Introdotto il concetto di funzione, siamo ormai obbligati ad affrontare di petto il concetto di punto. Finora ci siamo sempre girati intorno, cercando compromessi che nella vita normale possono essere accettati senza grande fatica. Tuttavia, le funzioni meritano qualcosa di più. Queste fantastiche “macchine” matematiche permettono di legare una certa variabile a un’altra. In altre parole, se io osservo il comportamento di un certo oggetto, l’introduzione di una funzione matematica mi permette di associargli il comportamento di qualcos’altro, che probabilmente a sua volta si legherà a eventi di portata sempre più vasta. La funzione è la base della matematica e la sua applicazione alla fisica è lo scopo della ricerca scientifica.
Per essere tale, però, deve parlare in termini matematici e non limitarsi ad approssimare ciò che la fisica descrive attraverso la nostra personale e limitata visione. Facciamo un altro esempio banalissimo: senza far uso di una funzione matematica, potrei crearmi una tabella che associa la temperatura di un certo luogo con l’altezza del Sole sull’orizzonte sempre alla stessa ora, dedotta, ad esempio, dall’ombra proiettata da una certa asta rigida. La tabella, dopo anni e anni di osservazione sarà anche abbastanza accurata, ma rimane di tipo empirico. Essa è basta su legami a volte veri e a volte solo apparenti. Agendo in questo modo sarebbe stato ben difficile arrivare a far volare una navicella spaziale tra i pianeti con estrema accuratezza e/o capire perché esiste la precessione e/o cos’è la marea lunare. Non sarebbe mai nata la meccanica celeste.
Tuttavia, la funzione matematica ha il suoi pregi e i suoi difetti, sempre che si possano chiamare tali. Lei descrive una relazione tra due variabili indipendentemente dalle loro caratteristiche fisiche. Lei è capace di lavorare solo su punti o insiemi di punti, proprio quella “cosa” che abbiamo finora cercato di mettere sotto il tappeto. Una funzione matematica non varia a seconda delle dimensioni delle grandezze fisiche che la seguono, ma deve “cibarsi” di punti senza dimensioni che sono quindi sempre nulli o infiniti, per piccolo che sia l’intervallo in cui viene considerata.
Intervallo… teniamo bene a mente questo vocabolo perché sarà proprio il compromesso storico tra la fisica e la matematica.
Facciamo ancora un esempio. La legge di gravitazione universale si applica a due masse qualsiasi, indipendentemente se si sia nel micro o nel macrocosmo (escludendo, ovviamente, le altre forze della Natura). La Fisica, però, assume aspetti ben diversi se l’applichiamo a stelle o pianeti o se l’applichiamo a qualcosa di invisibile. Non saremmo mai riusciti a trovare una legge empirica che andasse bene sia per le cose enormi che per quelle microscopiche. Una funzione matematica è quindi fondamentale e dobbiamo accettare le sue pignolerie, soprattutto la sua meticolosità legata ai punti.
Lei è composta da punti, infiniti punti e, tranne casi particolari, bisognerebbe muoversi su di lei punto per punto: impresa umanamente impossibile! Dobbiamo arrivare a un compromesso, a un concetto che tenga presente sia le caratteristiche “puntiformi” della matematica, sia quelle “a salti” della fisica.
Si può battere la furba tartaruga?
E’ giunto il momento di richiamare uno dei paradossi più famosi della storia umana, ma che cade proprio a fagiolo per capire il compromesso tra la fisica e il suo linguaggio così esigente. Un paradosso che è stato sollevato da uno dei “soliti” scienziati antichi, già in grado di capire problematiche che sembrano ancora assurde alla maggioranza della popolazione di oggi. Mi riferisco a Zenone di Elea, nato nel 489 a.C. (mica ieri!). Egli aveva già capito che la fisica si muove a “pacchetti” e non a punti. Non vi sembra una frase applicabile alla meccanica quantistica? Grandezza della mente ancora libera da pressioni mediatiche! Il paradosso è interpretato da due attori, diventati celebri soprattutto grazie a Zenone: Achille e la tartaruga.
Vale la pena dedicare tutto questo articolo alla soluzione del paradosso, senza dimenticare mai i suoi chiari risvolti legati alla MQ, pur senza introdurla direttamente (viene fatto in altra sede), dato che vogliamo solo dare le basi delle funzioni matematiche e non spiegare l’Universo. Ogni cosa a suo tempo.
Cosa dice l’esperimento di Zenone?
