Sapete tutti che per ogni stella è possibile calcolare la cosiddetta “zona abitabile”, ossia quella fascia posta a una distanza dall’astro tale che le condizioni permettano di sostenere una vita biologica simile alla nostra. Detto in parole povere, è la zona in cui l’acqua si manterrebbe allo stato liquido. Tuttavia, il calcolo è molto più complicato e deve tener conto delle abbondanze di molti composti chimici e del tipo di atmosfera e della copertura nuvolosa. In qualche modo c’entrano anche la ormai celeberrima anidride carbonica e l’effetto serra, ma in un modo molto più serio e scientifico di quanto non venga riportato dai media in relazione al global warming. Non per niente la famosa dipendenza temperatura-CO2 è naufragata completamente e chi l’aveva assicurata non sa più a cosa aggrapparsi. Ne parleremo certamente, dato che siamo vicini a una svolta storica riguardo alla litania del riscaldamento globale.
Tuttavia, la zona abitabile, pur se calcolata con grande precisione, ha un ulteriore problema da fronteggiare: la variabilità della stella. Ammettendo pure che sia di buona famiglia, ossia stia sulla sequenza principale senza strane manifestazioni impreviste, la stella ha uno stile di vita non perfettamente costante. Durante la fase “tranquilla”, che lei spende dall’entrata nella sequenza principale fino alla sua uscita, subisce un leggero ma continuo aumento di luminosità. Ne consegue che anche la zona abitabile si “muove” rispetto alla stella e un pianeta che era nato al suo interno potrebbe tranquillamente uscirne fuori o viceversa. Ovviamente, il movimento della zona abitabile avviene nella direzione che punta verso l’esterno del sistema stellare, dato che l’astro riscalda sempre di più.
Diventa, allora, estremamente importante calcolare questo movimento per i vari tipi di stella e il tempo in cui un certo pianeta rimane all’interno della zona abitabile. Si usano vari modelli per descrivere la variazione della zona abitabile, ma i risultati sono piuttosto ben definiti.
Riassumendo, conosciuta la stella si calcola la sua zona abitabile e la sua variazione rispetto al tempo. Per ogni pianeta al suo interno si può ricavare la “speranza di vita”, ossia il tempo in cui sarà in condizioni di sostenere una vita come la nostra.
Ovviamente, il primo pianeta a cui applicare questo modello dinamico è la Terra, dato che abbiamo un interesse molto particolare riguardo alla sua “speranza di vita”. Chiamiamo più tecnicamente questa speranza di vita col nome di “durata della ZA (zona abitabile)”. Per il nostro pianeta risulta compresa (a secondo del modello usato) tra i 6.3 e i 7.8 miliardi di anni. Poi la Terra vedrebbe i suoi oceani evaporare e probabilmente solo primitive forme di vita potrebbero sopravvivere. A questo riguardo vale la pena fare una piccola constatazione: all’inizio della vita terrestre dominavano gli organismi più semplici e lo stesso succederà quando sarà prossima alla fine. La vita complessa e sofisticata occupa, perciò, una piccolo periodo di tempo. E’ come se si costruisse lentamente una montagna con tanti piccole pietre e poi si disfacesse altrettanto lentamente. La montagna alla sua massima altezza durerebbe ben poco.
Torniamo ai nostri calcoli. Con i numeri a disposizione possiamo fare una semplice differenza. Il Sole è nato circa 4.5 miliardi di anni fa e la Terra era all’interno della ZA. Ne segue che per conoscere il tempo che ci resta da vivere basta fare 6.3 (o 7.8) meno 4.5. Otteniamo un periodo compreso tra 1.8 e 3.3 miliardi di anni. Marte è molto più “fortunato”, dato che resterà all’interno della zona abitabile fino all’uscita definitiva del Sole dalla Sequenza Principale (oggi è leggermente al di fuori della ZA). Converrà trasferirsi su di lui? No, direi proprio di no, dato che le condizioni attuali sono ben diverse da quelle che vorremmo avere e certamente non miglioreranno di molto. Troppo piccolo e per troppo tempo è stato fuori dalla ZA. Meglio cercare altrove.
Disegniamo, allora la Fig. 1, dove sulle ascisse vi è la distanza dalla stella e in ordinata la sua massa. Le linee quasi verticali rappresentano i confini della zona abitabile per tre diversi modelli. In essa sono stati inseriti i tre pianeti del Sistema Solare e i sette esopianeti, finora confermati come di tipo terrestre all’interno delle ZA. Questa figura si riferisce al momento in cui la stella entra nella sequenza principale.

