Premessa
Finora non sono stato proprio semplicissimo, dato che ho affrontato concetti un po’ fuori dalla realtà quotidiana o -quantomeno- apparentemente fuori da essa. Vi ho fatto giocare con ciò che “appare” e non con ciò che “è”. Ho preferito operare così per imprimere già bene nelle menti che il piano “normale” può essere “ampliato” e che si può trattare con zero e infinito come se fossero numeri “quasi” comuni.
L’avverbio “quasi” è d’obbligo, dato che non siamo riusciti a risolvere tutte le operazioni che li hanno visti primi attori. Questo risultato “negativo” ha avuto un doppio scopo: 1) prendere coscienza che per lavorare in tutto il piano ampliato è necessario imparare qualcosa di diverso o -quantomeno- utilizzare un approccio speciale; 2) immagazzinare alcuni concetti non banali quando si è ancora a “mente fresca” e non dopo che la matematica ci avrà già condotto verso schemi apparentemente rigidi e ripetitivi. Il passaggio a concetti troppo diversi potrebbe creare confusione. L’importante è che quando “sfioreremo” l’infinito e/o lo zero sapremo già con chi abbiamo a che fare e non ci spaventeremo più.
Ricordiamo, inoltre, che le varie operazioni svolte con i nostri due “strani” amici hanno, comunque, un valore simbolico. Quando scriviamo zero intendiamo un numero piccolissimo e quando scriviamo infinito intendiamo un numero grandissimo. Per semplificare, abbiamo inserito un simbolo invece di tante parole. Tra un po’ capiremo meglio questa fondamentale differenza.
Molti di voi, che hanno studiato analisi matematica (ma anche molto meno) a scuola, si sentiranno, forse, presi un po’ in giro. Tratterò concetti di uso ormai comunissimo in modo estremamente lungo ed elementare. Vi prego di accettare queste banalità senza partire prevenuti e dire: “Posso saltare questa parte, la conosco perfettamente!”
Vi racconto un piccolo aneddoto che ho vissuto in prima persona quando frequentavo Analisi I con il grande Prof. Buzano. Venivo dal Liceo Scientifico e pensavo di sapere ormai abbastanza bene cosa fosse lo studio delle funzioni, dei limiti e delle derivate. Questa fantastica persona iniziò, invece, il suo corso parlando, per molte lezioni, di apparenti banalità che nemmeno sembravano legate alla matematica. Si soffermò, quasi con pedanteria, sul concetto di quantità piccola e piccolissima; si accanì sul significato di ogni singola parola di frasi del tipo “Dato un epsilon piccolo a piacere, esiste sempre un numero tale che…”, ecc., ecc..
Devo ammetterlo: pensai di avere sbagliato aula e di essere entrato in quella di filosofia o di grammatica italiana. Cosa c’entrava tutto ciò con la matematica e con la sua analisi? Perché non si cominciava con quello che già sapevamo e si andava avanti verso nuove e stimolanti emozioni? Forse avrei potuto saltare quelle lezioni e ritornare quando si fosse arrivati al vero inizio. Spesso le lunghe prefazioni mi stufano e preferisco saltarle. Avrei fatto un errore terribile!
Tutte quelle frasi banali, ripetitive, ovvie, acquistarono lentamente un valore ben diverso e fondamentale. Solo dopo averle digerite perfettamente, capii il loro vero significato: quello di affrontare tutta la matematica, anche la più complessa, sempre e soltanto con la logica e mai con la memoria. Ogni volta che si affrontava un nuovo teorema o si svolgeva un’operazione da trapezista, mi tornavano in mente e mi davano la forza e la capacità di affrontarle con tranquillità e sicurezza. Bastava iniziare a ragionare con frasi del tipo: “Dato un epsilon piccolo a piacere, esiste sempre…” e tutto diventava logico e intuitivo.
In queste “lezioni” cercherò di fare lo stesso (anche se non ho certo le capacità del grande Buzano). Fidatevi e non tralasciate niente. Anzi, più un concetto vi sembrerà banale e più analizzatelo nei dettagli e fatelo completamente vostro. Vi verrà sicuramente utile nei momenti più difficili e vi farà apparire la matematica come un gioco magnifico, sempre uguale e sempre diverso.
Abbiamo fatto non poca fatica a immaginarci un punto, una retta e un piano all’infinito. Per far questo, abbiamo dovuto ammettere che le rette parallele si incontrano sicuramente in un punto, anzi definiscono proprio il punto all’infinito corrispondente. Ci siamo “divertiti” con le operazioni tra questo “infinito”, rappresentato come simbolo e/o come numero, e un altro punto e/o numero che sembrava molto più semplice e ovvio, lo zero.
