Proxima b, la “Terra gemella” più vicina possibile

Trovate tracce di un possibile pianeta simile al nostro in orbita in zona abitabile attorno a Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare, ad appena 4.2 anni luce da noi. La scoperta, annunciata oggi in conferenza stampa internazionale dall’ESO, è pubblicata su Nature

Erano già arrivate alcune indiscrezioni nelle settimane precedenti, e ne avevamo iniziato a parlare anche QUI sul forum. Adesso è arrivata la conferma.

Non è un pianeta qualunque. Quello descritto mercoledì 24 Agosto per la prima volta sulle pagine di Nature è un mondo del quale ci ricorderemo a lungo. Grande – o meglio piccolo – circa quanto la Terra, Proxima b, questo il suo nome, ha infatti due caratteristiche che danno alla sua scoperta una portata storica. Anzitutto, ma qui è in buona compagnia, non si può escludere che possa ospitare la vita. Ma a renderlo unico è che orbita attorno alla stella più vicina che esista al nostro Sole: la modesta nana rossa Proxima Centauri, ad “appena” 4.2 anni luce da noi.

Rappresentazione artistica della superficie del pianeta Proxima b in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare. In alto a destra rispetto a quest’ultima, s’intravede anche la stella doppia Alpha Centauri AB. Crediti: ESO/M. Kornmesser
Rappresentazione artistica della superficie del pianeta Proxima b in orbita attorno alla nana rossa Proxima Centauri, la stella più vicina al Sistema solare. In alto a destra rispetto a quest’ultima, s’intravede anche la stella doppia Alpha Centauri AB. Crediti: ESO/M. Kornmesser

«Molti esopianeti sono stati scoperti e molti altri verranno scoperti in futuro, ma cercare quello che potenzialmente è l’analogo della Terra a noi più vicino, e riuscirci, è stata per noi tutti l’esperienza di una vita», è la dichiarazione altisonante – com’è comprensibile che sia – dello scienziato alla guida del team che ha trovato Proxima b, Guillem Anglada-Escudé, della Queen Mary University di Londra.

E il fatto che sia un ricercatore spagnolo in forze presso un’università del Regno Unito ci porta a una terza particolarità di questa scoperta che – soprattutto di questi tempi – vale la pena menzionare: Proxima b è un pianeta “europeo”. Nel senso che ad “avvistarlo” per primi non sono stati i telescopi spaziali della NASA bensì quelli terrestri, situati sulle Ande cilene, dell’ESO, lo European Southern Observatory, un’organizzazione intergovernativa tutta europea che comprende fra i suoi membri di maggior rilievo anche l’Italia.

Non è un pianeta qualunque, dicevamo: se confermato – ma su questo, ora spiegheremo perché, ci sono ben pochi dubbi – e soprattutto se risulterà davvero abitabile, Proxima b, proprio per la sua imbattibile prossimità, avrà buone chance di monopolizzare per anni, o forse sarebbe più corretto dire per millenni, l’attenzione (e le risorse) di ogni programma per la ricerca d’una seconda Terra. Ma tutto ciò è ancora alquanto prematuro. Basti pensare che Proxima b non è ancora stato nemmeno visto. Non direttamente – anche se con il diluvio di rappresentazioni artistiche che ci inonderà in queste ore sarà difficile ricordarsi e convincersi che non esiste, a oggi, neppure un singolo pixel che lo ritragga, figuriamoci una foto. Ma nemmeno indirettamente: a differenza di quanto accade con il metodo dei transiti, quello utilizzato dal satellite Kepler, che dei pianeti ci mostra quanto meno “l’ombra”, l’esistenza e le caratteristiche di Proxima b sono state per ora dedotte quasi esclusivamente dalle perturbazioni sulla velocità della sua stella madre – Proxima Centauri, appunto – introdotte dall’influenza gravitazionale reciproca fra quest’ultima e il pianeta. Ovvero, con il metodo delle velocità radiali. Ci sono – è vero – anche curve fotometriche, relative a variazioni periodiche della luminosità della stella, correlate con il segnale doppler della variazione di velocità radiale (ecco il perché del ‘quasi’ di poc’anzi), ma non c’è alcuna prova che siano legate a un eventuale transito del pianeta sul disco della stella. Dunque, prima di procedere oltre, è opportuno distinguere tra le informazioni ragionevolmente certe – per quanto la certezza assoluta non appartenga al dominio della scienza – e quelle che invece al momento non lo sono. Partiamo da queste ultime.

