevamo aperto entrambi i fori e avevamo sorprendente trovato una curva N12 ben diversa da N1 + N2, una tipica curva di interferenza. Non contenti di questo risultato assurdo, in questo articolo abbiamo ripetuto l’esperimento, lasciando entrambi i fori aperti, ma controllando, direttamente in “volo”, da dove sono passati i singoli elettroni. Abbiamo visto che tutti, proprio tutti, sono passati da 1 o da 2. Risultato confermato dalle distribuzioni N1 e N2 sulla parete. Infine, abbiamo trovato, con rinnovata speranza nella nostra logica normale, che N12 = N1 + N2. Due risultati opposti. L’ultimo però è logico, il primo assurdo. Sarebbe facile concludere che il primo era stato ottenuto sotto i fumi dell’alcol.
Potremmo dimenticare l’esperimento dell’articolo precedente e dire che tutto è perfetto: gli elettroni, giustamente, si comportano come i proiettili del fucile. Però, però, a me sembrava di essere perfettamente lucido e non ubriaco. Feynman amava il buon vino, ma, per fare quello che ha fatto nella sua vita, non doveva certo essere un alcolizzato. Che ne dite di rifare l’esperimento dell’altra volta, tanto per essere sicuri che non poteva essere vero? Ci vuole un attimo. Apriamo entrambi i fori e spariamo gli elettroni senza più guardarli in “volo”, tanto abbiamo verificato direttamente che o passano da 1 o passano da 2. Con un mezzo sorriso di soddisfazione tracciamo subito la curva N12 risultante.
No, no! Ci sentiamo davvero girare la testa: ecco di nuovo la ben nota figura d’interferenza! Misuriamo per sicurezza, ma già sappiamo il risultato: N12 ≠ N1 + N2. La MQ esiste o non esiste? Abbiamo solo verificato che ogni volta otteniamo risultati diversi, a volte logici e a volte illogici.
Stiamo per buttare tutto all’aria e maledire Feynman che ci ha fatto fare questo “stupido” esperimento. Dov’è il trucco? Calma e sangue freddo. In realtà qualcosa di diverso c’è stato tra il classico esperimento di Feynman e quello fatto da noi all’inizio di quest’articolo. Nel primo caso non abbiamo guardato gli elettroni subito dopo essere passati dal foro, la seconda volta invece sì. Nel terzo tentativo abbiamo di nuovo evitato di guardare gli elettroni e l’interferenza è tornata a mostrarsi.
L’assurdo diventa quasi ovvio nella sua assurdità e mi vergogno quasi a scrivere la conclusione: “La differenza trovata non può che dipendere dal fatto che abbiamo accesa la luce per guardare gli elettroni, mentre erano in volo. Se la luce è accesa N12 = N1 + N2, se la luce è spenta N12 ≠ N1 + N2. In parole un po’ più tecniche possiamo dire che la luce influisce sulle caratteristiche degli elettroni”.
Veniamo per un attimo catturati nuovamente dalla nostra consueta logica e continuiamo: la luce ha alterato leggermente il moto degli elettroni e invece di fare arrivare l’elettrone nel massimo della curva di probabilità lo ha fatto arrivare nel minimo, distruggendo la figura d’interferenza. Non risolviamo certo l’assurdità delle frange d’interferenza ottenute a luce spenta, ma, almeno abbiamo risolto logicamente, la differenza dei risultati ottenuti a luce accesa e luce spenta.
Cerchiamo di convincerci sempre di più: gli elettroni sono corpuscoli delicati e non sono robusti come i proiettili di un fucile. Loro sono sensibili anche alla radiazione luminosa, mentre i proiettili nemmeno se ne accorgono. In questa conclusione, che non è certo la soluzione finale, troviamo però già una verità di importanza fondamentale: non possiamo usare le stesse leggi per i corpi macroscopici e per quelli microscopici. Teniamolo bene a mente.