Invece, anche lo zero è diventato qualcosa di meno “concreto” del previsto. Un punto senza dimensioni implica un concetto altrettanto complicato di un qualcosa che è talmente grande da non poter essere quantificato. Abbiamo visto, infine, che certe operazioni, banalissime per qualsiasi numero, diventano a prima vista impossibili o -meglio- forniscono un risultato talmente incerto da essere classificato come indeterminato. E questa parola sembra veramente assurda in matematica!
In mezzo a questa visione geometrica e numerica, che sembra, a volte, rasentare la MQ, si è fatto strada un concetto importantissimo: quando si parla di infinito (ma anche di zero, in fondo) bisogna iniziare a usare un verbo diverso. Non più “essere uguale a”, ma “tendere a”. Questo modo di pensare è nato quasi automaticamente con l’uso di una rotaia e di una pianura enorme (direi quasi… infinita!).
Sembrerebbe, quindi, più che ovvio procedere e capire bene il significato di questo nuovo verbo. E, invece, no. Sono proprio cattivo! Vi ho fatto intravedere un bel gelato, che potrebbe risolvere quelle operazioni molto strane che non siamo riusciti a fare, e ora preferisco farlo sciogliere! No, non voglio farlo sciogliere, voglio solo metterlo al sicuro in freezer.
Scegliamo la stazione centrale e le linee ferroviarie più importanti
Torniamo, allora, ai nostri binari e vediamo di costruire un’intera rete ferroviaria. Ed è meglio cominciare proprio dall’inizio per non rischiare di creare incidenti anche gravi. Quando saremo capaci di rappresentare binari di qualsiasi forma e sapremo trattarli con grande sicurezza, potremo anche ritornare ai loro punti all’infinito. Cominciamo, perciò, a costruire la prima stazione e a immaginare tutti i tipi di percorso possibili (quasi tutti…) delle rotaie della rete ferroviaria. Perché allora vi ho tartassato con quel maledetto infinito? Proprio perché voglio saper descrivere i binari dovunque e in qualsiasi condizione. La nostra ferrovia non si deve fermare dietro l’angolo, ma deve poter raggiungere qualsiasi luogo, sia che sia uno zero sia che sia un infinito.
Facciamo anche un’altra operazione: alziamoci in volo, in modo da vedere il deserto o la pianura dall’alto. In tal modo i binari arrivano molto più tardi all’infinito (allarghiamo l’orizzonte, come si nota bene attraverso la Fig. 9). Anzi, pur mantenendo le idee acquisite su punti all’infinito, cerchiamo di dimenticare quegli effetti visivi delle rette parallele che si incontrano. Insomma, torniamo nel mondo reale, dove le rette parallele sono e restano parallele. Ci sarà sempre tempo di portarci verso il piano ampliato, dato che ormai sappiamo che c’è.

Inoltre, per semplificare ancora di più la trattazione (non essendo ferrovieri esperti), consideriamo dei binari molto particolari. La distanza tra le due rotaie la consideriamo nulla, ossia pari a zero. Ciascuna linea ferroviaria può quindi essere considerata una linea unica. In altre parole, imitiamo i giapponesi (ma non solo) e costruiamo tante monorotaie. Saremo sempre in tempo a rimettere le cose a posto se veramente lo vorremo (ma non credo proprio). Non ditemi: “Ma, allora, sparisce il punto all’infinito”. No, lui continua a esserci, alla fine della monorotaia, anche se non riusciamo a renderlo evidente come prima. Adesso, però, non abbiamo più bisogno di “vederlo”, dato che sappiamo che c’è e dov’è.
Torniamo al nostro titolo, che non è stato scelto a caso: “sistemiamo la rete ferroviaria”. La rete ferroviaria l’abbiamo già trattata e rappresenta l’insieme di tutte le linee possibili (ferroviarie o no). Cosa vuol dire sistemare? Creare un sistema, un qualcosa che ci permetta di definire al meglio le nostre linee e che ci permetta di riferirle a qualcosa di fisso e di oggettivo. Il nostro primo sistema di riferimento è quello basato sulle coordinate cartesiane. E’ sicuramente il più semplice per definire l’intero piano della rete ferroviaria (immaginiamo di lavorare solo nel piano delle figura, sulla pianura o deserto, ma si potrebbe benissimo descrivere anche lo spazio a tre dimensioni).