 

Ecco come funziona il metodo di rilevazione d’un pianeta basato sulla misura della variazione della velocità radiale (slide presentata durante la conferenza stampa ESO)
Ecco come funziona il metodo di rilevazione d’un pianeta basato sulla misura della variazione della velocità radiale (slide presentata durante la conferenza stampa ESO)

Cosa non sappiamo

Non sappiamo alcunché circa la sua atmosfera. Non solo non sappiamo da quali gas è formata, ma neppure possiamo dire se ne possiede una o meno. A voler vedere il bicchiere mezzo vuoto, c’è da ricordare che l’assenza di un’atmosfera è resa abbastanza probabile dall’estrema prossimità del pianeta alla stella madre. In ogni caso, gli scienziati non sono al momento nemmeno in grado di quantificare la probabilità che un’atmosfera ci sia o non ci sia, ha dichiarato oggi in conferenza stampa uno dei coautori della scoperta, Ansgar Reiners, dell’Istituto di astrofisica di Gottinga, in Germania.

Allo stesso modo, non c’è alcuna certezza sulla presenza o meno di acqua, né in superficie né al di sotto. La buona notizia, però, sottolineata più volte dagli scienziati, è che questa temporanea – speriamo – ignoranza non ci consente d’escludere che possegga entrambe: acqua e atmosfera. Non solo: le condizioni termiche ipotizzate per il pianeta (tenendo conto della distanza dalla stella e della temperatura relativamente mite di quest’ultima, meno di 2800 gradi) sembrerebbero compatibili con la presenza d’acqua allo stato liquido.

Ancora, pur avendo una stima circa la sua massa minima, non possiamo dire altrettanto su quella massima. Dunque, stando ai dati, potrebbe anche non essere un “piccolo pianeta roccioso”. Però, ha spiegato Anglada-Escudé, per quanto sia vero che non abbiamo indizi sulla massa massima, l’esperienza con i pianeti rocciosi individuati da Kepler induce a ritenere che si tratti d’un pianeta comunque piccolo.

Infine, ma a questo punto dovrebbe essere scontato, nessuno è in grado d’affermare se lassù ci sia o meno la vita.

 

Cosa sappiamo

Sappiamo che c’è. Va detto che, almeno formalmente, Proxima b non è collocato nella classe dei pianeti confermati, ma è ancora in quella dei candidati – come ben si evince anche dal titolo dello studio pubblicato oggi su Nature che illustra la scoperta: “A terrestrial planet candidate in a temperate orbit around Proxima Centauri”. E i falsi positivi sono numerosi, seppure in quantità minore per quanto riguarda i piccoli pianeti rocciosi come dovrebbe essere Proxima b. D’altronde, basti ricordare che un candidato di massa terrestre appena qualche settimana luce più distante di questo – a 4.3 anni luce da noi – era stato rilevato nel 2012, anch’esso con il metodo delle variazioni di velocità radiale, in orbita attorno ad Alpha Centauri B. Denominato Alpha Centauri Bb, anche nel suo caso la scoperta venne pubblicata su Nature, ma successive analisi hanno messo pesantemente in dubbio che esista davvero.

