Come t’intrappolo i “camaleonti”

Un gruppo di fisici a Berkely sta tentando di identificare un’ipotetica particella chiamata “camaleonte”, una delle candidate più promettenti dell’energia oscura, che avrebbe le proprietà giuste per spiegare le osservazioni cosmologiche. Scopo dello studio, pubblicato su Science, è quello di verificare l’esistenza di queste particelle e porre dei limiti stringenti agli attuali modelli


In un nuovo studio pubblicato su Science, un gruppo di fisici sta tentando di identificare una possibile costituente dell’energia oscura, quell’enigmatica componente che rappresenta il 70 percento del contenuto materia-energia dell’Universo. Nel loro articolo, gli scienziati spiegano come alcune questioni fondamentali sull’evoluzione dell’Universo possono essere affrontate anche attraverso esperimenti di laboratorio. Se l’energia oscura si cela davvero nella forma di una ipotetica particella, chiamata “camaleonte”, Holger Müller, co-autore dello studio, e i suoi collaboratori all’Università della California a Berkeley sono intenzionati a rivelarla.

Illustrazione dell’esperimento per lo studio dell’energia oscura. Le condizioni nella camera a vuoto e l’utilizzo dei singoli atomi (puntini viola) come particelle di prova simulano le condizioni dello spazio vuoto. Crediti: Simca Bouma
Illustrazione dell’esperimento per lo studio dell’energia oscura. Le condizioni nella camera a vuoto e l’utilizzo dei singoli atomi (puntini viola) come particelle di prova simulano le condizioni dello spazio vuoto. Crediti: Simca Bouma

L’energia oscura venne scoperta nel 1998 quando gli astronomi trovarono che l’espansione dell’Universo sta accelerando, apparentemente causata da una forma di energia che permea tutto lo spazio e che costituisce circa il 68 percento dell’energia cosmica. Da allora, i teorici hanno proposto diverse teorie per spiegare questa misteriosa forma di energia. Potrebbe essere semplicemente una proprietà intrinseca dello spazio, associata alla famosa costante cosmologica che Albert Einstein introdusse inizialmente nelle sue equazioni della relatività generale, per poi rigettarla quando venne a conoscenza dei risultati di Edwin Hubble sull’espansione dell’Universo. Ma potrebbe anche essere una sorta di “quinta forza”, detta “quintessenza”, costituita da altre ipotetiche particelle, forse discendenti del bosone di Higgs.

Nel 2004, il fisico teorico Justin Khoury della Università della Pennsylvania e co-autore del presente studio propose una possibile spiegazione al perché le particelle che costituiscono l’energia oscura non sono state ancora rivelate: egli ipotizzò che in qualche modo esse si “nascondono”. In particolare, secondo Khoury le particelle dell’energia oscura, che egli chiamò “camaleonti”, hanno una massa variabile in funzione della densità di materia relativa all’ambiente nel quale si trovano.

“Sappiamo che il 70 percento dell’Universo consiste di energia oscura”, spiega a Media INAF Holger Müller, “ma non sappiamo cos’è l’energia oscura. Tra le tante possibilità, pensiamo che essa possa consistere di nuove particelle. Quelle che chiamiamo “camaleonti” non solo hanno le proprietà giuste per spiegare le osservazioni cosmologiche ma sono compatibili con tutti gli esperimenti che sono stati realizzati in precedenza. Questo è il motivo per cui è interessante considerare queste particelle allo scopo di trovare dei limiti sperimentali migliori agli attuali modelli, anche se possiamo continuare a lavorare su altre ipotesi”.

Nell’immensità dello spazio vuoto, le particelle-camaleonti avrebbero una massa piccola e eserciterebbero una forza a lungo raggio che sarebbe in grado di creare spazi sempre più vuoti. In laboratorio, invece, data la presenza di tutta la materia circostante, queste ipotetiche particelle avrebbero una massa maggiore e, quindi, eserciterebbero un’azione a corto raggio. In fisica, è noto che una massa piccola implica una forza a lungo raggio e viceversa. Dunque, ciò rappresenterebbe una alternativa per spiegare come mai l’energia che domina l’Universo sia difficile da rivelare in laboratorio.

Quando Paul Hamilton, ricercatore post-doc all’Università della California a Berkely e primo autore dello studio, lesse un articolo di Clare Burrage e Edmund Copeland che sottolineava il fatto che esisteva un modo per rivelare tali particelle, egli ebbe subito l’idea che l’interferometro atomico che aveva costruito con il gruppo di Müller sarebbe stato in grado di rivelare queste particelle, se esistono davvero. Infatti, Müller e il suo gruppo hanno realizzato alcuni tra i più sensibili rivelatori di forze che sono stati utilizzati per la ricerca di minuscole anomalie gravitazionali, che potrebbero indicare la presenza di eventuali deviazioni dalla teoria della relatività generale. “Lo scopo principale del nostro gruppo di ricerca è quello di costruire interferometri atomici per realizzare misure precise delle costanti fondamentali e verificare sperimentalmente le leggi della fisica, come ad esempio la misura della costante di struttura fine”, aggiunge Müller. “Di recente, però, ci siamo interessati sempre più al problema della materia oscura e dell’energia oscura”.

