Kilonova, là dove i neutroni diventano oro

Là dove c’erano due stelle di neutroni ora c’è un oggetto piuttosto enigmatico. Il team guidato da Elena Pian dell’Istituto nazionale di astrofisica è stato il primo a ottenerne lo spettro, grazie allo strumento X-Shooter del Vlt. I risultati sono descritti oggi su Nature

Un po’ come quando avviene un omicidio, anche in astrofisica c’è chi si occupa di scattare le prime foto e chi, invece, ha il compito di scoprire nel più breve tempo possibile l’identità del cadavere. Nella maggior parte dei casi basta guardare nelle tasche, ma a volte le cose sono più complicate. È il caso dell’evento annunciato oggi nel corso di più conferenze stampa tenutesi in simultanea nel mondo: la rivelazione della prima onda gravitazionale della quale sia stato possibile registrare la controparte elettromagnetica.

Dopo il merging delle due stelle di neutroni, dopo lo “sparo” del lampo gamma, quello rimasto a brillare per qualche tempo lassù nella galassia NGC 4993 che razza d’oggetto era mai? Per stabilirlo era necessaria un’accurata analisi spettroscopica. Analisi condotta usando i grandi telescopi cileni dell’ESO da alcuni team di scienziati. C’era il team di Stephen Smartt, del quale fanno parte anche astrofisici dell’INAF, e che ritroviamo oggi su Nature. C’era quello di Stefano Covino dell’INAF di Milano, che con lo strumento Fors2 del VLT ha compiuto le misure polarimetriche, pubblicate oggi su Nature Astronomy. E, primo fra tutti, nella notte fra il 18 e il 19 agosto, c’era il team guidato da Elena Pian dell’INAF di Bologna e Paolo D’Avanzo dell’INAF di Milano: avvalendosi di uno fra i migliori spettrografi al mondo – X-Shooter, montato sulla seconda delle quattro unità del Very Large Telescope dell’ESO a Paranal, in Cile – sono riusciti, appunto, a svelare l’identità di quella sorgente di luce apparsa in NGC 4993. Il risultato è anch’esso oggi su Nature, e Media INAF ha raggiunto Elena Pian a Monaco, dove si trova per la conferenza stampa ESO, per farselo illustrare.

Elena Pian, dirigente di ricerca all’Inaf di Bologna
Elena Pian, dirigente di ricerca all’INAF di Bologna

 

Pian, che cosa è successo quel 17 agosto di circa 130 milioni d’anni fa in una galassia a 40 megaparsec dalla Terra?

«È successo che un sistema di due stelle di neutroni è andato in coalescenza. Tutto ha avuto inizio da stelle massicce, stelle con una massa pari a 8-10 volte quella del Sole. Stelle che spesso, nell’80-90 per cento dei casi, si trovano in sistemi binari. Alla fine della loro vita, quando muoiono, muoiono come supernove. E ciascuna di esse lascia dietro di sé un “resto”, che è una stella di neutroni. Ecco dunque che, se il sistema di partenza è un sistema binario di stelle massicce, il sistema finale sarà un sistema binario di stelle di neutroni, che ruotano una intorno all’altra per centinaia di milioni di anni e che perdono onde gravitazionali».

Rappresentazione artistica della fusione di stelle di neutroni. Crediti: Eso/L. Calçada/M. Kornmesser
Rappresentazione artistica della fusione di stelle di neutroni. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Come? Da dove le perdono?

«Ruotando una intorno all’altra. Si avvicinano, e perdono in questo modo energia. A un certo punto, nel momento finale, ruotano velocissimamente una intorno all’altra, in un sistema sempre più stretto, perdono un’energia enorme sotto forma di radiazione gravitazionale, che quindi viene rivelata dai nostri interferometri gravitazionali. La fine di questo balletto orbitale drammatico è la coalescenza: cioè, quando entrano in contatto il sistema muore, va in coalescenza ed esplode. È la fase in cui l’emissione di onde gravitazionali è al massimo, in cui le onde raggiungono la massima ampiezza. E se ci sono telescopi – a tutte le frequenze, dal radio all’ottico al gamma – che osservano, possono vedere la controparte elettromagnetica».