Immaginiamo che una tartaruga sfidi a una gara di corsa il celebre Achille, l’essere più veloce del mondo. La sfida non può che far ridere e forse non si farebbe nemmeno, se la tartaruga non accettasse di partire con un certo vantaggio. Lo spettacolo, di ovvia conclusione, durerà, almeno. un po’ di più. La tartaruga, l’essere più lento del mondo, si sistema 100 metri più avanti rispetto ad Achille. Il potente eroe greco ragiona in modo fisico ed è sicuro di raggiungere il povero animaletto in men che non si dica. La tartaruga, invece, ragiona in termini matematici ed è altrettanto sicura di non venire mai raggiunta. Chi ha ragione?
Seguiamo la corsa secondo il ragionamento della tartaruga. Essa sa che Achille va dieci volte più veloce di lei, ossia sa che nel tempo in cui lui copre cento metri lei ne copre solo dieci. Il che, però, vuole anche dire che nel tempo in cui lui percorre 10 metri lei ne percorre 1. E’ ovvio proseguire in questa visione puramente matematica: quando Achille percorre un metro, lei percorre dieci centimetri e via dicendo. Questo ragionamento comporta che la tartaruga sia sempre un po’ avanti rispetto ad Achille. Questo può succedere perché il percorso effettuato dalla tartaruga è composto da infiniti punti e lei può sempre essere di qualche punto avanti ad Achille. Ricordiamo, infatti, che vi sono infiniti punti tra 0 e 1000, ma anche tra 0 e 0.1 e tra 0 e 0.00000000000001. Perché? Lo sappiamo molto bene: i punti non hanno dimensioni e quindi ne possiamo trovare infiniti anche in uno spazio piccolissimo!
La Figura 25 riporta lo svolgimento della gara come viene immaginata dalla tartaruga. Le barrette il alto si riferiscono alle posizioni raggiunte da Achille, quelle in basso dal simpatico e “matematico” animaletto. Alla partenza, Achille si trova in A0, mentre la tartaruga è in T0 (cento metri più avanti). Via, partiti! Achille nel giro di pochi secondi giunge come un fulmine in A1, proprio il luogo da dove è partita la sua avversaria. Tuttavia, in quell’arco di tempo, anche la tartaruga non è stata ferma e ora si trova in T1, un decimo del percorso fatto da Achille, ma pur sempre qualcosa di misurabile. Per l’esattezza si trova dieci metri più avanti dell’indomabile eroe greco.

L’animaletto s’immagina già una piccola smorfia di disappunto sul volto dell’invincibile guerriero. Quest’ultimo non si scompone ancora e in un attimo copre quei dieci metri che lo separano dalla tartaruga e giunge in A2. La smorfia dell’eroe è questa volta ben visibile a tutti e si scontra con il placido sorriso della tartaruga. Essa infatti nel frattempo si è spostata in T2. Non è difficile capire questa situazione: nel tempo in cui Achille ha percorso dieci metri, la tartaruga ne ha percorso uno. Ora lei è avanti di un metro. Meno di prima, ma pur sempre avanti! In un attimo Achille, verde di rabbia, raggiunge A3. Tutto inutile, la tartaruga è ormai in T4, dieci centimetri più avanti.
Potrei proseguire per ore e ore, fino alla fine dell’Universo, ma il foglio del disegno non me lo permetterebbe. In fondo, il foglio è un’entità fisica e non matematica…
In ogni modo, la tartaruga sarebbe sempre avanti rispetto ad Achille. Una quantità sempre minore ma mai nulla! Quando Achille giungerà alla distanza, dall’inizio, uguale a 111,111111111110, la tartaruga si troverà in 111,111111111111, ossia “ben” 0. 000000000001 metri davanti a lui. Una distanza veramente piccola, ma non per la matematica. Per lei, tra la posizione di Achille e quella della tartaruga vi sono sempre e comunque infiniti punti. Per la fisica, invece, siamo giunti sotto al diametro dell’atomo… Achille dovrebbe, comunque, abbandonare e accettare la sconfitta: anche alla fine dei tempi la tartaruga sarà sempre un po’ avanti a lui.
