Combinando osservazioni dell’Universo lontano fatte con i satelliti spaziali Herschel e Planck di ESA, i cosmologi hanno scoperto ciò che potrebbero essere i precursori dei grandi ammassi di galassie che vediamo oggi.
Le galassie come la nostra Via Lattea con le sue 100 miliardi di stelle sono tipicamente trovate in regioni non isolate. Nell’Universo di oggi, 13.8 miliardi di anni dopo il Big Bang, molte galassie si trovano in densi ammassi di decine, centinaia o anche migliaia di galassie.

Comunque, questi ammassi non sono sempre esistiti, e una domanda chiave nella cosmologia moderna è come tali strutture così massive si siano potute assemblare e formare nell’Universo iniziale.
Gettare luce su quando e come si siano formati dovrebbe fornirci una comprensione dei processi di evoluzione degli ammassi galattici, incluso il ruolo giocato dalla materia oscura nel modellare queste metropoli cosmiche.
Adesso, utilizzando le forze combinate di Herschel e Planck, gli astronomi hanno scoperto oggetti nell’Universo distante da noi, visti al tempo in cui esso aveva solo 3 miliardi di anni, che sembrano essere i precursori degli ammassi visti intorno a noi ad oggi.

Le minuscole fluttiazioni generate durante l’epoca inflazionaria hanno costituito i semi per la nascita delle future strutture: le stelle e le galassie di oggi. Dopo la fine dell’inflazione, le particelle di materia oscura hanno iniziato ad addensarsi intorno a questi semi cosmici, costruendo lentamente un network cosmico di strutture. Successivamente, dopo il rilascio della CMB, la materia ordinaria ha iniziato a cadere in queste strutture, originando a seguire stelle e galassie.
L’inserto mostra una visione ingrandita su alcuni dei processi microscopici che sono avvenuti durante la storia del cosmo: dalle minuscole fluttuazioni generate durante l’inflazione, alla densa zuppa di luce e particelle che ha riempito l’Universo primordiale; dall’ultima dispersione della luce sugli elettroni, i quali hanno dato origine alla CMB e alla sua polarizzazione, alla rionizzazione dell’Universo, causata dalle prime stelle e galassie, le quali inducevano ulteriore polarizzazione sulla CMB.
L’obiettivo principale di Planck era di fornire la mappa più precisa mai avuta della radiazione fossile del Big Bang, la radiazione cosmica a microonde. Per farlo, ha sorvegliato l’intero cielo in nove lunghezze d’onda differenti, dal lontano infrarosso al radio, in modo da eliminare emissioni in primo piano provenienti dalla nostra galassia e da altre nell’Universo.
Ma queste sorgenti poste fra noi e la radiazione cosmica a microonde possono essere importanti in altri campi astronomici, ed è stato nei dati di Planck a corta lunghezza d’onda che gli scienziati sono stati capaci di identificare 234 sorgenti luminose con caratteristiche che suggeriscono che esse debbano essere localizzate nel distante, e giovane Universo.
Herschel ha poi osservato questi oggetti tramite l’intervallo di lunghezze d’onda che va dal lontano infrarosso al submillimetrico, ma con una sensitività e risoluzione angolare molto più elevate di Planck.
Herschel ha rivelato che la grande maggioranza delle sorgenti identificate da Planck è consistente con dense concentrazioni di galassie nell’Universo giovane, in stati di elevata formazione di nuove stelle.
Ciascuna di queste giovani galassie è stata osservata convertire gas e polvere in stelle ad un tasso di formazione pari a circa 1500 volte la massa del nostro Sole per anno. Per confronto, la nostra Via Lattea oggi sta producendo stelle con un tasso medio di solo una massa solare per anno.
Anche se gli astronomi non hanno ancora stabilito in maniera conclusiva le età e le luminosità di molte di queste concentrazioni di galassie distanti, esse rimangono i migliori candidati trovati ad oggi per ‘protoammassi’ — precursori dei grandi, ed evoluti ammassi galattici che vediamo nell’Universo odierno.
“Prime evidenze di questo tipo di oggetti sono state trovate in precedenza da Herschel e altri telescopi, ma la capacità di osservare l’intero cielo a disposizione da parte di Planck ha consentito di trovare molti più candidati per questo studio,” dice Hervé Dole dell’Institut d’Astrophysique Spatiale, Orsay, scienziato a capo dell’analisi pubblicata su Astronomy & Astrophysics.
“Abbiamo ancora molto da imparare su questa nuova popolazione, il che richiede ulteriori studi che possano tracciare questi oggetti con altre osservazioni. Ma crediamo che essi costituiscano un pezzo mancante nella formazione delle strutture cosmologiche.“
L’articolo originale è disponibile QUI sul sito dell’ESA.
Grazie per la notizia ^^