E con questo arriviamo ai giorni nostri, 130 milioni d’anni più tardi, al 17 agosto scorso, qui sul pianeta Terra. Anzitutto, lei dove si trovava?

«Mi stavo trasferendo. Ero arrivata il giorno prima, il 16 agosto, al Max Planck Institute for Astrophysics di Garching, in Germania, dove avevo già pianificato di trascorrere i due mesi successivi. Il giorno dopo, il 17 agosto, quando c’è stato questo evento, l’alert è stato disseminato molto rapidamente dal consorzio Ligo-Virgo. E subito tutti i telescopi ottici e infrarossi a grande campo si sono messi in cerca della controparte».

Come sapevano dove cercare?

«L’elemento chiave, in questo caso, era un’informazione disseminata dal consorzio Ligo-Virgo. E cioè che questo sistema binario si trovava a una distanza molto piccola dalla Terra: 40 megaparsec [ndt, circa 130 milioni di anni luce] è praticamente considerato universo locale. Dunque era un sistema molto vicino. Questo ha messo in allerta gli astronomi ottici, perché a una distanza così piccola non ci sono tantissime galassie: ce ne sono tante, ma non tantissime. Per cui è relativamente facile esplorarle con un telescopio a grande campo di vista, ed è relativamente facile coprire tutto il cielo visibile ed esaminarle tutte».

Immagine VIMOS della galassia Ngc 4993 che mostra (indicata dalla freccia) la controparte ottica della fusione di una coppia di stelle di neutroni. Crediti: Eso
Immagine VIMOS della galassia NGC 4993 che mostra (indicata dalla freccia) la controparte ottica della fusione di una coppia di stelle di neutroni. Crediti: ESO

È quello che avete fatto?

«Sì, è quello che è stato fatto dagli astronomi ottici: hanno spazzato sistematicamente il cielo con i loro telescopi fino a che non sono arrivati alla galassia incriminata, quella in cui era ospitato il sistema colpevole. E lì hanno trovato il transiente ottico, la sorgente variabile ottica».

Come “hanno”? Avete, c’era anche lei, no?

«Be’, sì, io faccio parte del team che entra in attività immediatamente dopo. Il mio è un programma non per la ricerca della controparte ottica, bensì per il follow-up di una controparte ottica quando è stata approvata. Cioè a me spetta capire che cos’è, identificarla».

Doveva essere un oggetto davvero speciale, per far finire il suo articolo dritto sulle pagine di Nature

«Le circostanze speciali sono due. Una è che c’era un segnale gravitazionale, e ancora prima che gli astronomi ottici si mettessero a cercare una controparte, era stata vista dal satellite Fermi la controparte gamma: un gamma-ray burst, praticamente simultaneo all’onda gravitazionale. L’altra circostanza molto importante è, appunto, che il sistema era vicinissimo alla Terra. Quindi un segnale gravitazionale da un sistema estremamente vicino alla Terra per il quale è stato rivelato anche il lampo di raggio gamma. Ecco dunque che, localizzata la controparte ottica in tempi estremamente rapidi, entrano in gioco i team che – come il mio – hanno tempo al telescopio per fare la caratterizzazione e l’identificazione della sorgente con la spettroscopia».

Montaggio di diversi spettri ottenuti con lo strumento X-Shooter montato sul Vlt dell’Eso. Crediti: Eso/E. Pian et al./S. Smartt e ePessto
Montaggio di diversi spettri ottenuti con lo strumento X-Shooter montato sul VLT dell’ESO. Crediti: ESO/E. Pian et al./S. Smartt e ePessto

 

È stato importante che la sorgente si trovasse vicina alla Terra, diceva. Perché?

«Essendo così vicina, ci aspettavamo di acquisire degli spettri bellissimi. Tipicamente, le sorgenti con cui abbiamo a che fare noi, cioè i gamma-ray bursts delle supernove, sono molto più lontane, per cui la spettroscopia risulta assai più difficile da fare: bisogna esporre più a lungo, il segnale è spesso modesto… Qui, avendo una sorgente a 40 megaparsec che ci aspettavamo il meglio

I risultati vi hanno dato ragione?