Torniamo con i piedi per terra (è proprio il caso di dirlo) e assistiamo in diretta e “fisicamente” alla gara. Cosa vedremmo? Una tartaruga lentissima che viene facilmente raggiunta e sorpassata da Achille. A che punto della gara? Non possiamo dirlo con estrema esattezza ma sicuramente molto in fretta e in una posizione compresa tra i 111.1 e i 112 metri. Un risultato esatto e inconfutabile? Eh..sì. Non c’è niente da fare. Ci dispiace per la povera tartaruga ma Achille ha vinto! Eppure il ragionamento dell’animale sembrava perfetto. Dov’è l’errore o -meglio- il “baco” del ragionamento matematico? Proprio quello a cui avevamo già accennato: Achille non si muove per punti (che non hanno dimensioni fisiche), ma si muove per intervalli, fisicamente concreti.
Essi possono essere grandi o piccoli ma sono sempre ben definiti. Il piede di Achille, in una certa unità di tempo, si sposta di un certo numero di centimetri. Prima era tutto dietro alla tartaruga, ma l’istante dopo le è davanti, dato che lei si muove solo di pochi millimetri!
Possiamo proprio dire che la fisica va avanti a pacchetti, a intervalli, e non per punti senza dimensioni. Capite adesso perché Zenone aveva in qualche modo già introdotto la meccanica quantistica? E capite anche perché un punto matematico diventa un’entità singolare in fisica?
Per comprendere meglio la situazione, immaginiamo che Achille sia un canguro che si muove per salti, ognuno di esso pari a un metro, come illustrato nella Fig. 26. L’abbiamo solo ingrandita per meglio vedere il punto di sorpasso (non si vede il punto di partenza di Achille, ma solo la sua posizione dopo 98 metri).

Quando Achille arriva il A1 ha fatto cento salti da un metro. La tartaruga, nel frattempo, ne ha fatto anche lei 100, ma i suoi salti sono dieci volte più piccoli (10 centimetri l’uno, ossia 0.1 metri) e quindi si trova in T1, ossia 0.1∙100 = 10 metri davanti ad Achille (a 110 metri dalla linea di partenza dell’eroe). Achille continua a saltare ed esegue dieci salti che lo portano a 110 metri in A2 (10 salti da un metro sono proprio 10 metri). Nel frattempo la tartaruga fa dieci salti da 10 cm l’uno e si porta avanti di 1 metro (0.1 ∙ 10 = 1 metro), in T3, a 111 metri. Achille compie un solo balzo e arriva in A3 a 111 metri. La tartaruga può solo giungere a 111.1 metri (ha fatto un salto di 0.1 m). A questo punto, ad Achille basta fare solo un salto e arrivare senza problemi a 112. Povera tartaruga, è stata superata: ormai Achille è davanti a lei. Qual è stato il punto di sorpasso? Sicuramente tra 111.1 (Achille era ancora dietro) e 112 (Achille è già davanti). Mentre la tartaruga compiva il suo saltino di 10 centimetri, Achille saltava di 1 metro, superandola in volo. Il punto si trova, quindi, nell’intervallo compreso tra 111.1 e 112.
Se la mia matita commettesse un errore di 1 metro nel disegnare un punto potrei già essere contento, dato che coprirebbe tutto l’intervallo in cui è avvenuto lo scavalcamento. Se, invece, la mia matita avesse una punta molto più sottile, tale da coprire un intervallo di 0.1 metri, cosa dovrei fare? Chiedere ad Achille di fare dei salti più piccoli, magari di soli 10 centimetri. Il che vorrebbe anche dire di convincere la tartaruga a farli anch’essa più piccoli, ossia di 0.01 m(1 cm ciascuno dato che la sua velocità è dieci volte minore). Lascio a voi la verifica. Eseguendo la serie di azioni precedente arriverei a dire che Achille ha superato la tartaruga tra 111.11 e 111.2, in un intervallo che è proprio grande come la punta della matita.
Migliorerei la misura, ma continuerei a usare sempre un intervallo per definire il punto di superamento. Capite, quindi, che tutto dipende dalla scala del mio disegno e da quanto lo voglio preciso. Se volessi aumentare la precisione basterebbe chiedere ad Achille e alla tartaruga di accorciare i loro salti, ma alla fine avrei comunque un intervallo di sicurezza. Non è difficile concludere che, accorciando sempre più il salto dei “canguri”, l’intervallo in cui è contenuto il punto matematico diventa sempre più piccolo. Ad esempio tra 111.11111 e 111. 1112, ecc., ecc.