La posizione di Proxima Centauri (la “casa” di Proxima b) nei cieli australi. In primo piano, il telescopio da 3.6 metri dell’ESO, dov’è installato HARPS, lo strumento che ha scoperto il pianeta. Crediti: Y. Beletsky (LCO)/ESO/ESA/NASA/M. Zamani
La posizione di Proxima Centauri (la “casa” di Proxima b) nei cieli australi. In primo piano, il telescopio da 3.6 metri dell’ESO, dov’è installato HARPS, lo strumento che ha scoperto il pianeta. Crediti: Y. Beletsky (LCO)/ESO/ESA/NASA/M. Zamani

Però il caso di Proxima b è diverso. Tanto che –  scherzando, d’accordo, ma fino a un certo punto – Anglada-Escudé ha puntualizzato che quel ‘candidate’ che troviamo nel titolo dell’articolo su Nature si riferisce soprattutto all’aggettivo ‘terrestrial’, più che al sostantivo ‘planet’. E aggiungendo che la probabilità che si tratti d’un falso positivo è stimata attorno a uno su dieci milioni. Il perché di tanta sicurezza sta anzitutto in un numero: 1.4 m/s. Di tanto varia la velocità di Proxima Centauri per effetto dell’interazione gravitazionale con Proxima b. Misurato dallo spettrografo HARPS (vero protagonista della scoperta, installato sul telescopio da 3.6 metri dell’ESO in Cile), è un valore alquanto elevato, che mette sostanzialmente al riparo da rischi di smentite. A questo vanno aggiunte le conferme ottenute dalle misure fotometriche, come detto prima, e in generale la lunga durata e la progressione senza sorprese della campagna osservativa. «Ho continuato a verificare la consistenza del segnale ogni singolo giorno, durante le 60 notti della campagna osservativa Pale Red Dot», ricorda Anglada-Escudé a proposito degli ultimi, concitati, mesi di raccolta dati. «I primi 10 erano promettenti, i primi 20 erano in linea con quanto ci attendevamo, e dopo 30 giorni il risultato era praticamente definitivo, così ci siamo messi a scrivere l’articolo».

Ne conosciamo la massa minima, stimata attorno a 1.27 volte quella della Terra. Sappiamo quanto dura un suo anno: 11 giorni e 4 ore terrestri, questo il periodo di rivoluzione. E abbiamo una stima abbastanza precisa di quanto sia lontano da Proxima Centauri, la stella attorno alla quale orbita: circa 7.5 milioni di km, ovvero il 5 percento della distanza fra la Terra e il Sole. Pochissimo. Così poco da rendere probabili, nonostante la debolezza della stella rispetto al Sole, alcune caratteristiche non proprio a favore dell’abitabilità. Quali? La rotazione sincrona, per esempio, con la conseguenza che Proxima b potrebbe mostrare sempre la stessa faccia alla sua stella, e dunque avere un emisfero perennemente illuminato e l’altro perennemente al buio. Ancora, l’intensità delle tempeste stellari. O l’induzione magnetica della stella sul pianeta, vale a dire la densità del suo flusso magnetico. Ma la più minacciosa parrebbe essere la radiazione stellare che investe il pianeta, soprattutto in banda ultravioletta e X: quest’ultima, in particolare, si ritiene sia 400 volte più intensa di quella che investe la Terra.

Tutte avversità, osservano però Anglada-Escudé e colleghi, alle quali un’atmosfera come si deve potrebbe far fronte. Inoltre, sappiamo anche che le nane rosse hanno durata lunghissima. Proxima Centauri esisterà centinaia, se non migliaia, di volte più a lungo del Sole. E questa longevità è un fattore cruciale a favore dello sviluppo d’eventuali forme di vita.

Di Proxima b sappiamo infine, ed è la sua caratteristica più importante, quanto dista da noi. Pochissimo, in termini astronomici: 4.22 anni luce. Per un pianeta extrasolare – escludendo improbabili pianeti orfani – meno di così è impossibile, visto che Proxima centauri è la stella più vicina al Sole. Per dire, se mai qualcuno lassù fosse oggi intento ad ascoltare un nostro giornale radio, sentirebbe quello del 3 giugno 2012 – governo Monti, ricordate? Insomma, sarebbe quasi un nostro contemporaneo. Pochissimo in termini astronomici, dunque, ma comunque un’enormità per noi viaggiatori umani: 40 mila miliardi di km.

