Ingegneria climatica: da Wikipedia, l’insieme delle tecnologie proposte per tentare di contrastare su scala planetaria le cause o gli effetti dei cambiamenti climatici ed in particolare del riscaldamento globale.
Nel sito UniverseToday è apparso oggi un articolo molto interessante in cui si parla di uno studio del Politecnico di Torino per inviare nello spazio una sorta di ombrello spaziale, controllato da un CubeSat, in modo da creare un’ombra da proiettare sulla Terra, con lo scopo sacrosanto di iniziare a raffreddare la sua superficie sempre più calda: si tratta per ora di un progetto pilota, embrione di uno molto più ampio che potrebbe essere attuato nei prossimi anni.
Vediamo insieme cosa ci dice Mark Thompson, traducendo il suo scritto con la mia IP (Intelligenza Personale) e non certo con una qualunque IA (artificiale… ), a costo di compiere errori, assolutamente umani.
Potrebbe un’ombra solare planetaria aiutare a raffreddare il pianeta? Questa missione potrebbe riuscirci
Mentre il cambiamento climatico accelera ed i politici continuano a discutere, gli scienziati stanno esplorando nuovi metodi radicali per proteggere la nostra Terra: uno dei progetti più ambiziosi in sviluppo è il PSS (Planetary Sunshade System) , in breve “Sunshade“, praticamente un enorme ombrello spaziale destinato a ridurre la quantità di luce solare che raggiunge la Terra e così abbassare la temperatura.
Il progetto fa parte di una ricerca condotta da Marina Coco, dottoranda presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale (DIMEAS) del Politecnico dell’Università di Torino (ndr: nell’articolo non hanno aggiunto “,Italy” subito dopo “Turin“! bene bene! vuol dire che ci conoscono anche oltreoceano!).
Il team suggerisce che la soluzione proposta non dovrebbe orbitare la Terra come un satellite qualunque, ma verrebbe posizionata nel Punto Lagrangiano L1 del sistema Sole-Terra, posto a circa 2.35 milioni di km dalla Terra (ndr: ma no! questa misura è assolutamente errata: si tratta di un centesimo della distanza Terra-Sole e perciò 1.5 milioni di km. Chissà com’è uscito fuori questo valore… Male male!).

In questa location, la spinta costante della luce solare aiuta a mantenere il Sunshade allineato, facendo sì che possa proiettare un’ombra sulla Terra: questa collocazione permetterebbe teoricamente una piena operatività per lunghi periodi di tempo senza richiedere utilizzazione di propellente convenzionale.
Uno primo passo…
Prima di sviluppare il sistema definitivo, i ricercatori hanno individuato una missione iniziale per testare le tecnologie coinvolte: tutto è basato su un modulo 12U di CubeSat, della grandezza di una grossa valigia, equipaggiato con una vela solare da 144 metri (ndr: “quadri”, dato che Mark non lo specifica, ma in realtà nel documento iniziale si parla di 81 mq… male male!). Con un peso di appena 15-20 kg (ndr: altra unità di misura del SI! bene bene!) questa sonda dimostrerebbe tutte le tecnologie necessarie al sistema più grande.
Questa missione ha vari obiettivi critici: primo, testerà se e come materiali di protezione ottica possono sopravvivere per lungo tempo nelle rigide condizioni ambientali dello spazio, quali le radiazioni solari molto intense, fluttuazioni estreme di temperatura e bombardamento da parte di detriti spaziali microscopici.
Secondo, la missione dimostrerà che la vela solare sarà un buon metodo di propulsione per le sonde spaziali: proprio come il vento ha da sempre spinto i velieri negli oceani, i fotoni dal Sole possono fornire la spinta alle sonde spaziali. E proprio questa tecnica sostenibile di propulsione potrebbe essere la chiave per mantenere la posizione e l’orientamento di una Sunshade senza necessità di riserve di combustibile.

Un aspetto complesso della missione coinvolge il test di apparati di controllo automatizzato: ad una distanza di milioni di km dalla Terra, la sonda deve essere in grado di correggere automaticamente la propria posizione e l’orientamento senza aspettare comandi dal controllo a Terra, che arriverebbero con più di 10 secondi di ritardo.