«Sì. Abbiamo preso il primo spettro con X-Shooter, uno strumento montato al VLT dell’ESO, in Cile. È uno strumento che copre l’intero spettro, dal vicino infrarosso fino al vicino ultravioletto, e lo copre simultaneamente, perché ha tre bracci che lavorano simultaneamente. Quindi uno strumento estremamente versatile, estremamente sensibile».

Insomma, avevate a disposizione il telescopio al momento giusto e con lo strumento giusto…

«Be’, diciamo, essendo riusciti a osservare appena un giorno e mezzo dopo l’esplosione, abbiamo preso spettri bellissimi. Il primo spettro, poi, è spettacolare».

Che informazioni contiene, questo spettro?

«Il primo spettro è molto importante perché ci fa mostra una pura emissione termica, un corpo nero quasi perfetto: cioè la descrizione di una sorgente quasi esclusivamente termica».

Cosa significa?

«Vuol dire che abbiamo visto la sorgente proprio alla nascita. È il momento iniziale in cui è talmente piccola e compatta che nessun fotone esce dalla regione emittente, quindi osserviamo soltanto lo strato esterno della radiazione, la fotosfera, senza vedere nessun fotone che viene fuori. Ed è una sorgente calda, una sorgente descritta puramente dalla sua temperatura, come tutte le sorgenti di corpo nero».

Quando dice “sorgente”, in questo caso, cosa intende?

«È la luce, la prima luce, emessa da questa sorta di “palla di fuoco”, in inglese fireball, prodotta dalla coalescenza delle due stelle di neutroni. Le due stelle di neutroni urtano una contro l’altra, praticamente penetrano una dentro l’altra, e formano un unico oggetto, un’unica piccolissima e compattissima regione emittente piena di energia. Piena di energia e quasi completamente opaca, nel senso che niente traspare: di questa sorgente primigenia non è possibile vedere gli strati interni, si vede soltanto lo strato esterno che emette a una certa temperatura. È una pura sorgente termica che emette a una certa temperatura. Una sorgente compattissima, però il materiale di cui è fatta, cioè i neutroni, inizia a espandersi molto rapidamente. Essendoci tanta energia – l’energia di legame di due stelle di neutroni – che si libera in un volume piccolissimo, la densità di energia potenziale, lì in quello spazio angusto, è altissima».

Quindi cosa succede?

«Succede che l’energia potenziale inizia a trasformarsi in energia cinetica, che viene trasferita al materiale, che a sua volta inizia a muoversi a velocità altissime. Infatti abbiamo osservato, negli spettri, velocità attorno al 20-30 per cento della velocità della luce».

Sarebbe questa palla di fuoco, quella che chiamate kilonova?

«Esattamente. Kilonova è il nome che è stato dato a questa sorgente, inizialmente compattissima, che poi evolve. Gli spettri successivi al primo non sono più spettri di corpo nero: sono spettri sempre più trasparenti, formati da materiale che irradia con opacità sempre inferiore. Divenendo più trasparente, riusciamo a osservare gli strati più interni di questo materiale, e quindi vediamo righe di assorbimento formate dalle specie atomiche che sono dentro a questo materiale».

Rappresentazione artistica di un’esplosione di kilonova, con indicati alcuni degli elementi chimici prodotti e il loro numero atomico. Crediti: Eso/L. Calçada/M. Kornmesser
Rappresentazione artistica di un’esplosione di kilonova, con indicati alcuni degli elementi chimici prodotti e il loro numero atomico. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser

Specie atomiche? Quali, per esempio?