Innanzitutto, abbiamo bisogno di una stazione principale, a cui fare sempre riferimento. Questa stazione la chiamiamo origine O. Anche se non tutti i treni passeranno da lei, dovremo sempre fare riferimento alla sua posizione: un “punto”, un posto sicuro e sempre rintracciabile. Come possiamo disegnare questa stazione tanto speciale? Nel modo più semplice: proprio come un punto geometrico, immaginando veramente che non abbia dimensioni. Sì, lo so, qualsiasi punto disegnato su un foglio acquista subito delle dimensioni (anche se piccole). La matita fa quello che può. Tuttavia, facciamo uno sforzo di immaginazione e assumiamo che le sue dimensioni siano veramente trascurabili, ossia tendano veramente allo zero. D’altra parte, se riuscissimo a usare una matita a punta finissima, tale da non lasciare segno sul foglio, non riusciremmo a vedere il punto e non sapremmo come proseguire.
Chi ha letto il libro Flatlandia sa benissimo che questo è un problema veramente irrisolvibile se non attraverso qualche “escamotage” grafico. Comunque lavori la nostra matita, però, teniamo bene a mente con chi abbiamo a che fare. Per cui, assumiamo che le sue dimensioni siano veramente lo zero teorico. Non dobbiamo fare una grande fatica. E’ inutile sprecare una figura per disegnare un punto che, oltretutto, dovrebbe essere invisibile e andiamo avanti. Comunque, sui problemi del punto interverremo molto presto. Non si può sempre considerarlo esistente e inesistente. Dovremo utilizzare qualche “trucco” davvero speciale
Una stazione, però, non serve a niente, se non ci sono dei binari. Tracciamo, allora, due monorotaie estremamente semplici e ovvie. Una orizzontale e una verticale. Ovviamente, essendo le prime, le facciamo passare per il punto origine. In questo modo il nostro punto è facilmente individuabile come intersezione dei due binari.
Consideriamo, prima, quella orizzontale. Potrei dirvi anche come costruirla. Dovremmo mettere uno accanto all’altro tantissimi punti fino a formare una linea retta. Ovviamente, dato che i punti non hanno dimensioni, non riusciremmo mai a disegnare una linea. Ma, ormai, il gioco lo conosciamo e ammettiamo nuovamente che la linea si possa realmente vedere e disegnare. Il che vuol dire che abbiamo messo vicini tantissimi punti, ma così tanti che potremmo dire che sono infiniti… Gira e rigira, questo benedetto infinito torna sempre in ballo. Anzi, abbiamo imparato una cosa in più: esiste un infinito “geometrico” (quello delle parallele che si incontrano) e uno “matematico” (quello formato da numeri sempre più grandi di qualche cosa). Ovviamente, sono la stessa cosa, rappresentata in due modi diversi.
Ebbene sì. Una linea altro non è che un insieme di infiniti punti a contatto tra loro. Così è la nostra linea ferroviaria orizzontale. Vi prego di non farmi una domanda che potrebbe essere anche logica, ma che trascende la matematica semplice: “Se è composta da tanti (infiniti) punti senza dimensione, nemmeno lei dovrebbe avere dimensioni”. Potrei rispondervi facilmente, dicendo che infinito per zero NON è uguale a zero, ma è una forma indeterminata (ricordate?). Tuttavia, permettetemi di sorvolare e di considerare reale e ben visibile la nostra retta-monorotaia. Basta considerarla composta da punti come quello dell’origine.
La possiamo disegnare da un lato all’altro del foglio. Il foglio, però, finisce, ma non la retta. Meno male che ne abbiamo parlato nei primi articoli! Anche senza disegnare tutta la retta possiamo dire che sia a destra che a sinistra essa va fino all’infinito. Anzi faremo di più. Questa retta deve passare per l’origine (l’abbiamo fatta passare noi!) e allora possiamo dare un “segno” diverso al binario di destra e a quello di sinistra, rispetto all’origine. Perché lo facciamo? Beh… molto semplice: per sapere da che parte va il treno. Se, dopo la partenza, va verso destra diremo che va in verso positivo e la parte di retta corrispondente (semiretta) rappresenta la parte positiva della linea ferroviaria orizzontale. La parte di sinistra è invece quella negativa. Fermiamoci un attimo a questo punto e cerchiamo di passare dalla geometria alla matematica.
Abbiamo visto che la retta è formata da punti, anzi da infiniti punti. Non possiamo certo segnarli tutti, ma possiamo sempre indicare ogni tanto i millimetri, i centimetri, i metri, i chilometri o quello che volete, percorsi dal treno lungo il suo viaggio. Un po’ come le indicazioni stradali che ci dicono quanti chilometri abbiamo percorso dall’inizio di un’autostrada. Indichiamo questi punti con dei numeri, pari alla quantità di millimetri, centimetri, metri, chilometri percorsi fino a lì. Associamo, quindi, a ogni punto della retta orizzontale un numero. In realtà ne segniamo solo uno ogni tanto, magari equidistanti, ma possiamo ricavare subito anche quelli non segnalati.
