Nei cent’anni successivi alla sua formulazione, la teoria della relatività di Einstein è stata messa alla prova da numerosi test sperimentali, superandoli tutti. Ma questi esperimenti sono stati effettuati in condizioni di gravità relativamente debole. I ricercatori hanno così iniziato a domandarsi se la teoria può descrivere l’universo anche in condizioni più estreme, come quelle che si verificano nelle regioni attorno ai buchi neri. Uno studio pubblicato da poco su “Physical Review D” suggerisce un modo per raggiungere questo obiettivo verificando i limiti della teoria: se la relatività generale smette di valere in prossimità dei buchi neri, sostengono gli autori dell’articolo, gli effetti potrebbero essere rilevati nei raggi X emessi dalla materia che viene inghiottita dai buchi neri. Secondo la relatività generale, il fenomeno che sperimentiamo come forza gravitazionale è il risultato della curvatura dello spazio-tempo (una combinazione delle tre dimensioni spaziali con la quarta dimensione temporale) attorno alle masse. Quanto più un oggetto è denso, tanto più deforma la struttura dello spazio-tempo e tanto più è intenso il suo campo gravitazionale. Attorno a oggetti come i buchi neri, resti di stelle massicce esplose così compatti che neppure la luce può sfuggire alla loro attrazione gravitazionale, lo spazio-tempo è fortemente distorto. Per formulare una previsione di come lo spazio-tempo sia curvato attorno ai buchi neri, i fisici usano le leggi della relatività e il cosiddetto teorema no-hair, o teorema dell’essenzialità, secondo cui i buchi neri sono definiti da due sole grandezze: massa e rotazione. In termini tecnici, la curvatura è denominata soluzione di Kerr.
Provare che la soluzione di Kerr fornisce un’accurata descrizione dello spazio-tempo in prossimità di un buco nero mostrerebbe che la relatività generale vale anche in ambienti con una gravità estrema. Ma finora nessuno è riuscito a provare la correttezza della soluzione di Kerr. Idealmente gli astrofisici dovrebbero registrare il moto di un oggetto mentre viaggia nella regione attorno a un buco nero per caratterizzare la curvatura dello spazio-tempo. Alcuni buchi neri però misurano solo diversi chilometri di diametro, una distanza assai piccola su scala cosmica: attualmente non è possibile tracciare singoli oggetti che si muovono in uno spazio così limitato a distanza di anni luce. Anche in assenza di prove osservative che indichino che la relatività smette di valere nei buchi neri, “i fisici teorici non hanno mai smesso di proporre teorie alternative alla relatività”, ha spiegato l’astrofisico Jonathan Gair dell’Institute of Astronomy dell’Università di Cambridge, nel Regno Unito. Queste teorie alternative producono descrizioni della curvatura dello spazio-tempo differenti dalla soluzione di Kerr. Per aiutare a capire se sia la relatività o una della sue concorrenti a descrivere correttamente la curvatura dello spazio-tempo attorno ai buchi neri, Gair e il suo collega di istituto e astrofisico Christopher Moore hanno usato un modello al computer per simulare diversi buchi neri con curve dello spazio-tempo che in qualche modo deviano dalla topografia descritta nella soluzione di Kerr: queste deviazioni sono chiamate bumps, cioè bernoccoli. Il gruppo voleva verificare se osservatori sulla Terra possono rilevare la strana curvatura attorno a questi buchi neri irregolari, così hanno cercato firme caratteristiche dei bernoccoli nella radiazione di buchi neri simulati. Poiché un buco nero inghiotte la materia circostante, quest’ultima emette raggi X con caratteristiche che variano in funzione del campo gravitazionale del buco nero. Moore e Gair hanno simulato i buchi neri sia con protuberanze descritte in specifiche teorie alternative della gravità sia in un gruppo più generale di buchi neri variamente deformi.
“Volevamo fare qualcosa di più generico, perché, se la relatività generale non è corretta, è possibile che la deviazione a cui abbiamo pensato non sia quella giusta”, ha spiegato Gair. I ricercatori classificano il loro buchi neri bitorzoluti (bumpy) in tre categorie, secondo le dimensioni delle protuberanze: nella prima categoria, la curvatura dello spazio-tempo attorno a un buco nero differisce in modo significativo dalla soluzione di Kerr, anche a grandi distanze dal buco nero. Nella seconda e terza categoria le protuberanze diminuiscono sempre più rapidamente, ha spiegato Moore. Esaminando i raggi X prodotti dai loro buchi neri simulati, Moore e Gair hanno determinato quali deformazioni potrebbero essere rilevate in condizioni reali e quali, invece, si confonderebbero con un universo conforme alle leggi della relatività. Secondo Moore, il gruppo ha identificato quattro protuberanze che diminuiscono entrambe nel modo più lento possibile e che potrebbero essere facilmente rilevate. Conoscere le firme caratteristiche nei raggi X che corrispondono a particolari bernoccoli del buco nero significa avere un punto di riferimento per i ricercatori che in futuro si occuperanno delle osservazioni in raggi X dei buchi neri. Secondo Dimitrios Psaltis, astrofisico dell’Università dell’Arizona che non ha partecipato allo studio, l’osservatorio per raggi X ATHENA dell’Agenzia spaziale europea effettuerà queste osservazioni quando verrà lanciato nel 2028.
Mike Kesden, astrofisico dell’Università del Texas a Dallas, non coinvolto nello studio, sottolinea che poiché solo alcune protuberanze di buco nero ipotizzate da Moore e Gair possono essere evidenziate con i raggi X, lo studio fornisce ulteriore sostegno alla costruzione di rivelatori di onde gravitazionali. Queste ultime sono increspature dello spazio-tempo che potrebbero codificare informazioni sulla forma dello spazio-tempo attorno ai buchi neri. In effetti, Moore e Gair hanno in programma la pubblicazione di un altro studio sulla possibilità di usare onde gravitazionali per misurare i bernoccoli dei loro buchi neri simulati. Così, anche se l’emissione di raggi X non riuscirà a definire i limiti di validità della relatività generale in prossimità di buchi neri bitorzoluti, potrebbero farlo le onde gravitazionali. Articolo originale QUI.
Sempre complicato commentare questi studi in cui la matematica la fa da padrona. Ho trovato questa spiegazione (senza formule!!!) che, secondo me, può aiutare a capire: http://www.vialattea.net/esperti/php...a.php?num=6490 Mi pare, addirittura, che ci sia un accenno a qualcosa che ricorda lo studio che si porta avanti nel bell'articolo di Red.
Sempre link interessanti @Gaetano M.. Grazie