Anche chi può essere considerato un astrofisico “tecnico” (e sono contento di esserlo) riceve grandi emozioni dal cielo stellato (io senz’altro). Molte volte esse sono legate a modelli che spiegano, a formule che descrivono, a teorie che vengono confermate, ecc., ecc. Tuttavia, anche la visione diretta di qualche oggetto o fenomeno può darmi grandi momenti di commozione. Ovviamente, non riesco a limitarmi a una visione parziale, legata ai miei sensi estremamente ridotti, ma sento il bisogno di usare tutti gli occhiali che la Scienza mi mette a disposizione. Se amo qualcuno voglio conoscerlo per quello che vale e non limitarmi a una conoscenza superficiale.
Ebbene, a volte, indipendentemente dall’importanza tecnica o teorica, dalla novità più o meno eclatante che rappresenta, vi sono situazioni che mi fanno venire i brividi, quelli sia mentali che fisici, ma non dovuti al freddo. In quel momento capisco perché la tecnica ci spinge sempre più in là. Non solo per farci capire meglio, per risolvere problemi, ma anche per regalarci sensazioni irraggiungibili in altro modo. Da questo punto di vista sono anch’io un astrofilo, un astrofilo, però, che vuole sapere tutto dell’oggetto che lo ha affascinato. Solo così raggiungo una vera commozione.
Il primo esempio riguarda uno strano fenomeno celeste, il suo nome tecnico é Herbig-Haro 46/47. Non sto a spiegarvi cosa sono questi fenomeni, dato che ne ho già parlato; vi ricordo solo che sono fenomeni associati a stelle ancora in fasce, a neonati che da un lato cercano di alimentarsi a più non posso della materia che li circonda (devono crescere!), ma dall’altro urlano il loro appetito e la loro gioia di vivere, espellendo un po’ di materia sotto forma di vento stellare. L’urto tra questa e la nube-placenta che ancora li circonda produce effetti luminosi simili a getti, a serpenti che si arrotolano, a strani arabeschi.
Se li guardassi con un normale telescopio non vedrei niente. Ma quando dico niente dico proprio niente, ossia una macchia nera (tecnicamente un globulo di Bok) che blocca completamente la luce delle stelle più lontane (Fig. 1).

Un vuoto, un niente che non può certo affascinare la vista. Nessun oggetto = osservazione fallita = tempo perso. Sarei troppo sbrigativo a “cambiare” amico celeste. Se approfitto delle immagini dei grandi telescopi, meglio se spaziali, la macchia nera sembra prendere vita. Ora assomiglia di più a una nube spessa e scura. Inoltre, al suo bordo si vede qualcosa, una macchiolina indistinta e poi, appena appena, un filamento (Fig. 2). Meraviglioso: sto vedendo l’urlo del neonato. Più che vedere ne ho una vaga idea, ma già mi sento più vicino a quella creatura che sboccia alla vita.

Non mi basta ancora e cerco gli occhiali più potenti che esistano al momento, quelli di ALMA, un radiotelescopio ancora a mezzo servizio, ma già stupefacente. Mamma mia! Adesso la stella appena nata è visibilissima (meglio dire la sua placenta, il suo uovo). Si vedono entrambi i getti di materia che si scontrano contro il gas che ancora la circonda: uno è diretto verso di noi e l’altro in direzione opposta. La nuova creatura diventa tridimensionale, viva, mostra il suo carattere. L’emozione mi assale sempre di più.
Non posso fare altro che guardarla attentamente e mettere a frutto le conoscenze che ho acquisito tecnicamente: chi ha mai detto che la tecnica non possa aiutare a riscaldare l’animo e donare una felicità quasi infantile? E allora la vedo! Sì, non è un difetto. Nella parte bassa della macchiolina grigia che ancora nasconde il neonato, riesco a percepire una specie di “bernoccolo”. Non solo, da lui sembra partire un sottile, evanescente sbuffo luminoso, quasi a novanta gradi dal corpo principale (Fig. 3). Il neonato non è solo! E’ accompagnato da una sorellina, più piccola, ma anch’essa affamata e urlante. Sto guardando una stella doppia che sta per fare il suo ingresso ufficiale nell’Universo. Mi sembra di avere (o forse è proprio vero) le lacrime agli occhi. Sto guardando una coppia di sorelline, che vogliono nascere. Mai si erano viste così bene e così da piccole. Si distinguono le due nubi scure, le loro placente che si riescono a separare. Tra non molto le scioglieranno e brilleranno come due stelle qualsiasi.

Devo ammetterlo, sono proprio commosso da quel piccolo bernoccolo che vuole competere con la sorella maggiore.
Nel lontano futuro, qualcuno riuscirà a osservarle, ma -forse- la giudicherà una stella come tante. Meglio cambiare oggetto, non è emozionante. Beh… per me non sarebbe certo così.
Tu chiamale se vuoi… emozioni!
Enzo..... tu chiamale se vuoi emozioni.... è stato proprio il tuo articolo ad emozionarmi nel percepire tutto il tuo amore per l'astronomia e per la scienza che ne sei un porta bandiera, ad un certo punto mi è sembrato di stare a leggere un report osservativo, un report davvero speciale come le emozioni che il racconto e l'immagine trasmettono.
grazie di tutto Enzo
in fondo siamo tutti onde... anche se alla fine diventiamo particelle diverse...
Enzo..... Sei uno schiaccia sassi.... Detto fatto, eh?
...allora sei umano....
La razionalità scientifica lascia spazio alle emozioni interiori, quelle che io ritengo siano il motore della vita, quelle che ti fanno buttare il cuore otre l'ostacolo, quelle che fanno si che l'impossibile razionale diventi il possibile irrazionale......quelle che fanno si che il mondo non si fermi.
Facciamoci emozionare sempre più...
Grazie Enzo.
Ma si può già intuire di che tipo di stelle si parla?
La sorellina rispetto alla maggiore semba tanto piccola, è forse una nana rossa?
Oppure si presumono uguali e sono solo le diverse fasi temporali della gestazione e farle sembrare diverse?
Wow! Mi è sembrato di stare in una sala parto.
D'altronde, anche noi siamo nati così... siamo davvero figli delle stelle.
Complimenti, tradurre movimenti di masse e grovigli di luce in vagiti cosmici e poppate voraci non è semplice, ma tu sai farlo benissimo.
Grazie, Vincenzo, mi ci voleva proprio un po' di emozione in una giornata altrimenti piatta e grigia.