Supponiamo adesso di abbassare sempre più la luce che illumina gli elettroni. Prima o poi sarà così debole da non potere deviare tutti gli elettroni a tal punto da annullare tutte le frange d’interferenza. Abbassando la luce dovremmo avvicinarci lentamente al caso in cui N12 diventa diversa da N1 + N2. Purtroppo, la luce (dobbiamo accettarlo perché l’esperimento della doppia fenditura può anche essere fatto con i fotoni al posto degli elettroni, ricordate?) non viaggia come le onde del mare, anch’essa si muove attraverso particelle come gli elettroni. A mano a mano che abbasso la luce non faccio altro che inviare sempre meno fotoni verso gli elettroni. Questa situazione è molto a rischio: qualche elettrone potrebbe passare indisturbato dal foro senza essere colpito da un fotone e non lo vedremmo.
Quell’elettrone non sarebbe deviato, ma il nostro esperimento fallirebbe. In altre parole, meno luce non vuol dire disturbo minore agli elettroni ma non vederli tutti mentre passano dai fori. Dovremmo aggiungere una terza colonna nel nostro quaderno in cui scrivere: “Non l’ho visto”, ogni volta che a un clic sulla parete non corrisponde una visione diretta dell’elettrone attraverso il foro. Più la luce diventa debole, e quindi meno fotoni sono sparati e meno elettroni sono colpiti, e più la terza colonna diventa ricca di casi. Potete facilmente immaginarvi il risultato finale: se sommo gli elettroni della prima e della seconda colonna essi sono distribuiti proprio secondo N1 + N2. Quelli della terza colonna sono invece distribuiti secondo la strana curva N12 che mostra interferenza.
A questo punto sembrerebbe che la questione sia risolta. La luce disturba gli elettroni e distrugge la curva di interferenza. Non so ancora come si costruisce realmente, ma so molto bene come distruggerla. Un’ovvia conclusione, però, sembra già molto interessante, e la ripeto un’altra volta: “Non posso osservare direttamente un fenomeno legato a particelle microscopiche senza stravolgere lo stesso fenomeno”. In qualche modo sembra che si sia riusciti a dare un risvolto parzialmente logico all’intero esperimento.
A parte il fatto che questa conclusione raffazzonata non spiega comunque la figura di interferenza a luce spenta, anche a luce accesa dà una visione distorta della realtà. Dopo Feynman, come lui aveva previsto, sono stati fatti esperimenti ben più sofisticati per vedere gli elettroni senza disturbarli. Tuttavia, il risultato è sempre stato lo stesso. Il fatto stesso di sapere dove passa un elettrone disturba il suo movimento. Questa è una frase molto più sensata nella sua insensatezza.
In pratica basta solo la “minaccia” di una misura a far cambiare stato al sistema! Questa “buffa” parola, “minaccia”, è stata provata e confermata da molti esperimenti successivi, veramente strabilianti, a cui accenneremo in seguito.
Fatemi, finalmente, scrivere poche frasi che potrebbero descrivere ciò che avviene e che sono ormai abbastanza accettabili dal nostro cervello, che inizia ad adattarsi all’assurdo. Ripeteremo il concetto varie volte, con piccole sfumature di differenza. Mai come adesso il ripetere serve a … non capire e quindi a entrare nel mondo della MQ.
Immaginiamo, anche se non sappiamo ancora come sia possibile, che un elettrone (o un fotone) passi dai due fori come un’onda e che quindi possa fare interferenza con se stesso quando colpisce la parete ed essere rivelato come particella. Tuttavia, se osserviamo lo stesso elettrone subito dopo i fori riusciamo a localizzarlo prima dell’impatto finale ed esso diventa immediatamente una particella annullando l’interferenza. Questo risultato non si deve al disturbo fisico effettuato sull’elettrone, ma al fatto stesso che abbiamo determinato la sua reale posizione nello spazio. Avendo provato o scoperto (o quello che volete) che esso è passato dal foro 1 o 2 abbiamo annullato la sua possibilità di comportarsi come un’onda ed esso diventa a tutti gli effetti una particella con le conseguenze del caso.
In altre parole, possiamo “decidere” se osservare l’elettrone come particella o se permettergli di fare la figura di interferenza come un’onda.