«Soprattutto atomi pesanti, cioè gli atomi formati attraverso la nucleosintesi da processo r, dove la lettera ‘r’ sta per rapido: è un processo di formazione di elementi tipico di questi ambienti estremi. Due stelle di neutroni sono due oggetti pieni, dove la densità di neutroni è altissima, il volume è piccolissimo e quindi avviene uno scambio rapidissimo di neutroni che, accoppiato a decadimento beta diretto e inverso (cioè si perdono e si acquisiscono elettroni), porta alla formazione di molti protoni e molti nuovi neutroni. Protoni e neutroni che, essendo il volume così piccolo, formano molto rapidamente atomi pesanti, cioè atomi nel cui nucleo ci sono tanti protoni e tanti neutroni, con numero atomico alto e peso atomico alto. Esempi classici sono tutti gli elementi più pesanti del ferro. Elementi come il selenio, l’ittrio, il rutenio… fino all’uranio».

Passando dunque anche per l’oro?

«Eh sì, naturalmente: fra questi elementi molto pesanti sono inclusi l’oro e il platino».

E com’è stato, oggi, vedere su Nature l’articolo “Pian et al.”, per una scoperta che entrerà nei libri di storia della fisica?

«Ho rivissuto in forma amplificata l’esperienza di 20 anni fa, quando una storia analoga si presentò con i gamma ray-bursts: vent’anni fa BeppoSAX, un satellite italo-olandese, localizzò per la prima volta i gamma-ray bursts, e quindi mise in grado gli astronomi di rivelare le controparti X, ottiche e radio dei gamma ray bursts. Fu una rivoluzione, per l’astrofisica delle alte energie. E io ebbi la fortuna di partecipare a quella scoperta, a quelle fasi: c’ero anch’io, e abbiamo vissuto momenti di grande eccitazione. Nel caso odierno si è ripresentata una situazione del genere, ma stavolta oserei dire molto più importante».

Perché?