Una fotografia dell’apparato sperimentale. La sfera (al centro) ha un diametro di 25mm. L’esperimento misura la forza che si esercita tra gli atomi e la parte superiore della sfera. Crediti: Holger Müller
Una fotografia dell’apparato sperimentale. La sfera (al centro) ha un diametro di 25mm. L’esperimento misura la forza che si esercita tra gli atomi e la parte superiore della sfera. Crediti: Holger Müller

Dunque, mentre i rivelatori più sensibili sono fisicamente troppo grandi per rivelare l’eventuale forza a corto raggio dovuta alla presenza di una particella-camaleonte, il team di ricercatori si rese immediatamente conto che uno dei loro interferometri atomici meno sensibili sarebbe stato quello ideale. Nel loro articolo, Burrage & Copeland suggeriscono di misurare l’attrazione causata dal campo generato dalla particella-camaleonte tra un atomo e una massa più grande, anziché misurare l’attrazione tra due masse molto grandi, il che avrebbe cancellato il campo di forze associato alla particella-camaleonte fino al punto da non essere più rivelato. Ciò è quanto è stato fatto dal gruppo di Müller. Di fatto, i ricercatori hanno fatto “cadere” atomi di cesio su una sfera di alluminio del diametro di 25mm e poi mediante laser sensibili hanno misurato la forza esercitata sugli atomi mentre si trovano in caduta libera per un periodo di circa 10-20 millisecondi. Gli scienziati, però, hanno rivelato solamente la forza di gravità terrestre, il che esclude la presenza di altre forze dovute alle eventuali particelle-camaleonti che sono milioni di volte più deboli della gravità. Questo dato, perciò, elimina un ampio intervallo di energie associate all’ipotetica particella.

Esperimenti condotti al CERN di Ginevra e al Fermilab di Chicago, così come altri test che utilizzano interferometri neutronici, stanno cercando segnali riconducibili all’esistenza delle particelle-camaleonti, anche se ad oggi non sono stati ottenuti risultati positivi. Il gruppo di Müller sta attualmente ottimizzando il suo esperimento in modo da escludere tutte le altre possibili energie o, nel caso dello scenario migliore, per scoprire delle chiare evidenze che portano alla reale esistenza di queste ipotetiche particelle. “Müller esclude che queste particelle possano interagire con un’intensità più forte rispetto a quella esercitata dalla gravità sulla materia ordinaria e ora sta spingendo il suo esperimento verso nuove aree dove le particelle-camaleonti potrebbero interagire sulla stessa scala di energia in cui agisce la gravità, dove cioè queste particelle hanno una probabilità maggiore di esistere”, dice Khoury. Ad ogni modo, i risultati di un altro recente esperimento hanno permesso di restringere la ricerca di queste ipotetiche particelle a un migliaio di volte rispetto ai precedenti test. Müller, però, spera che il suo prossimo esperimento potrà far luce sul mistero che si cela dietro alle particelle-camaleonti, senza tralasciare l’ipotesi di altre particelle simili “ultra-leggere”, che potrebbero rappresentare in definitiva, anche se estremente elusive, le vere costituenti dell’energia oscura.

Comunque sia, questi esperimenti permettono di restringere il campo di ricerca relativo all’esistenza di altre ipotetiche particelle di energia oscura, come ad esempio i cosiddetti “symmetrons” o altre forme di gravità modificata. “Nel caso peggiore, ne sapremo di più su ciò che non è l’energia oscura. Un giorno, quasi certamente qualcuno sarà più fortunato di noi e troverà, si spera, la risposta”, conclude Müller.

L’articolo originale a cura di Corrado Ruscica è disponibile QUI.

Il lavoro scientifico pubblicato su Science è reperibile QUI, mentre la prestampa elettronica gratuita QUI.

Informazioni su Enrico Corsaro 88 Articoli
Nato a Catania nel 1986. Si laurea in Fisica nel 2009 e ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica nel 2013, lavorando presso l'Università di Catania e di Sydney, in Australia. Dopo il conseguimento del dottorato ha lavorato come ricercatore astrofisico presso l'Università Cattolica di Leuven, in Belgio, e continua ad oggi la sua carriera nel Centro di Energia Atomica e delle energie alternative di Parigi. Appassionato del cosmo e delle stelle fin dall'età di 7 anni, il suo principale campo di competenze riguarda lo studio e l'analisi delle oscillazioni stellari ed i metodi numerici e le applicazioni della statistica di Bayes. Collabora attivamente con i maggiori esponenti mondiali del campo asterosismologico ed è membro del consorzio asterosismico del satellite NASA Kepler. Nonostante il suo campo di ricerca sia rivolto alla fisica stellare, conserva sempre una grande passione per la cosmologia, tematica a cui ha dedicato le tesi di laurea triennale e specialistica in Fisica e a cui rivolge spesso il suo tempo libero con la lettura e il dibattito di articoli sui nuovi sviluppi del settore.

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2 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Articolo interessantissimo, perchè niente aiuta a capire bene una cosa come gli sforzi messi in atto per cercarla. Io mi ero sempre chiesto perchè la formula della R.R. E=mc2 non dovesse valere anche per la D.E., in questa ricerca c'è un accenno di spiegazione. Addirittura in prossimità di masse importanti si dice che l'energia oscura è milioni di volte più debole della gravità (la forza più debole delle quattro conosciute). Molto interessante anche la variabilità di questa energia oscura, rimane da capire (io per lo meno non l'ho capito) dove va la conservazione dell'energia!