Ma come può succedere tutto questo? Siamo davvero entrati nel paese delle Meraviglie? In realtà, finché l’elettrone non viene rivelato sul bersaglio, esso non si trova mai in un punto preciso dello spazio, ma esiste in uno stato potenziale probabilistico, descritto da una funzione d’onda, che si propaga appunto come un’onda e non secondo una traiettoria definita. La famosa onda di probabilità, ricordate? Adesso capite perché l’avevamo già introdotta.
Niente da dire. Veramente affascinante anche se sempre più assurdo.
Un momento, non picchiatemi… Tutto sembra finalmente chiaro nella sua incomprensibilità, ma vi invito a ripetere ancora una volta l’esperimento cambiando un po’ le regole del gioco in modo da verificare meglio quest’ipotesi da mal di testa. Ricordiamoci, infatti, che il nostro corpo (e anche il cervello) sono strapieni di elettroni (accidenti!), eppure sono ben lontani dall’essere un po’ onde e un po’ particelle.
Abbiamo detto che riveliamo l’elettrone “subito dopo” che è transitato dal primo foro. “Subito dopo” significa che è passato pochissimo tempo dal transito nel foro. Ma per quanto piccolo sia il tempo trascorso, l’elettrone, comunque, ha già oltrepassato il foro; inoltre fino a questo momento esso è rimasto un’onda perché non l’abbiamo ancora rivelato. Perciò, nel frattempo, l’onda ha già attraversato anche l’altro foro e lo ha oltrepassato. Giusto no? E allora come fa l’elettrone a essere rivelato “tutto intero” vicino al primo foro? Che fine fa l’onda che ha appena oltrepassato il secondo foro? Scompare nel nulla? Sembra proprio di sì, ma com’è possibile?
Per chiarire questo punto, il fisico Wheeler utilizzò i fotoni e non gli elettroni (sappiamo ormai bene che il risultato non cambia) e propose di lasciare che il fotone passasse sicuramente attraverso entrambi i fori, come onda. In che modo? Molto semplice: inserendo un rivelatore non troppo lontano dal primo foro, ma neanche troppo vicino, insomma quanto bastava perché si fosse veramente sicuri che nel frattempo tutto il fronte d’onda fosse già transitato dai fori. In pratica, si voleva effettuare l’osservazione del fotone come particella, sicuramente dopo che esso era transitato da entrambi i fori come onda. Non per niente l’esperimento venne chiamato “a scelta ritardata”.
Non illudetevi, se proviamo a rifarlo anche noi, il risultato non cambia. L’onda scompare nel nulla, poiché il fotone viene rivelato come particella “intera”, senza alcun dubbio. Eppure l’onda è transitata sicuramente anche dal secondo foro: infatti, se non si inserisce il rivelatore, si forma la figura di interferenza (che può formarsi solo se l’onda transita da entrambi i fori). E allora com’è possibile?! Non possiamo che concludere che l’informazione del fotone “colto sul fatto” è stata immediatamente trasmessa all’onda transitata dall’altro foro ed essa è sparita. Insomma, gli elettroni, i fotoni e tutte le particelle si scambiano informazioni in tempo reale, altro che alla velocità “lentissima” della luce.
Le cose non stanno proprio così, ma l’esempio è oltremodo calzante. La realtà è che ancora una volta stiamo cercando di fornire un’immagine oggettiva di ciò che accade. Purtroppo, dobbiamo convincerci che un’immagine di tipo oggettivo non è adeguata alla realtà. Non ha senso dire che “l’onda è già passata”, perché solo all’atto della misura possiamo dire che qualcosa è avvenuto. prima della misura il fotone rimane in uno stato indefinito di potenzialità o di non-oggettività (o, meglio ancora, irrealtà). Quando poi inseriamo il rivelatore, allora possiamo dire con certezza che il fotone è passato solo dal primo foro e non dal secondo foro, e infatti non c’è interferenza. Se, invece, non inseriamo il rivelatore e aspettiamo di scorgere i fotoni solo al loro arrivo sul bersaglio (con la relativa figura di interferenza), allora possiamo dire che ciascun fotone ha fatto interferenza come se fosse un’onda transitata da entrambi i fori; ma questo lo possiamo dire solo dopo che il fotone viene rivelato sul bersaglio, anche in un punto raggiungibile solo da un’onda e non da una particella, cioè dopo la misura.