Un intervallo puntiforme
Tutti questi discorsi a cosa ci portano di veramente pratico? Beh… a una cosa fondamentale, anche se a prima vista sembra di “lana caprina”. Possiamo definire un punto non come un’entità senza dimensioni (fisicamente assurdo), ma come un intervallo (fisicamente misurabile) che può diventare sempre più piccolo. Addirittura, il salto potrebbe essere comparabile alle dimensioni di un elettrone, ma definiremmo sempre il punto d’incontro come un intervallo, piccolo quanto si vuole, ma sempre un intervallo, accettato dalla fisica concreta, a secondo di cosa si sta occupando.
Se parlassimo di moto di pianeti potremmo anche fermarci a salti di chilometri o -al limite- di metri. Se, invece, volessimo parlare di molecole dovremmo scendere di molto. Potremmo andare fino a intervalli di dimensioni uguali a zero? La meccanica quantistica sembra dirci di no, ma matematicamente non vi sarebbero problemi. Basterebbe lavorare sempre con intervalli e accettare una definizione di compromesso tra intervallo fisico e punto matematico. Sarebbe sufficiente, infatti, coniare un nuovo verbo: far tendere a zero l’intervallo. In altre parole, l’intervallo pur diventando sempre più piccolo, contiene sempre il punto che si vuole raggiungere. Il concetto matematico di punto a zero dimensioni è stato raggirato brillantemente definendolo come un intervallo che ha dimensioni fisiche, ma che può arrivare teoricamente fino a zero.
Nella fisica reale, le cose devono prima o poi fermarsi (almeno così crediamo). Se essa ci dicesse, ad esempio, che niente può essere più piccolo di 0.0001 metri, potrei definire il mio punto come l’intervallo fisico più piccolo possibile (0.0001). Se invece mi permettesse di aggiungere dodici o trenta zeri potrei sempre considerare un intervallo di dimensioni corrispondenti. Un po’ alla volta avrei un punto fisico sempre più vicino al punto matematico. Potrei anche pensare di raggiungere quel punto matematico e ottenere un punto fisico singolare. Ma, per adesso è fantascienza o -meglio- pura teoria matematica. I buchi neri e il Big Bang, però, ci aspettano al varco. Sono proprio loro i primi che potrebbero dimostrarci la realtà della matematica più astratta.
Non voglio sembrare pedante, ma il concetto è veramente essenziale e quindi fatemi essere prolisso fino alla nausea e fidatevi di me. La fisica ci permette di guardare un certo punto (fisico) con una lente d’ingrandimento sempre migliore (parliamo pure di microscopio), tale che l’intervallo di nitidezza di un punto (pensate alla definizione di potere risolutivo di un obiettivo… il concetto non è poi tanto diverso) cresca sempre di più. Quello che a noi sembrava già un punto meraviglioso diventa in breve una macchiolina piena di irregolarità. Possiamo allora provare a usare una matita molto più fine e vedere un cerchietto apparentemente perfetto, ma che è compreso, comunque, in un certo intervallo (che contiene sempre un infinito numero di punti, non dimenticatelo!). Migliorando il microscopio, però, riusciremmo a vedere anche questo cerchietto come una macchiolina irregolare, di dimensioni finite. Non ci resta, se riuscissimo, di rendere ancora più preciso il microscopio e … via dicendo fino ai limiti dimensionali delle particelle fisiche.
Fisica e matematica vanno, adesso, perfettamente d’accordo. E’ bastato che al posto di punto considerassi un intervallo. Più questo intervallo tende a diventare piccolo, e, quindi, vicino allo zero, e più l’intervallo tende ad assomigliare a un punto matematico. Il verbo “tendere a” acquista, finalmente, un significato pratico e pienamente comprensibile.
Un punto (concetto matematico) non è altro che un intervallo le cui dimensioni (concetto fisico) tendono a essere sempre più piccole. Ancora meglio: un punto matematico è quell’entità tale che, scelto un numero ε piccolo a piacere, permette sempre di trovare un intervallo di dimensioni più piccole di ε che lo contenga.
No, no… state tranquilli… non voglio immergermi nelle mille e uno definizioni di intervalli, di infinitesimi, di campi di esistenza, ecc., ecc., che caratterizzano l’analisi matematica. Mi fermo molto prima, quel tanto che basta per avere un’idea sufficientemente chiara del concetto che abbiamo espresso con tante parole e qualche figura, più o meno approssimata.