«Perché questa kilonova è l’atto di nascita dell’astronomia gravitazionale ed elettromagnetica. Cioè abbiamo capito e dimostrato che si può fare astrofisica delle alte energie multimessenger.  Questa è la dimostrazione. Ne abbiamo tanto parlato… impareremo cose nuove, dicevamo, osservando gli stessi oggetti con gli interferometri gravitazionali e con i telescopi elettromagnetici e i satelliti per la radiazione elettromagnetica. Ebbene, oggi abbiamo dimostrato che lo possiamo fare, che lo si fa e che il progresso è enorme».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Spectroscopic identification of r-process nucleosynthesis in a double neutron star merger”, di Pian, P. D’Avanzo, S. Benetti, M. Branchesi, E. Brocato, S. Campana, E. Cappellaro, S. Covino, V. D’Elia, J. P. U. Fynbo, F. Getman, G. Ghirlanda, G. Ghisellini, A. Grado, G. Greco, J. Hjorth, C. Kouveliotou, A. Levan, L. Limatola, D. Malesani, P. A. Mazzali, A. Melandri, P. Møller, L. Nicastro, E. Palazzi, S. Piranomonte, A. Rossi, O. S. Salafia, J. Selsing, G. Stratta, M. Tanaka, N. R. Tanvir, L. Tomasella, D. Watson, S. Yang, L. Amati, L. A. Antonelli, S. Ascenzi, M. G. Bernardini, M. Boër, F. Bufano, A. Bulgarelli, M. Capaccioli, P. G. Casella, A. J. Castro-Tirado, E. Chassande-Mottin, R. Ciolfi, C. M. Copperwheat, M. Dadina, G. De Cesare, A. Di Paola, Y. Z. Fan, B. Gendre, G. Giuffrida, A. Giunta, L. K. Hunt, G. Israel, Z.-P. Jin, M. Kasliwal, S. Klose, M. Lisi, F. Longo, E. Maiorano, M. Mapelli, N. Masetti, L. Nava, B. Patricelli, D. Perley, A. Pescalli, T. Piran, A. Possenti, L. Pulone, M. Razzano, R. Salvaterra, P. Schipani, M. Spera, A. Stamerra, L. Stella, G. Tagliaferri, V. Testa, E. Troja, M. Turatto, S. D. Vergani e D. Vergani
  • Leggi su Nature l’articolo “A kilonova as the electromagnetic counterpart to a gravitational-wave source“, di S. J. Smartt, T.-W. Chen, A. Jerkstrand, M. Coughlin, E. Kankare, S. A. Sim, M. Fraser, C. Inserra, K. Maguire, K. C. Chambers, M. E. Huber, T. Krühler, G. Leloudas, M. Magee, L. J. Shingles, K. W. Smith, D. R. Young, J. Tonry, R. Kotak, A. Gal-Yam, J. D. Lyman, D. S. Homan, C. Agliozzo, J. P. Anderson, C. R. Angus, C. Ashall, C. Barbarino, F. E. Bauer, M. Berton, M. T. Botticella, M. Bulla, J. Bulger, G. Cannizzaro, Z. Cano, R. Cartier, A. Cikota, P. Clark, A. De Cia, M. Della Valle, L. Denneau, M. Dennefeld, L. Dessart, G. Dimitriadis, N. Elias-Rosa, R. E. Firth, H. Flewelling, A. Flörs, A. Franckowiak, C. Frohmaier, L. Galbany, S. González-Gaitán, J. Greiner, M. Gromadzki, A. Nicuesa Guelbenzu, C. P. Gutiérrez, A. Hamanowicz, L. Hanlon, J. Harmanen, K. E. Heintz, A. Heinze, M.-S. Hernandez, S. T. Hodgkin, I. M. Hook, L. Izzo, P. A. James, P. G. Jonker, W. E. Kerzendorf, S. Klose, Z. Kostrzewa-Rutkowska, M. Kowalski, M. Kromer, H. Kuncarayakti, A. Lawrence, T. B. Lowe, E. A. Magnier, I. Manulis, A. Martin-Carrillo, S. Mattila, O. McBrien, A. Müller, J. Nordin, D. O’Neill, F. Onori, J. T. Palmerio, A. Pastorello, F. Patat, G. Pignata, Ph. Podsiadlowski, M. L. Pumo, S. J. Prentice, A. Rau, A. Razza, A. Rest, T. Reynolds, R. Roy, A. J. Ruiter, K. A. Rybicki, L. Salmon, P. Schady, A. S. B. Schultz, T. Schweyer, I. R. Seitenzahl, M. Smith, J. Sollerman, B. Stalder, C. W. Stubbs, M. Sullivan, H. Szegedi, F. Taddia, S. Taubenberger, G. Terreran, B. van Soelen, J. Vos, R. J. Wainscoat, N. A. Walton, C. Waters, H. Weiland, M. Willman, P. Wiseman, D. E. Wright, Ł. Wyrzykowski e O. Yaron Show
  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “The unpolarized macronova associated with the gravitational wave event GW 170817“, di S. Covino, K. Wiersema, Y. Z. Fan, K. Toma, A. B. Higgins, A. Melandri, P. D’Avanzo, C. G. Mundell, E. Palazzi, N. R. Tanvir, M. G. Bernardini, M. Branchesi, E. Brocato, S. Campana, S. di Serego Alighieri, D. Götz, J. P. U. Fynbo, W. Gao, A. Gomboc, B. Gompertz, J. Greiner, J. Hjorth, Z. P. Jin, L. Kaper, S. Klose, S. Kobayashi, D. Kopac, C. Kouveliotou, A. J. Levan, J. Mao, D. Malesani, E. Pian, A. Rossi, R. Salvaterra, R. L. C. Starling, I. Steele, G. Tagliaferri, E. Troja, A. J. van der Horst e R. A. M. J. Wijers

 

Articolo di Marco Malaspina originariamente pubblicato su Media INAF.