La cosa che a noi appare incredibile è che ciò che il fotone ha deciso di fare (passare da un solo foro o da entrambi) dipende da una scelta successiva al transito stesso! Infatti il rivelatore viene inserito dopo che il fronte d’onda è transitato da entrambi i fori. Come dice Wheeler, la “scelta” di far passare il fotone da un solo foro o da entrambi è “ritardata”, cioè avviene dopo che il fotone è passato! Se non è follia questa!
Torniamo nuovamente all’esperimento di Feynman ed esprimiamo la conclusione in modo più matematico e meno empirico. Ormai lo possiamo fare, anche perché la matematica è estremamente semplice (in questo mondo di pazzia è appena nata). La probabilità che si verifichi un qualsiasi evento in un esperimento ideale (un esperimento in cui tutto è perfettamente specificato) è sempre il quadrato di qualcosa. Noi avevamo chiamato questo qualcosa a, ampiezza della probabilità. Quando un evento può compiersi in diversi modi alternativi (nel caso precedente, attraverso un foro o attraverso l’altro) possiamo dire che le varie ampiezze a di ogni alternativa si sommano. La probabilità finale sarà poi il quadrato di questa somma (interferenza, N12 = (a1 + a2)2 ≠ N1 + N2 = a12 + a22). Se, invece, l’esperimento è eseguito in modo da determinare esattamente quale alternativa è stata scelta, allora la probabilità finale diventa semplicemente la somma delle probabilità di ciascuna alternativa (N12 = N1 + N2 = a12 + a22).
Questa è una regola generale che possiamo estendere a tutti i fenomeni della Natura ed è anche la prima formula matematica che associamo alla MQ.
La domanda che tutti ci stiamo facendo è, a questo punto: “Sì, va bene, accettiamo pure questa conclusione. Ma, qual è la “macchina” in grado di produrre questa realtà indiscutibilmente illogica?” Nessuno la conosce, siamo in buona compagnia. Possiamo, al pari dei più grandi scienziati, limitarci a descrivere i risultati. Gli studiosi vi possono dare una spiegazione molto ampia e dettagliata, ossia vi possono mostrare molti esempi in cui quando si sa la posizione degli elettroni si distrugge immediatamente la figura di interferenza, non solo attraverso l’esperimento dei due fori. La matematica che descrive gli esperimenti e le conclusioni può diventare sempre più sofisticata fino a permettere predizioni e applicazioni. Può anche introdurre i numeri complessi e qualsiasi altra diavoleria, ma il succo del discorso non cambia: il mistero del come (e del perché) rimane un mistero ancora oggi, un mistero per il nostro cervello abituato alle leggi della fisica macroscopica.
Fatemi dire una frase estremamente strana, ma molto illuminante: “La Natura stessa non sa mai da quale parte passa l’elettrone”. Nel momento in cui qualcuno o qualcosa riesce a identificarlo, immediatamente si rompe la situazione originaria e l’interferenza si annulla. La Natura è costretta a prendere una decisione.
Ricordiamoci un’altra constatazione che fa parte ormai e da tanto tempo del nostro pensiero comune: “Le stesse condizioni di partenza devono produrre sempre lo stesso risultato finale”. Bene, essa non è più vera, nella MQ (in parte era già stata messa in dubbio dal caos). Noi potremmo riprodurre le stesse condizioni di partenza e compiere tutte le azioni nello stesso identico modo, ma non potremmo mai sapere dove l’elettrone passerà. Forse non lo sa nemmeno lui, dato che produce due onde di probabilità che creano interferenza, ossia riesce a trovarsi in due posti contemporaneamente. Le ripercussioni di questa realtà assurda della Natura ha dei risvolti pratici che potrebbero essere terribili. Immaginiamo di costruire un apparecchiatura come quella precedente in cui però se un elettrone passasse dal foro 1 innescherebbe un contatto che farebbe scoppiare una bomba atomica e inizierebbe la III guerra mondiale. Se invece passasse dal foro 2 la pace si manterrebbe (sempre che si possa chiamare pace quella odierna). Il futuro del mondo sarebbe legato solo e soltanto dalla decisione di un elettrone o -meglio ancora- dal fatto di avere voluto sapere da che parte è passato. Avremmo il 50% di probabilità di far finire l’Umanità. Cosa posso dirvi? – “Non guardate l’elettrone e lasciatelo passare come onda! Causerebbe interferenza su qualche muro, ma non farebbe esplodere un conflitto terrificante”.