Essi ci forniscono anche la “scala” della nostra ferrovia. Non possiamo, infatti, pensare di disegnare la ferrovia com’è in realtà. Dobbiamo ridurne le dimensioni, farne un modellino. L’importante è però sapere che ciò che nel disegno vale 1 cm è, ad esempio, equivalente a 1 o 10 o 100 km nella ferrovia reale. Vicino alla linea orizzontale scriveremo quindi l’unità di misura che si sta scegliendo. Ovviamente, i numeri associati ai punti della parte destra della linea orizzontale saranno positivi, quelli di destra negativi.
Dove finiscono le due semirette? Sicuramente all’infinito e quindi, anche senza disegnarli, sappiamo che a destra si arriva a + ∞ e a sinistra a – ∞. O -ancora meglio- la retta tende a + ∞ e a – ∞. Bel lavoro, non c’è che dire.
Chiamiamo questa linea ferroviaria, così definita, asse delle ascisse. I numeri associati ai punti che stanno su di lei sono chiamati, appunto, ascisse (il nome vuol dire letteralmente “tagliata”, ma non è chiaro perché è stato dato a questa linea… forse perché il segnare un punto su di lei vuol dire “tagliarla”… mah…). Per completare la rappresentazione, invece di indicare sempre il segno + e il segno -, inseriamo una freccia al termine della parte destra, quella positiva. Mi chiederete perché, dato che il + è sempre dalla parte destra. Beh… a volte si può anche ruotare il foglio, ossia guardarlo da una parte diversa, e noi vogliamo sempre ricordare qual’era il verso positivo originale. Ma, per adesso, non preoccupiamoci…
Come vi avevo già detto, abbiamo bisogno anche di un’altra linea retta (la seconda monorotaia di riferimento). Non è difficile costruirla. Anch’essa deve passare per l’origine (l’intersezione di questa e dell’asse delle ascisse è proprio l’origine O), ma è perpendicolare a quella di prima, ossia è una retta verticale. In parole povere, le due monorotaie formano un angolo retto tra di loro. A questa nuova retta viene dato il nome di asse delle ordinate e ai valori associati ai suoi punti quello di ordinate (il nome deriva dal fatto che i numeri sono ordinati su di lei. Forse essa è “nata” per prima e l’asse delle ascisse si chiama così perché la “taglia”. Boh… scegliete voi ). L’asse delle ordinate funziona come quello delle ascisse, solo che la sua parte positiva va verso l’alto e quella negativa verso il basso. Analogamente, il suo punto positivo all’infinito è in alto (dove mettiamo anche la freccia) e quello negativo in basso. L’insieme di ascisse e ordinate prende il nome di sistema di coordinate cartesiane.
Per sintetizzare i nomi ascissa e ordinata, si indica, normalmente, la prima con x e la seconda con y. A questo punto possiamo disegnare il sistema cartesiano nella Fig. 10.

Bene, bene. Abbiamo la nostra stazione “centrale” e due percorsi estremamente semplici e indicativi: uno orizzontale e uno verticale. E’ un po’ come se avessimo cominciato a costruire una città romana, con il cardo e il decumano, partendo dal foro. In realtà, non è una battuta, ma nell’antichità ci si basava proprio su questo schema geometrico semplice ma efficientissimo.
E’ venuto il momento di lasciare da parte stazioni e ferrovie. Possiamo ormai parlare liberamente di assi delle ascisse e delle ordinate, di x e y, di verso positivo e negativo, di punto origine che ha ascissa x = 0 e ordinata y = 0 (per definizione). Che c’è? Vi siete stupiti di quest’ultima affermazione? Piano, piano, è facilissimo arrivarci. Lui è proprio l’inizio, la divisione tra positivo e negativo, ossia lo zero. Quindi in esso, x = 0. Ma lo stesso punto è anche l’inizio dei versi positivi e negativi delle ordinate, quindi vale anche y = 0. Dato che il punto O è proprio un punto (o almeno lo consideriamo tale) possiamo tranquillamente assegnargli un numero “speciale” come lo zero. Non avendo dimensioni, la x e la y di quel punto possono proprio essere considerate 0,0000000000…. finché volete!
Prima di concludere questa parte facciamo ancora un passetto in avanti, basandoci solo sulla logica di ciò che abbiamo imparato finora. Il punto O ha coordinate (x,y) uguali a 0. Domanda che quasi mi vergogno a fare? Che ascissa avranno TUTTI i punti, sia positivi che negativi dell’asse y? E che ordinata avranno TUTTI i punti dell’asse x? Lascio a voi la risposta… tanto ci torneremo sopra.
di Vincenzo Zappalà – tratto da: L’Infinito Teatro del Cosmo