I matematici, come sapete, sono un po’ paranoici e si divertono a creare problemi anche dove la fisica ne farebbe a meno. Tuttavia, teniamo presente che solo questa loro paranoia ha permesso di trovare leggi fisiche universali che riescono a esprimere, con funzioni più o meno semplici, i legami tra i parametri fisici dell’Universo. E sono sempre loro che sono riusciti a prevedere, teoricamente, ciò che i fisici non avevano ancora potuto osservare direttamente. Questa capacità di previsione (non sempre esatta, ovviamente) ha permesso innumerevoli volte di costruire tecnologie speciali per andare a cercare e scoprire fenomeni che la Natura aveva sapientemente nascosto. Matematica non solo come linguaggio della fisica, quindi, ma anche strumento capace di andare oltre e di indirizzare le ricerche fisiche verso angoli del tutto inaspettati.
Per descrivere e sostenere la fisica sono assolutamente necessarie le funzioni matematiche ed è per questo che dobbiamo svelarne tutti i segreti possibili. La realtà dell’Universo, benché estremamente concreta, dato che rappresenta il TUTTO, può essere descritta solo attraverso qualcosa di puramente matematico e -come tale- del tutto astratto (il punto insegna). Fermiamoci qui se no cadremmo nuovamente nella filosofia. Niente di strano, comunque, dato che i grandi fisici e matematici del passato erano anche filosofi!
Alla fine di questa chiacchierata abbiamo raggiunto due obiettivi fondamentali:
(a) abbiamo capito che Achille è più veloce della tartaruga e che tra loro non c’è … storia;
(b) abbiamo trovato un metodo per descrivere un punto che accontenti sia la “rozza” fisica sia la “rigorosa” matematica.
Qualcuno potrebbe dirmi: “Tante storie solo perché abbiamo introdotto le funzioni. In fondo è così facile inserire la x nella f, far lavorare la macchina-funzione e ottenere la y corrispondente. Che io scriva la x con uno, due, dieci o cento decimali, poco importa. La macchina-funzione mi darà sempre un risultato all’altezza del valore che ho introdotto”. Spesso e volentieri questo discorso può anche essere giusto, ma non sempre. E proprio i casi più difficili sono quelli che a volte permettono di superare gli ostacoli della fisica. Vedremo che la nuova definizione di punto, inteso come intervallo, ci permette di risolvere molti momenti critici e arrivare sempre a una soluzione.
Un’ultima considerazione. Lavorando con intervalli infinitamente piccoli siamo riusciti a dare concretezza alla definizione di punto. Vi siete resi conto che siamo entrati nel campo degli infinitesimi, ossia nel campo degli intervalli che tendono a essere sempre più piccoli, ossia vicini a zero?
Non molto diverso è il procedimento per definire i punti all’infinito. Per la loro stessa definizione, non potremo certo pensare di avvicinarci sempre di più a infinito attraverso intervalli sempre più piccoli. Assolutamente no. Potremmo, invece, dire che per quanto si pensi di avvicinarsi a quel punto, che sembra così concreto guardando due rette parallele che si uniscono all’orizzonte, la situazione è proprio l’opposto. Un po’ come se cercassimo di raggiungere il punto d’inizio di un arcobaleno. Più ci sembra di essere vicini e più lui sembra allontanarsi. Lo stesso capita proprio per il punto “infinito”.
Per definire lui dobbiamo cambiare strategia. Per grande che si prenda un certo numero ε, l’intervallo che ci separa dal punto all’infinito è sempre più grande di ε. L’intervallo sembra aumentare cercando di avvicinarci. Il concetto di infinito, però, è proprio questo, se no che infinito sarebbe?
Il punto all’infinito rimane, comunque, un punto matematico, ma, per definirlo fisicamente, dobbiamo usare intervalli che possono essere sempre più grandi. Il concetto è sempre lo stesso. Rifletteteci sopra. Per ottenere un potere risolutivo di un telescopio sempre più raffinato, ho bisogno di uno specchio o di un a lente sempre più grande. Se il diametro diventasse infinito avremmo raggiunto lo scopo!
Beh…. direi che ormai siamo proprio arrivati al momento di introdurre con maggiore serietà e rigore il concetto di limite di una funzione. Se la funzione è la base di tutta la matematica (al servizio della fisica), il concetto di limite è la base per potere studiare le funzioni.
Questo articolo sembra apparentemente difficile, ma, in realtà dice cose di una banalità estrema. Purtroppo, la matematica diventa meno comprensibile proprio quando cerca di definire le cose più ovvie. Parola di un matematico…
di Vincenzo Zappalà – tratto da: L’Infinito Teatro del Cosmo