La Fig. 2 si riferisce agli stessi pianeti, ma al momento dell’uscita delle stelle dalla sequenza principale. I pianeti non si muovono, ovviamente, ma lo fanno le linee che delimitano la ZA.

Attenzione: non fatevi ingannare dal confronto delle due figure. Sembrerebbe che lo spostamento maggiore sia relativo alle stelle più piccole. Ciò è geometricamente vero, ma dobbiamo pensare che il tempo necessario per passare dalla Fig. 1 alla Fig. 2 è anch’esso funzione della massa stellare. Per le stelle piccole supera le decine di miliardi di anni, per le più grandi è decisamente minore. Infatti, come già detto, le due figure non si riferiscono a tempi assoluti, ma ai momenti di entrata e uscita dalla sequenza principale che non sono certo costanti per stelle di massa diversa.
Facendo i calcoli. Si trova che Kepler 22b ha un tempo di vita nella ZA abbastanza ristretto: da 4.3 a 6.1 miliardi di anni. Forse troppo breve per essere stata in grado o essere in grado di costruirsi una vita veramente complessa. Molto meglio vanno le cose per HD 40307g, una super-terra che ha una speranza di vita compresa tra 8.6 e 14.2 miliardi di anni. Ancora migliori sono le condizioni di Gliese 581d che rimarrà nella sua ZA per almeno 42.4 miliardi di anni. Nella Fig. 3 sono riportati, invece, i 27 candidati scoperti da Kepler (ma ancora non pienamente confermati) al momento dell’entrata della loro stella nella sequenza principale. Essi hanno tempi di vita compresi tra 0.5 e 18.8 miliardi di anni.

Come già detto, più la stessa è piccola e più la sua vita è lunga e quindi anche la durata di vita permessa ai suoi pianeti. Insomma, la nostra Rosetta (per i nuovi arrivati, intendo una nana rossa) dà maggiori garanzie, per certi versi, allo sviluppo di una vita oltremodo lunga e complessa.
Siamo sicuri, però, che molti altri pianeti terrestri faranno il loro ingresso e ci permetteranno di scegliere il posto migliore dove migrare (sempre che si ottenga, un giorno, la tecnologia adatta). A questo punto fatemi fare un’altra piccola considerazione. Uno dei problemi più grandi dell’uomo odierno è proprio la migrazione. Un obbligo per molti e un fastidio per gli altri. Cosa diremo quando tutta l’umanità dovrà trasferirsi? E che cosa diranno e faranno coloro che ci vedranno arrivare con le nostre “barche” spaziali? Ci ricacceranno nel mare cosmico o ci accoglieranno? Speriamo solo che non la pensino come l’attuale umanità…
Tutti questi discorsi sono, però, solo speculativi sia da un punto di vista ottimistico che pessimistico. Può darsi che altri mondi ben diversi dalla Terra possano costruirsi un tipo di vita differente, anche se altrettanto complessa, e in tempi decisamente minori. I mattoni della vita sembrano uguali in tutto l’Universo conosciuto, ma le possibilità di combinarsi in modo costruttivo sono probabilmente molto numerose. Può anche darsi, però, che la vita sulla Terra venga spazzata via da eventi che con il Sole non hanno niente a che vedere: una supernova vicina, un GRB con la mira estremamente giusta o, più semplicemente, un asteroide o una cometa di qualche chilometro di diametro. Siamo pronti a tutto questo? Decisamente no e se si pensa solo a distruggere e ad attaccare il nostro vicino di casa, e non a costruire e a difendersi tutti assieme, non lo saremo mai. E i dinosauri sorrideranno sarcastici.
L’articolo originale è scaricabile QUI e non è nemmeno troppo difficile da seguire.
di Vincenzo Zappalà – tratto da: L’Infinito Teatro del Cosmo