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12 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. I telescopi dell'ESO osservano la prima luce emessa da una sorgente di onde gravitazionali

    La fusione di due stelle di neutroni sparge oro e platino nello spazio

    La compagine di telescopi dell'ESO in Cile ha rivelato la prima controparte visibile di una sorgente di onde gravitazionali. Queste storiche osservazioni suggeriscono che questo oggetto, l'unico per ora, sia il risultato della fusione di due stelle di neutroni. Le conseguenze catastrofiche dell'incontro, o meglio scontro - previsto da tempo e chiamato chilonova - hanno diffuso elementi pesanti come oro e platino nell'Universo. Questa scoperta, pubblicata in diversi articoli su Nature e altre riviste, fornisce inoltre la più solida evidenza finora che i lampi di luce gamma corti siano causati dalla fusione di stelle di neutroni.
    Per la prima volta in assoluto, gli astronomi hanno osservato sia le onde gravitazionali che la luce (radiazione elettromagnetica) dallo stesso evento, grazie a uno sforzo di collaborazione globale e alla reazione rapida delle strutture dell'ESO e di altri gruppi in tutto il mondo.
    Il 17 agosto 2017, l'osservatorio LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory) dell'NSF negli Stati Uniti d'America, insieme con l'Interferometro Virgo in Italia, hanno rilevato onde gravitazionali che hanno raggiunto la Terra. Questo, il quinto evento gravitazionale osservato, è stato chiamato GW170817. Circa due secondi più tardi, due osservatori spaziali, Fermi (il Fermi Gamma-ray Space Telescope) della NASA e INTEGRAL (INTErnational Gamma Ray Astrophysics Laboratory) dell'ESA, hanno rilevato un lampo di luce gamma corto dalla stessa area del cielo.
    La rete di osservatori LIGO-Virgo aveva circoscritto la posizione della sorgente all'interno di in un'ampia regione del cielo australe, della dimensione di parecchie centinaia di volte la dimensione della Luna piena, che contiene milioni di stelle [1]. Appena scesa la notte in Cile, molti telescopi sono stati diretti verso questa zona di cielo, alla ricerca di un nuovo punto luminoso. Tra questi: VISTA (Visible and Infrared Survey Telescope for Astronomy) e VST (VLT Survey Telescope) dell'ESO all'Osservatorio del Paranal, il telescopio italiano REM (Rapid Eye Mount) installato all'Osservatorio di La Silla dell'ESO, il telescopio LCO da 0,4 metri di diametro all'Osservatorio di Las Cumbres, l'americano DECcam all'Osservatorio Interamericano di Cerro Tololo. Il telescopio Swope da 1 metro di diametro è stato il primo ad annunciare una nuova sorgente di luce, molto vicina alla galassia NGC 4993, una galassia lenticolare nella costellazione dell'Idra, mentre quasi nello stesso momento le osservazioni di VISTA identificavano la stessa sorgente a lunghezze d'onda infrarosse. Mentre la notte scendeva sempre più a ovest sul globo, i telescopi delle Hawaii Pan-STARSS e Subaru si rivolgevano verso la sorgente per per vederla evolvere rapidamente.
    "Ci sono rare occasioni in cui uno scienziato ha la possibilità di assistere all'inizio di una nuova era", ha commentato Elena Pian, astronoma all'INAF, Italia, e prima autrice di uno degli articoli pubblicati da Nature. "E questo è uno di quei momenti!"
    L'ESO ha lanciato una delle più grandi campagne osservative per "target of opportunity" (cioè per oggetti variabili o comunque non noti in precedenza) e molti telescopi dell'ESO o a cui ESO partecipa hanno osservato l'oggetto nelle settimane dopo la scoperta [2]. Il VLT (Very Large Telescope) dell'ESO, l'NTT (New Technology Telescope), il VST, il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO e ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) [3] hanno tutti osservato l'evento e la sua evoluzione successiva in un grande intervallo di lunghezze d'onda. Circa 70 osservatori in tutto il mondo, tra cui il telescopio spaziale Hubble della NASA/ESA, sono stati puntati sulla sorgente.
