Avete mai sentito parlare di un telescopio spaziale rettangolare?

Da sempre parlando di telescopi si pensa ad uno specchio rotondo, singolo o multiplo…


…ma finora non si è mai parlato di uno specchio rettangolare.

È quanto riportato da un articolo tratto da un sito, che per me è una “new entry“, SciTechDaily, che si occupa di Scienze in generale ed in particolare di Tecnologia e di Spazio: è apparso recentemente un articolo senza dubbio interessante, ma che tutto sommato è una pura curiosità, oggetto dello studio di un team di scienziati.

Il progetto nasce dalle idee di altri progetti ed è stato esteso con la simulazione di presenza di esopianeti in un insieme di stelle vicine al Sistema Solare, entro un raggio di 10 parsec e con stelle scelte (a partire dai dati del database di SIMBAD e di GAIA) in base alla classe spettrale, dimensioni e temperatura.

Anche in questo caso farò una traduzione ragionata e non certo artificiale dell’articolo scritto da Heidi Newberg (del Dipartimento di Fisica, Fisica Applicata e Astronomia, del Rensselaer Polytechnic Institute, Troy, New York, responsabile dello studio originale).

L’articolo in sé presenta tantissime argomentazioni ben note e non scende più di tanto nell’analisi del progetto, viceversa particolarmente complesso e che va letto se si vuole avere una migliore visione della proposta.

Questo progetto geniale di telescopio potrebbe finalmente trovare il gemello della Terra

Si tratta di uno studio per la ricerca di esopianeti ed in particolare quelli Earthlike (simili alla Terra) che sono molto difficili da trovare perché le stelle attorno cui ruotano praticamente li sommergono di luce. I telescopi convenzionali non sono all’altezza, mentre un telescopio per infrarossi di forma rettangolare potrebbe essere il più adatto: potrebbe trovare dozzine di mondi promettenti nel raggio di 10 parsec (circa 30 anni luce), spianando la strada all’individuazione di segni di vita.

Le origini della vita e il ruolo dell’acqua

La Terra è l’unico posto conosciuto ad ospitare la vita: tutti gli esseri viventi dipendono dall’acqua liquida per innescare le reazioni chimiche necessarie.

Organismi monocellulari sono nati quasi contemporaneamente al pianeta, ma ci sono voluti tre miliardi di anni perché evolvessero gli organismi multicellulari: gli umani, per paragone, esistono solo da una piccolissima frazione della storia della Terra, meno di un decimillesimo dell’età del pianeta.

Questo tracciato temporale suggerisce che la vita potrebbe sorgere abbastanza spesso su pianeti in cui è presente acqua liquida, ma entità intelligenti in grado di esplorare il cosmo potrebbero essere meno comuni.

Le limitazioni dei viaggi spaziali e gli obiettivi di ricerca

La sfida è che lo spazio è incredibilmente vasto e le leggi della Fisica ci impediscono di muoverci o comunicare più veloci della luce: questa restrizione significa che solo le stelle più vicine al Sole potrebbero (ndr: siamo ancora a livelli di fantascienza, però) essere esplorate nel tempo di una generazione, con sonde automatiche. Tra queste stelle più vicine, i migliori candidati sono quelle che assomigliano al Sole per grandezza e temperatura, perché hanno una vita propria sufficientemente lunga e rimangono stabili per permettere lo sviluppo di vita complessa.

Attualmente gli studiosi hanno identificato circa 60 stelle simili al Sole entro una distanza di 10 parsec dalla Terra e i luoghi più promettenti da studiare sono i pianeti che abbiano le dimensioni e la temperatura comparabili con quelle della Terra, con possibilità di presenza di terreno roccioso e acqua liquida.

La travolgente luminosità delle stelle

La maggiore sfida è osservare un esopianeta simile alla Terra separato dalla stella attorno a cui orbita, dato che anche nelle migliori situazioni la stella è milioni di volte più brillante del pianeta: se i due oggetti sono inglobati, sfocati in un unico oggetto, non c’è  possibilità di rilevare il pianeta.

La teoria dell’Ottica dice che la migliore risoluzione che si possa ottenere nelle immagini telescopiche dipende dalle dimensioni del telescopio e dalla lunghezza d’onda della luce osservata: pianeti dotati di acqua liquida emanano la maggior quantità di luce intorno ai 10 micron ed a questa lunghezza d’onda un telescopio deve raccogliere la luce da una distanza di almeno 20 metri per ottenere la risoluzione necessaria a distinguere un pianeta dalla sua stella, a 10 parsec luce di distanza.

Inoltre, il telescopio si deve trovare nello spazio, dal momento che l’atmosfera terrestre sfocherebbe troppo l’immagine: però il più grande telescopio spaziale attualmente esistente, il JWST (James Webb Space Telescope) ha un diametro di appena 6 metri e mezzo ed anche con queste dimensioni è stato molto complesso lanciarlo nello spazio, ripiegandolo in varie parti.

Telescopi alternativi e relative sfide

Dato che deployare un telescopio spaziale di 20 metri è al di fuori della portata della tecnologia attuale, in altri progetti gli scienziati avevano cercato approcci alternativi, ad esempio lanciare un gran numero di piccoli telescopi da mantenere a distanze estremamente accurate in modo da creare un telescopio di diametro maggiore. Ma anche questa proposta non è fattibile dato che l’accuratezza del posizionamento dei vari specchi richiederebbe una precisione estrema (al livello delle molecole) attualmente improponibile.

Altre proposte prevedono l’utilizzazione di lunghezze d’onda più piccole così da poter utilizzare telescopi conseguentemente più piccoli, ma nel caso della luce visibile la luce della stella è di 10 miliardi di volte più brillante del pianeta: anche se si sfruttasse un’ottima risoluzione per le immagini, siamo ancora ben al di sotto delle possibilità tecnologiche di bloccare la luce della stella per poter distinguere il pianeta.