Siamo proprio entrati nella filosofia ed è meglio tornare indietro e concludere qualcosa di più preciso per descrivere (solo descrivere, di più non possiamo fare) ciò che capita ai nostri elettroni.
Gli elettroni sono realmente corpuscoli quando viaggiano e lo riusciamo a provare guardandoli direttamente o rivelandoli in modo anche non invasivo. Tuttavia, essi hanno una libertà di scelta innata nel dove poter stare in un certo momento e quindi anche alla fine della loro traiettoria. Ne consegue che essi possono essere rappresentati molto bene attraverso la probabilità che hanno nell’essere in un certo punto (e, quindi, di passare da una o dall’altra fenditura). Più correttamente possiamo parlare di onda di probabilità ad essi associata, nel senso che descrive in termini probabilistici quali futuri sono possibili per un certo elettrone. Se preferiamo, gli stessi elettroni possono essere considerati una vera e propria onda (nel senso probabilistico del termine, però… attenzione a non volerlo pensare come un’onda formata da qualcosa se no rientrereste nella fisica classica e addio alla MQ).
Conosciamo, però, bene le caratteristiche delle onde (che siano di probabilità o di acqua poco importa): esse danno luogo a interferenza ed ecco che le frange viste sullo schermo colpito dagli elettroni mostrano proprio le zone dove le onde di probabilità si sommano e si sottraggono. La probabilità associata a un elettrone ha, infatti, sempre il 50% di passare da una fenditura o dall’altra. Queste onde di probabilità sono quelle che causano l’interferenza. Tuttavia, dobbiamo lasciare libera la probabilità associata a un elettrone. Se riusciamo a localizzarlo, si distrugge immediatamente la sua onda di probabilità (sappiamo esattamente dove si trova), l’elettrone si trasforma immediatamente in una particella e addio all’interferenza. Se, invece, abbiamo un solo foro, non permettiamo comunque il passaggio da una fenditura e l’onda di probabilità, che continua a esistere, non può comunque dar luogo alle frange dato che non esiste una sorella che interferisce con lei. Sia che la guardiamo e la trasformiamo in particella, sia che la lasciamo viaggiare come onda fino alla parete finale, non si può creare l’interferenza. Sulla parete finale, in ogni caso, l’onda diventa particella è fa “clic”. In fondo, è ovvio: la parete è servita a rilevarla. La probabilità finale di colpire un certo punto è identica sia per le particelle che per le onde, come ormai sappiamo molto bene.
In parole ancora più semplici e generali: all’atto dell’osservazione, una particella che ha insita in sé la probabilità di trovarsi in molti posti (come ad esempio in 1 o in 2), viene ad occupare una sola delle sue possibilità e inizia a vivere un’esistenza concreta.
La sua libertà è stata distrutta, dato che si è scoperto dove si trova, come quando si scopre un assassino che potrebbe nascondersi in mille luoghi della città. Quando, finalmente, si riesce a catturarlo, tutte gli altri possibili rifugi perdono di significato. Più tecnicamente, la probabilità di essere nella posizione rivelata è il 100%. E’ impossibile che si formi un’interferenza con un’altra onda di probabilità. L’altra onda avrebbe una probabilità uguale a zero. L’onda si è trasformata in un proiettile ben definito per “colpa nostra”. L’aspetto sconvolgente ma anche illuminante di queste scoperte è che tutto l’Universo e noi stessi siamo formati da particelle; le stesse particelle che esistono come materia quando le osserviamo ed esistono come onde di possibilità quando non le osserviamo.