La “firma” del pianeta nelle variazioni di velocità radiale della sua stella madre. Crediti: ESO/G. Anglada-Escudé
La “firma” del pianeta nelle variazioni di velocità radiale della sua stella madre. Crediti: ESO/G. Anglada-Escudé

Cosa ci attende

Il primo obiettivo, si spera a breve termine, è capire se Proxima b possiede un’atmosfera. Per riuscirci, l’osservazione di un transito sarebbe l’ideale: ci permetterebbe non solo di confermare al di là d’ogni ragionevole dubbio che Proxima b esiste, ma anche – appunto – di verificare la presenza di un’atmosfera e di analizzarne la composizione chimica. Purtroppo, però, per osservare un transito non bastano né la pazienza certosina del team guidato da Anglada-Escudé né la tecnologia più avanzata possibile: occorre anche trovarsi nella posizione giusta. E su questo c’è assai poco da fare.

Ecco dunque che potrebbe tornare quanto mai a proposito il progetto Starshot, del quale abbiamo parlato qualche mese fa su INAF-TV e che, in modo piuttosto irrituale per una conferenza stampa scientifica, ha trovato ospitalità anche nella presentazione dell’ESO. Ultimo fra gli speaker è infatti intervenuto, in qualità di chairman della Breakthrough Prize Foundation, Pete Worden, fino all’anno scorso direttore del NASA AMES Research Center. E ha spiegato che, fra i 20-25 anni necessari per la realizzazione delle micronavicelle spaziali – sponsorizzate da personaggi del calibro di Yuri Milner, Mark Zuckerberg e lo stesso Stephen Hawking – e gli altri 20-25 richiesti per coprire a velocità relativistiche la distanza che ci separa dal sistema di Alpha Centauri, dove si trova Proxima b, fra il 2060 e la fine del secolo potremmo cominciare a ricevere immagini ravvicinate del nostro vicino di casa.

Un’attesa troppo lunga per ricevere solo immagini, dite? Be’, consolatevi: se volessimo andarci di persona, e prima o poi lo vorremo, pur con tutto l’ottimismo possibile, anche i più giovani fra noi difficilmente assisteranno alla colonizzazione di Proxima b. I conti sono presto fatti. Prendiamo Solar Probe, un telescopio solare da mezza tonnellata il cui lancio è in programma per il 2018. Si prevede che toccherà punte di oltre 200 km/s, vale a dire 720 mila km/h, abbattendo così ogni record di velocità per oggetti costruiti dall’uomo. Ebbene, se anche riuscissimo a realizzare una navicella in grado di raggiungere la velocità di Solar Probe e capace di portare esseri umani a bordo, per arrivare su Proxima b impiegheremmo oltre 6 mila anni. Come dire, per essere là adesso saremmo dovuti partire nel V millennio a.C., in epoca neolitica, quando i nostri antenati conoscevano a malapena strumenti come l’aratro o la ruota. Insomma, prima di metterci in viaggio, meglio assicurarci che ne valga davvero la pena.

Per saperne di più:

QUI il servizio di MEDIA INAF e QUI l’articolo originale a cura di Marco Malaspina.

 

Informazioni su Enrico Corsaro 88 Articoli
Nato a Catania nel 1986. Si laurea in Fisica nel 2009 e ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica nel 2013, lavorando presso l'Università di Catania e di Sydney, in Australia. Dopo il conseguimento del dottorato ha lavorato come ricercatore astrofisico presso l'Università Cattolica di Leuven, in Belgio, e continua ad oggi la sua carriera nel Centro di Energia Atomica e delle energie alternative di Parigi. Appassionato del cosmo e delle stelle fin dall'età di 7 anni, il suo principale campo di competenze riguarda lo studio e l'analisi delle oscillazioni stellari ed i metodi numerici e le applicazioni della statistica di Bayes. Collabora attivamente con i maggiori esponenti mondiali del campo asterosismologico ed è membro del consorzio asterosismico del satellite NASA Kepler. Nonostante il suo campo di ricerca sia rivolto alla fisica stellare, conserva sempre una grande passione per la cosmologia, tematica a cui ha dedicato le tesi di laurea triennale e specialistica in Fisica e a cui rivolge spesso il suo tempo libero con la lettura e il dibattito di articoli sui nuovi sviluppi del settore.