Un’altra idea (ndr: davvero stravagante) è quella di bloccare la luce di una stella per mezzo di un coronografo, una sonda chiamata starshade (ombra stellare), larga una decina di metri, posta ad una distanza di decine di milioni di km dal telescopio spaziale, in modo tale da bloccare esattamente la luce della stella senza bloccare la luce del pianeta. Che dire? Siamo in pienissima fantascienza, considerando il fatto che ovviamente le sonde da lanciare sono due e non una sola ed in più per puntare il telescopio verso varie stelle, bisognerebbe spostare lo starshade di moltissimi milioni di km, usando quantità proibitive di propellente.

Un nuovo tipo di telescopio, di forma rettangolare

Ecco l’immagine artistica del progetto di un telescopio spaziale rettangolare, che prende lo spunto dal JWST e dal cosiddetto DICER (Diffractive Interfero Coronagraph Exoplanet Resolver, di cui si parla in questo articolo di UniverseToday) un telescopio spaziale immaginario nell’infrarosso.

Credit: Leaf Swordy/Rensselaer Polytechnic Institute

Ma lasciamo la parola agli autori dello studio pubblicato.

Proponiamo un’alternativa decisamente più fattibile, mostrando che è possibile trovare un pianeta simile alla Terra in orbita attorno ad una stella simile al Sole, per mezzo di un telescopio che è grande quasi come il JWST, operante all’incirca alla stessa lunghezza d’onda dell’infrarosso (10 micron), con uno specchio rettangolare di un metro per venti.

(ndr : Nell’immagine, non in scala, si vede dall’alto lo specchio primario da 1 x 20 metri che convoglia la luce verso lo specchio secondario (da 1 x 2.3 metri, distante circa 23 metri dal primario e fuori asse per non intralciare il percorso ottico), che invia a sua volta la luce ad un coronografo e ad altri apparati elettronici. )

Con questo tipo di specchio possiamo separare una stella da un esopianeta lungo la direzione in cui lo specchio è lungo 20 metri e per trovare esopianeti a qualsiasi posizione intorno alla stella, lo specchio può essere ruotato in modo tale che l’asse dello specchio sia allineato con la stella ed il pianeta.

A questo proposito mostriamo che questo tipo di telescopio potrebbe trovare in meno di tre anni la metà di tutti gli esopianeti simili alla Terra ad una distanza di 10 parsec dalla Terra.

Mentre il nostro progetto necessita di ulteriori studi per raggiungere le capacità richieste, non ci sono altri requisiti stringenti ed insormontabili che richiedano sviluppi tecnologici intensivi, come nel caso di altri tipi di progetti appena visti.

Lo specchio primario ed il secondario potrebbero infatti essere ripiegati opportunamente (come era stato fatto per il JWST) insieme alle parti restanti per trovare posto nella stiva di un lanciatore Falcon Heavy, per essere poi diretti verso il punto lagrangiano L2 dove si trova già il JWST.

Verso la Terra 2.0 : la ricerca della vita

Lo studio di questi pianeti potrebbe evidenziare quelli dotati di atmosfera adatta alla presenza di vita, con presenza di ossigeno formatosi con la fotosintesi: per questo scopo dunque nasce un telescopio rettangolare che potrebbe aprire la strada verso l’identificazione di una Terra 2.0, sorella della nostra Terra.

(ndr: e qui torniamo nella pura fantascienza…) Nel caso dei candidati più promettenti, potremmo lanciare una sonda che al termine del (ndr: lunghissimissimo) viaggio ci invii le immagini della superficie del pianeta.

Uno dei pochi commenti all’articolo

Un certo CaliJim ha espresso la sua opinione in merito alla frase che dice che “potrebbe trovare dozzine di mondi promettenti nel raggio di 10 parsec, spianando la strada all’individuazione di segni di vita”, rispondendo che suona benissimo fino a che non si fanno un po’ di conti.

La Parker Solar Probe è l’oggetto più veloce costruito dall’uomo, con una velocità di 690.000 km/h. Volendo sfruttare questa velocità per un viaggio di 30 anni luce, ci vorrebbero 47.000 anni per arrivare a destinazione (ndr: mi fido dei calcoli!).

Invece la sonda spaziale più veloce con astronauti a bordo viaggia a 39.400 km/h e con questa velocità ci vorrebbero 27.000 anni per percorrere appena 1 anno luce, il che comporta una durata di 810.000 anni per raggiungere la stella a 30 anni luce di distanza.

(ndr: e conclude dicendo… ) Forse dovremmo smettere di fantasticare su altri mondi ed altri sistemi stellari, invece di pensare più seriamente al mondo che abbiamo ed in cui viviamo…
(ndr: nulla da obiettare).

Concludo invitando gli interessati a questo studio, a leggere il documento abbastanza complesso che descrive questo telescopio da 1 x 20 metri, composto da 20 segmenti da 1 metro quadro di specchi al berillio.

 

Informazioni su Pierluigi Panunzi 583 Articoli
Classe 1955, sono nato e vivo a Roma, laureato in Ingegneria Elettronica, in pensione dopo aver lavorato per anni nel campo del software, ma avrei voluto laurearmi in Astronomia. Coltivo la passione per l’astronomia dal giorno successivo allo sbarco dell’uomo sulla Luna, maturando un interesse sempre crescente per la Meccanica Celeste, il moto dei pianeti, la Luna e i satelliti. Da molti anni sono divulgatore scientifico e in passato ho presieduto a serate astronomiche organizzate a Roma e paesi vicini. Da parecchi anni mi sto perfezionando nell’astrofotografia grazie all’auto-regalo di varie apparecchiature digitali

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