Fatemi fare un altro esempio legato alla vita di tutti i giorni. Attenzione però, non è un’esperienza concreta, ma un’esperienza puramente mentale. Supponiamo che l’umore di una persona sia cattivo C o buono B e che la probabilità di trovarla in uno di questi due stati sia del 50 %. La MQ che abbiamo appena imparato a conoscere ci dice allora che l’umore della persona in oggetto, in un momento qualunque della giornata, è rappresentato dalla sovrapposizione degli stati C e B, ma che la probabilità P di trovarla di cattivo o di buon umore sta nel rapporto 0.5 a 0.5. Indichiamo con P(C) e P(B) le probabilità di trovarsi nei due casi C e B. Questa condizione si può scrivere simbolicamente con la formula banalissima: P = 0.5 P(C) + 0.5 P(B). Si può quindi anche dire che l’umore della persona oscilla (proprio come un’onda) dallo stato C allo stato B. Per saperne di più dobbiamo incontrarla (“osservarla”) e verificare quale sia realmente il suo umore. La potremo, ad esempio, trovare nello stato B, che ci permette automaticamente di dire che al momento dell’incontro abbiamo ridotto la sua funzione d’onda (onda di probabilità) al solo stato P = P(B). Semplicissimo, no? Questo discorso ci sembra più che logico quando parliamo di stati d’animo, ossia di pensieri astratti. Lo accettiamo molto meno quando ci riferiamo a particelle solide e concrete.
La differenza fondamentale, rispetto all’analisi dei fenomeni, tra fisica classica e fisica quantistica, è che nella prima l’interazione tra gli oggetti e gli apparati di misura può venire trascurata o eliminata, mentre nella seconda questa interazione è parte integrante del fenomeno. Non è l’interazione con la particella (fisica classica), ma è la determinazione dell’esatta posizione che distrugge l’onda di probabilità che possiede il 50% di passare da 1 e il 50% di passare da 2. Appena si sa dov’è, quella posizione possiede il 100% di essere vera e in tutto il resto dello spazio la probabilità diventa esattamente lo 0%, ossia nulla.
Un qualsiasi “microsistema” (fotone, elettrone, ecc.) non è obbligato da leggi deterministiche a percorrere traiettorie precise. Il “probabilismo” vieta esplicitamente a qualsiasi particella elementare di possedere una traiettoria definita. Nel caso dell’esperimento a due fenditure, anche un solo elettrone, o fotone che sia, percorre tutte le possibili traiettorie comprese tra la sorgente e la parete di arrivo. Percorrendo tutte le possibili traiettorie, la particella inevitabilmente incontra anche le due fenditure, riuscendo, dopo averle oltrepassate (e avendo quindi interferito con sé stessa), a produrre sullo schermo le bande chiare a scure tipiche dell’interferenza costruttiva e distruttiva.
Quando la particella passa attraverso la fenditura 1 ciò determina un certo mondo possibile (che chiameremo mondo 1); quando passa attraverso la fenditura 2, abbiamo invece il mondo 2. Nel nostro caso significa che entrambi questi mondi coesistono in qualche modo, l’uno sovrapposto all’altro.
Beh… ho pronunciato diverse frasi tutte molto simili, ma che potrebbero rifinire meglio il pensiero e il concetto relativo (astratto per definizione). Ora può bastare e proseguiamo con qualcosa di più tecnologico, ma davvero stupefacente. Dovremmo già aspettarcelo, ma la meraviglia dell’esperimento che segue è sempre indescrivibile. Uno di quelli che preferisco in assoluto per farmi accompagnare verso le pazzie del Paese di Alice.
cari tutti,
anche il terzo articolo sembra essere stato digerito. Adesso viene il bello e la ... spiegazione (chiamiamola così).
Sveltisco la pubblicazione per completare la mia prima parte entro sabato. Poi, per una settimana non penso di poter rispondere ai commenti. Avrete, quindi, una settimana per rileggere il tutto e sparare a zero (proiettili o elettroni... come preferite!)
La logica illogica finalmente è arrivata!!!!!
Leggendo mi è venuto in mente il Paradosso del gatto di Schrödinger. Praticamente da quello che ho capito, l'elettrone, finché non viene rivelata la sua posizione nello spazio, può esistere sia come onda che come particella??