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16 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Si lo so, se noti l'ho scritto infatti all'inizio dell'articolo mettendo il link alla vostra discussione . Questo è comunque l'articolo mediatico in riferimento alla pubblicazione ufficiale avvenuta questo scorso mercoledì.

  2. Diciamo che è la big news del momento, e forse anche per diversi anni a seguire. Se questo pianeta dovesse risultare di fatto abitabile, sarà il target principale di tutte le missioni future a scopo esplorativo per la vita extraterrestre. La prossimità è in questo caso una chiave fondamentale!

  3. A me sembra più simile a Mercurio che alla terra! Il periodo di rotazione è uguale a quello di rivoluzione, quindi di abitabile si sarà, nella migliore delle ipotesi, una piccola fascia?

  4. In termini di periodo hai ragione, ma le condizioni di temperatura sono molto differenti. Tuttavia, personalmente credo che sarà difficile che si tratti di un pianeta abitabile, anche nella migliore delle ipotesi. Bisogna tenere in considerazione il fatto che proxima centauri è una stella nana, fredda, e che in quanto tale ha fortissimi fenomeni di attività magnetica, che molto probabilmente spazzerebbero via ogni forma di vita in pochi minuti, ammesso ne esistesse anche qualcuna in forma batterica. Staremo a vedere le future osservazioni, e soprattutto con l'arrivo di JWST, cosa ci riserveranno!

  5. Dall'articolo sembrerebbe esclusa la possibilità di utilizzare il metodo dei transiti per una questione prospettica; oppure è solo una problematica risolvibile con strumenti più potenti (James Webb)? Grazie Enrico, sempre completi ed esaustivi i tuoi articoli

  6. Eccomi a risponderti. Premetto che l'articolo non è di mio pugno, ho riportato la fonte in fondo (spesso si tratta di Media INAF).

    Ho visionato l'articolo su Nature. Gli autori affermano di aver controllato in dettaglio numerose curve di luce ma di non aver trovato alcuna evidenza di transiti, sfortunatamente. Questo significa che il sistema pianeta-stella ha un piano orbitale con una inclinazione significativamente diversa da 90° rispetto alla linea di vista, quindi non si potrà effettuare alcun tipo di studio che sfrutti i transiti.

    James Webb però, anche se non discusso nell'articolo, dovrebbe consentirci in linea di principio di osservare qualcosa. Non so precisamente le caratteristiche dello strumento, nè la risoluzione che può raggiungere, ma considerate le sue grandi capacità sia in termini di sensitività fotometrica che di precisione in risoluzione angolare, è possibile che possa riuscirci. James Webb non risolverebbe il problema del transito (è semplicemente impossibile dalla nostra posizione), ma potrebbe riuscire ad osservare direttamente il pianeta e dunque darci conferma per la presenza o meno di una eventuale atmosfera.
    E chissà anche che non sia l'unico pianeta possibile su Proxima, o anche che Alpha Centauri A e B (le altre due stelle del sistema triplo formato insieme a Proxima) non ospitino pianeti con condizioni interessanti!

  7. Ottimo articolo. Ho trovato il luogo in cui leggere le news
    Comunque a parer mio la posizione dell'ipotetico pianeta nel sistema di proxima centauri non garantisce che ci sia acqua allo stato liquido. Credo bisogna tener conto sia dell'attività termica planetaria sia della presenza di eventuali gas serra (se c'è atmosfera). Un po' come la Terra, che nel punto in cui si trova la temperatura di equilibrio risulta -15 °C circa.

  8. Si hai ben detto. Quello che temo di più però e' l'effetto devastante della radiazione stellare e dei campi magnetici. Una nana rossa e' un tipo di stella molto attiva, e la prossimità del pianeta e' davvero allarmante.