Ancora la vita altrove. Ancora uno studio di quelli che più speculativi non si potrebbe.Ancora un paper firmato da Avi Loeb, l’eclettico e prolifico astrofisico del leggendario Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. Che torna a porsi, e proporci, una riflessione sì teorica ma – come sempre nel suo caso – condotta in modo rigoroso e con un obiettivo al tempo affascinante e concreto: aiutarci a individuare i bersagli più promettenti per la ricerca di forme di vita extraterrestre.
Due le ipotesi di lavoro di Loeb e dei suoi colleghi di Oxford, Rafael Batista e David Sloan: un universo in linea con il modello lambda-CDM (quello comunemente accettato dalla grande maggioranza dei cosmologi) e la vita “così come la conosciamo”. Dunque, per quanto ne sappiamo, un universo che ha grosso modo 13.8 miliardi di anni e un tipo di vita che qui sul nostro pianeta si è formata circa 4.5 miliardi di anni fa. Stabilito questo minimo terreno di partenza comune, Loeb si domanda quale possa essere l’intervallo di “gestazione” più probabile per questo tipo di vita in questo particolare universo. E la risposta, illustrata in uno studio in uscita sul Journal of Cosmology and Astroparticle Physics, è piuttosto sorprendente: un tempo decisamente assai più lungo di quello impiegato sul nostro pianeta, come vedremo, e che farebbe della vita sulla Terra una “nata prematura” eccezionale.
«Se ci venisse chiesto: “Quand’è più probabile che emerga la vita?”, potremmo ingenuamente rispondere: “Ora”. Ma in realtà», spiega Loeb, «ciò che troviamo è che la possibilità di vita aumenta enormemente nel lontano futuro».
Volendo indicare i limiti dell’intervallo di tempo entro il quale può emergere la vita, così come la conosciamo, nell’universo, abbiamo come soglia minima circa 30 milioni di anni dopo il Big Bang – quando per la prima volta elementi essenziali come l’ossigeno e il carbonio furono sintetizzati nelle primissime stelle. E come soglia massima? Questo è il valore che rende fuori standard quant’è accaduto sulla Terra: 10 mila miliardi di anni, scrivono Loeb e colleghi. Tanto è il tempo che ci separa dal buio perenne, l’epoca futura in cui le ultime stelle del cosmo si spegneranno.
Ora, s’è domandato il team di Loeb, stabiliti i confini di quest’ampissimo intervallo temporale, quand’è che la vita ha più possibilità di fare la sua comparsa? Il parametro dirimente diventa la durata del periodo d’attività d’ogni singola stella. Più è lungo, maggiori saranno le chance per la vita di fare capolino fra una combinazione di molecole e l’altra. Com’è ben noto agli astronomi, maggiore è la massa d’una stella, più breve sarà la sua esistenza. Per dire, una stella con massa pari a tre volte quella del Sole è destinata a spegnersi prima ancora che la vita abbia avuto anche solo la possibilità di evolvere. Al contrario, stelle di massa pari ad appena un decimo di quella solare, e ne esistono, possono risplendere – seppur con modestia – anche per 10 mila miliardi di anni. Con la conseguenza che, là attorno, il tempo (e dunque le possibilità) a disposizione della vita per emergere saranno in media mille volte più elevate che nel Sistema solare.
«A questo punto è lecito domandarsi come mai non stiamo vivendo in un’epoca più spostata nel futuro e in orbita attorno a una stella di piccola massa», osserva Loeb. «Una possibilità è che siamo precoci. Un’altra possibilità è invece che l’ambiente che circonda una stella di piccola massa sia in realtà rischioso per la vita». Un’eventualità, quest’ultima, resa plausibile dal fatto che, sebbene sia vero che le nane rosse di piccola massa durano per lungo tempo, gli intensi flares e la radiazione ultravioletta che emettono nelle prime fasi della loro esistenza potrebbero strappar via l’atmosfera da qualsiasi mondo roccioso presente nella zona abitabile che le circonda.
Come determinare quale delle due alternative sia quella corretta – comparsa eccezionalmente precoce della vita sulla Terra o i rischi posti dalle stelle di piccola massa? Loeb suggerisce di cercare segni di potenziale abitabilità nelle nane rosse a noi più vicine e sui pianeti che vi orbitano attorno. Un obiettivo probabilmente alla portata di missioni spaziali del futuro prossimo come il Transiting Exoplanet Survey satellite e il James Webb Space Telescope, le cui date di lancio sono previste, rispettivamente, per il 2017 e il 2018.
Per saperne di più:
- Leggi il preprint dell’articolo “Relative Likelihood for Life as a Function of Cosmic Time“, di Abraham Loeb, Rafael A. Batista e David Sloan
Articolo originale QUI.
Le implicazioni sono interessanti e danno respiro a molte implicazioni.
Una è quella che ci vede soli in tutto l'universo, perché altrove la vita non ha ancora avuto il tempo di formarsi. Ma non è detto che la Terra sia un caso unico.
Anche, niente vieta che ciò sia avvenuto altrove in un remoto passato.
Non so se ci sia o meno una relazione tra la vita e gli elementi pesanti che ancora non esistevano al momento della formazione delle stelle di Popolazione II. Se la vita ha bisogno di quegli elementi, dovremo spostare in avanti la lancetta del tempo.
Stiamo comunque parlando di vita in senso lato, senza implicazioni che riguardino forme di vita senzienti.
interessante articolo. si, dalle stime della finestra temporale dell'universo per come lo conosciamo ora potremmo proprio considerarci dei "pionieri",chissà...senz'altro c'è ancora moooolto tempo dinnanzi a noi per creare le maggiori probabilità e il massimo di densità di popolazione di vita.mi viene spesso da pensare a chissà quante "terre" ci sono state,ci sono e ci saranno nell'universo che nascono e muoiono senza nessun segnale di coinquilini universali...magari siamo tanti,ma siamo soli
Anche io credo comunque che l Universo pulluli di vita ma che le distanze stellari siano invalicabili.
Perciò siamo tantissimi, ma ognuno confinato sulla sua sperduta isola deserta !
Senza supernove niente elementi pesanti, e niente vita.
Sto però pensando a una cosa che con saprei come "collocare": il pensiero, la coscienza, sono il risultato di scambi elettrochimici e il corpo non è che l'interfaccia con l'ambiente e tutto ciò che facciamo è finalizzato (forse è meglio dire dovrebbe) a mantenerlo in efficienza affinché duri quanto più a lungo possibile.
Si potrebbe, dunque, ipotizzare l'esistenza di forme di vita incorporee che, poiché non sono legate agli elementi pesanti, potrebbero aver avuto origine già nei primi momenti successivi al Big Bang...
Non mi sembra un'ipotesi del tutto surreale, se è vero che sono in atto ricerche tese a interfacciare il cervello a un computer per scaricarvi il suo contenuto.
Incorporeo: senza un corpo fisico, solido, concreto...
Come dire che siamo qua ma non dovremmo esserci. Se poi a questo si aggiunge il problema della costante di struttura fine: https://it.wikipedia.org/wiki/Costan...struttura_fine non rimane che il Principio Antropico e il ,,, Multiverso (per aumentare a dismisura le possibilità statistiche che si sviluppi la vita).
Per definizione l unità base della vita è la cellula.
O forse ho inteso male il tuo ragionamento ?