(ndr: un momento… La Terra si trova a circa 8 minuti-luce dal Sole, cioè 480 secondi-luce. L1 è ad un centesimo della distanza e perciò si trova a 4.8 secondi-luce, facciamo 5. Quindi perché 10 secondi di ritardo? Forse doveva dire 5 secondi per l’invio e altrettanti per la ricezione della risposta! male male!)
Ma più importante è il fatto che la missione fornirà dati sulle capacità di volo della sonda, essenziale per coordinare le migliaia di componenti richiesti da un sistema di Sunshade completo.
Con un costo stimato di 10 milioni di dollari, questa missione di test rappresenta un davvero minuscolo investimento per questo tipo di tecnologia: i ricercatori intendono sfruttare opportunità di lancio in una sorta di sharing in cui i loro CubeSat vengono posti in orbita insieme ad altre missioni, riducendo così in modo significativo i costi dei singoli lanci e rendendo la missione più fattibile dal punto di vista economico.
Mentre il sistema finale di Sunshade planetario è ancora lontano anni se non decine di anni, questo test potrebbe fornire un primo passo nello sviluppo di capacità di intervento di ingegneria climatica spaziale: i dati raccolti permetteranno di correggere il progetto finale, convalidare le tecnologie adottate e valutare la fattibilità di utilizzare sistemi spaziali per aiutare ad affrontare il cambiamento climatico.
Il successo della missione potrebbe aprile la strada a missioni dimostrative più grandi ed a sistemi finali capaci di produrre benefici climatici misurabili: dato che gli approcci tradizionali al cambiamento climatico faticano a tenere il passo con l’innalzamento delle temperature globali, soluzioni innovative come il Sunshade planetario possono rappresentare un mezzo sempre più importante nello sforzo dell’umanità a mantenere abitabile il nostro pianeta.
Considerazioni finali
Leggendo l’articolo mi è venuta subito in mente quella proposta di qualche tempo fa di una lente o specchio solare per inviare la luce del Sole in punti della Terra dove sarebbe servita, evocando però il ricordo degli specchi ustori di Archimede per distruggere le navi nemiche: in questo caso invece si tratterebbe proprio dell’opposto, creare una sorta di eclissi di Sole artificiale. Non male come idea.
E facciamo tutti i complimenti alla nostra Marina Coco
che qui vediamo con il relatore della sua ricerca, il prof. Marcello Romano, attualmente presso la cattedra di Astrodinamica dell’Università di Monaco.
Se provate a cercare “Marina Coco” su Google troverete tantissimi risultati di quella che dovrebbe essere stata da sempre la nemesi per la povera studentessa: un libro per bimbi del 1999 intitolato “Marina Cocò oca piccina piccina picciò”. Spero che nel frattempo se ne sia fatta una ragione, ma sarà stata dura…
Concludo: mentre cercavo di capire il perché dei 10 secondi di ritardo per i comandi verso L1, mi sono imbattuto in questo post di reddit di ben 12 anni fa, direi ampiamente in tema e con risultati finali abbastanza inquietanti…
Comunque attendiamo fiduciosi ulteriori sviluppi di questo promettente studio.
Temo che lo Studio, pur ingegnoso. rimarrà com'è. Trovo che quest'idea interessante avrebbe dovuto essere implementata 25 anni fa, quando i negazionisti sul Titanic ballavano allegramente (e qualcuno lo fa tuttora).
Fermo restando poi che c'è chi metterebbe comunque sempre i bastoni tra le ruote (visto che, apparentemente, c'è pure chi 'beneficia' del cambiamento climatico.
Il cambiamento climatico poi... ma già il termine è edulcorante e quasi rassicurante, in realtà siamo ben dentro una crisi climatica, il che è molto diverso.
Sono un po' pessimista, l'unica soluzione per me è lasciare il petrolio sottoterra entro il 2040, costi quel che costi, riforestare con miliardi di alberi come se non ci fosse un domani, e pazientare (sudando) per i prossimi 100 anni fino a che le temperature smetteranno almeno di crescere.