
Quell’enorme grattacielo lo aveva sempre incantato e spaventato. Un misto di meraviglia e di paura. Era così alto con i suoi 250 piani che spesso le nuvole avvolgevano la parte superiore, soprattutto nelle grigie giornate d’inverno. Non vi era mai salito proprio per quella contraddizione di sentimenti, ma in fondo gli dispiaceva di non averne avuto il coraggio. E così, quel giorno che gli fu ordinato di recapitare un pacco urgente al centotrentasettesimo piano, fu come se avesse avuto una liberazione. Una specie di alibi che lo costringeva finalmente a vincere l’avversione latente ed il senso di disagio.
Alle nove del mattino di uno splendido giorno autunnale si avvicinò alla porta scorrevole dell’ascensore con il “lavoro” sotto al braccio. Era l’unico a salire e fu colto da un attimo di apprensione. Poi scrollò le spalle e disse ad alta voce: ”è possibile che a cinquanta anni sono ancora così stupido?” Ed entrò deciso nell’abitacolo, con uno sforzato sorriso sul volto. Schiacciò il pulsante del suo piano e attese mentre un brivido leggero gli scorreva lungo la schiena. Sentì come un peso sullo stomaco. Forse era l’accelerazione, ma in cuor suo sapeva che non era solo quello. Poi lentamente si calmò. Accidenti c’era gente che andava su e giù ogni giorno e nemmeno ci faceva caso. Non aveva mai letto di nessun incidente capitato in quel palazzo e quindi tutto doveva essere perfettamente funzionante. Sullo schermo che indicava i piani, i numeri scorrevano velocemente: 70, 80, 90, 100 … Ormai stava per arrivare e niente era ovviamente successo. Si vergognava profondamente della sua dabbenaggine. 110, 120, 125, 130… Mentre stava aspettando che la porta si aprisse, con un grande sorriso stampato sul volto, cominciò addirittura a pensare di andare fino alla cima dopo aver consegnato il pacco. Che male c’era? Avrebbe perso solo una decina di minuti, ma avrebbe visto un panorama mozzafiato.
135, 136, 137, 138 … Accidenti, in preda alla sua stupida angoscia si era sbagliato a schiacciare il pulsante. 140, 150, 160 … Impossibile! Come aveva potuto sbagliare di così tanto? 170, 180, 190, 200 … Ma si! Che sciocco. Aveva schiacciato il 237 invece del 137. Era ovvio. Meglio così. A questo punto era meglio raggiungere subito la cima e poi scendere al suo piano. 230, 235, 236, 237, 238 … Perché non si era fermato al 237? Che pulsante aveva mai premuto? 240, 250, 251 … 251?! Ma era assurdo. Sapeva benissimo che il palazzo aveva solo 250 piani, non uno di più né uno di meno. 260, 270, 280 … O si era sempre sbagliato? Eppure no: non vi erano pulsanti oltre al 250. Che fossero piani non abilitati ai normali visitatori? Ma no, ma no! Come avrebbe fatto a schiacciare un pulsante che non esisteva? Il sudore cominciò a scendergli lungo la fronte e le gambe iniziarono a tremare. 290, 300, 350, 400 … E nessun segno di rallentamento. Cominciò a strofinarsi gli occhi ed a darsi pizzicotti. Forse stava ancora sognando e tra breve si sarebbe svegliato madido di sudore. Era talmente grande la paura per quell’avventura che sicuramente aveva avuto un incubo. Doveva solo svegliarsi e tutto sarebbe finito. 500, 550, 600 … Gli uscì addirittura il sangue dalle ferite che si era fatto con le unghie sul braccio, ma i numeri continuavano a scorrere implacabili.
650, 700, 750 … Ma dove lo stava portando quel maledetto ascensore? Non poteva esistere un palazzo così alto. Si costrinse a ragionare con freddezza. Forse si era solo rotto il contatore. Lui in realtà si era già fermato, ma lo schermo continuava a scrivere numeri a caso. Doveva suonare l’allarme. Guardò tutt’attorno, ma non vide nessun altro pulsante. Tanta tecnologia, e poi si erano dimenticati di mettere una cosa così essenziale. Maledisse la casa costruttrice, i collaudatori e tutti quelli che non avevano fatto presente una mancanza così grave. Cominciò a sbattere la porta con forza, sperando di essere udito da qualcuno. Ma sembrava un’impresa senza speranza, con quel rumore di sottofondo. Rumore? Oh Dio! Era vero. C’era il rumore del motore. E quindi voleva dire che l’ascensore continuava a muoversi. Come aveva fatto ad illudersi di essere fermo? 900, 1000, 1100 … Iniziò a piangere e si coricò per terra. Prima o poi si sarebbe schiacciato contro il soffitto o sarebbe precipitato a folle velocità. Era la fine, ne era sicuro. Ecco perché aveva sempre avuto paura di quel maledetto grattacielo. Non aveva voluto dare retta alla sua premonizione ed ecco il bel risultato.
E’ un racconto perfetto. Complimenti. Starei per chiedere se per caso ci sono riferimenti autobiografici, o ‘solo’ biografici (in questo come negli altri racconti), ma magari sarei indiscreto, così non chiederò.
Comunque complimenti.
@Alex,
non sei assolutamente indiscreto … No, in questo assolutamente no. Anzi sono proprio all’opposto, direi. Mentre invece posso dirti che la base dell’amica in qualche modo mi è vicina, avendo sofferto da piccolo di balbuzie. E devo dire che in effetti mi è servito molto a non avere mai paura, da grande, a parlare in pubblico ed a sconfiggere il problema. Anzi mi ha fatto un vero chiaccherone nei congressi. Però, purtroppo, non avevo la mia … stella.
Il tema di questo racconto, se non sbaglio, è: le occasioni nella vita che non sono state sfruttate per pigrizia, pavidità o stupidità; beh, in quell’ascensore, al piano 99900 ci sono stato, un paio di volte, ma anch’io… non ho aperto la porta.
Ricordi dolorosi… 😐 meglio dimenticare.
@Alex,
ma non eri tu che mi accusavi di essere troppo pessimista ? Penso che tu sia giovane, stai sicuro che di ascensori ne troverai ancora tanti. Schiaccia pure il bottone di apertura: è sempre meglio avere delusioni, ma aver tentato, che rimanere con il rimorso … Almeno io ho sempre fatto così e alla fine la bilancia mi ha dato ragione. Su con la vita!!! E non mi accusare più di essere cattivo…
condivido in pieno il parere di alex -sul racconto, non sulle occasioni sprecate-.
è un racconto perfetto.
sorrisiinvidiosi
daria