Scusate la domanda forse banale,ma la faccio per non confondermi:quando nell'articolo si diceva che le particelle si scambiavano informazioni in tempo reale:si stava parlando dell'"informazione" che potrebbe viaggiare alla velocità della luce,in cui si è parlato nell'articolo precedente?Grazie anticipati!
Nei confronti della Meccanica Quantistica siamo un po' come Eugenio Finardi:
« Ma siamo tutti come Willy Coyote
Che ci ficchiamo sempre nei guai
Ci può cadere il mondo addosso, finire sotto un masso
Ma noi non ci arrenderemo mai. »
Fotoni, Neutrini e perché no, gli elettroni si prendono gioco di noi perché possono correre veloce quasi appartenessero ad un altro mondo...
Scaricato e stampati tutti gli articoli MQ così posso portarli sempre con me e approffittare di ogni momento per leggere perchè, diciamocelo, io ho bisogno di un tot per arrivare in fondo, poi devo rileggere, e rileggere.... se aspetto di essere a casa e avere il tempo di stare al pc....
Meno male che abbiamo una settimana di tempo per digerire ..... Grazie Enzo, stai facendo un lavoro pazzesco, non so come fai....grazie
E veramente un bellissimo articolo, forse uno dei più belli scritti da Enzo nel sito!
Avevo una vaga conoscenza del fenomeno dellosservazione che fa collassare la funzione donda ma la seconda parte dellarticolo era cosi ricca di spunti di riflessione che invece sono collassate tutte le mie certezze!
Avrei numerosissime domande, per rispetto nei confronti di tutti cercherò di ridurne il più possibile il numero ed esprimerle anche in modo comprensibile anche se non è semplice.
In estrema sintesi si dovrebbe considerare lelettrone come qualcosa che esiste solo in uno stato probabilistico (o nuvola di probabilità) e solo al momento di una eventuale osservazione viene ad occupare una sola delle sue possibilità di esistenza cominciando a vivere una vita reale e facendo collassare la funzione donda rendendo impossibili tutte le sue altre possibilità di esistenza..
Domanda 1: se lelettrone è una nuvola di probabilità che si muove come unonda,quando passa dalla fessura 1 aperta e con la fessura 2 chiusa dovrei avere lo stesso risultato di unonda invece ho lo stesso risultato di un proiettile. Questo è dovuto al fatto che è la stessa tavola di tungsteno a funzionare da rilevatore e quindi a rendere reale con losservazione solo 1 possibilità e rendere impossibili le altre facendo collassare la nuvola di probabilità in una sola particella reale?
Domanda 2: Con le due fessure aperte e senza osservazione si crea linterferenza. Mi sembra di aver capito che ciò deriva dal fatto che la nuvola di probabilità, al momento del passaggio nelle fenditure, si sdoppia in due nuvole di probabilità che possono interferire tra loro. E corretto?
Se fosse effettivamente cosi cosa succederebbe se procedo a fare la rilevazione subito prima delle fenditure e non dopo? In tal caso presumo che la nuvola di probabilità collasserebbe prima e quindi, se le fenditure non sono troppo lontane, lelettrone passerebbe solo da una fenditura (senza creare lo sdoppiamento della nuvola) determinando quindi lo stesso risultato del proiettile (invece se la rilevazione fosse troppo lontana non cambierebbe nulla)
Domanda 3: Attraverso losservazione posso far collassare la funzione donda facendo occupare allelettrone una sola sua possibilità di esistenza.
A questo punto posso regolare le osservazioni in moda da ottenere solo una determinata esistenza dellelettrone? In pratica posso agire sulla natura in moda da realizzare solo le possibilità che voglio?
Per spiegarmi meglio faccio un esempio: se con le 2 fenditure aperte metto un rilevatore appena dopo la fenditura 2. Magari ottengo elettroni solo in corrispondenza della fessura 2 senza interferenza ed elettroni nella fessura 1 .
Scusate tutti se sono stato troppo lungo e se dalle domande si evince che non ho capito bene però non volevo perdere loccasione di porre queste domande!