    Le stime di distanza prodotte sia dai dati delle onde gravitazionali che da altre osservazioni sono concordi nel posizionare GW170817 alla stessa distanza di NGC 4993, a circa 130 milioni di anni luce dalla Terra. Ciò rende la sorgente sia l'evento di onde gravitazionali più vicino mai visto finora che uno dei più vicini lampi di luce gamma mai osservato [4].
    Le increspature dello spazio-tempo note come onde gravitazionali vengono create da masse in movimento, ma solo le più intense, prodotte da rapidi cambiamenti della velocità di oggetti molto massicci, sono oggi osservabili. Uno di questi eventi è la fusione di stelle di neutroni, il resto estremamente denso del nucleo collassato di una stella di alta massa: ciò che rimane dopo un'esplosione di supernova [5]. Queste fusioni erano ritenute anche la spiegazione più convincente per spiegare i lampi di luce gamma corti. Un evento esplosivo circa 1000 volte più brillante di una tipica nova - noto perciò come chilonova - è previsto dopo uno di questi lampi gamma.
    La detezione quasi simultanea di onde gravitazionali e raggi gamma da GW170817 aveva fatto ben sperarare che questo oggetto fosse dunque una delle tanto cercate chilonove e le osservazioni con i telescopi dell'ESO hanno mostrato proprietà molto vicine alle previsioni teoriche. Le chilonove sono state proposte più di 30 anni fa, ma questa è la prima osservazione confermata.
    Dopo la fusione delle due stelle di neutroni, un'esplosione di elementi chimici pesanti in rapida espansione ha lasciato la chilonova, muovendosi a una velocità pari a un quinto della velocità della luce. Il colore della chilonova è passato da molto blu a molto rosso nel corso dei giorni successivi, un cambiamento più rapido di quanto mai osservato in un'esplosione stellare.
    "Quando lo spettro è comparso sui nostri schermi mi sono reso conto che questo è l'oggetto transiente più strano che io abbia mai visto", ha detto Stephen Smartt, che guidava le osservazioni con l'NTT di ESO nell'ambito del programma osservativo ePESSTO (extended Public ESO Spectroscopic Survey of Transient Objects; cioè l'estensione della survey pubblica dell'ESO per l'osservazione spettroscopica di oggetti transienti). "Non avevo mai visto nulla di simile! I nostri dati, insieme a quelli di altri gruppi, hanno dimostrato a tutti che questa non era una supernova o una stella variabile di primo piano, ma qualcosa di veramente notevole."
    Gli spettri ottenuti da ePESSTO e dallo strumento X-shooter montato sul VLT suggeriscono la presenza di cesio e tellurio, espulsi dalle stelle di neutroni in fusione. Questi e altri elementi pesanti, prodotti proprio durante la fusione di stelle di neutroni, sarebbero lanciati nello spazio dalla chilonova che segue. Le osservazioni confermano la formazione di elementi più pesanti del ferro per mezzo di reazioni nucleari all'interno di oggetti stellari di alta densità, noti come processi-r di nucleosintesi, o di nucleosintesi con cattura rapida di neutroni, finora solo prevista dalla teoria.
    "I dati ottenuti finora collimano perfettamente con le previsioni teoriche. È un vero trionfo per i teorici, una conferma che gli eventi LIGO-Virgo sono assolutamente reali e un successo per l'ESO che è riuscito a raccogliere un tale messe di dati sulla chilonova", aggiunge Stefano Covino, primo autore di uno degli articoli su Nature Astronomy.
    "La grande forza dell'ESO è di avere un'ampia gamma di telescopi e strumenti per affrontare rapidamente progetti astronomici complessi e di ampio respiro. Siamo entrati in una nuova era, quella dell'astronomia multi-vettore!" conlcude Andrew Levan, primo autore di uno degli altri articoli.

  2. Note

    [1] I dati di LIGO-Virgo indicavano l'ubicazione della sorgente in un'area di cielo di circa 35 gradi quadrati.
    [2] La galassia era osservabile di sera solo in Agoso, mentre da Settembre era troppo vicina al Sole.
    [3] Sul VLT, le osservazioni sono stata realizzate con: lo spettrografo X-shooter su UT2; FORS2 (FOcal Reducer and low dispersion Spectrograph 2) e NACO (Nasmyth Adaptive Optics System (NAOS) – Near-Infrared Imager and Spectrograph (CONICA) su UT1; VIMOS (VIsible Multi-Object Spectrograph) e VISIR (VLT Imager and Spectrometer for mid-Infrared) su UT3; MUSE (Multi Unit Spectroscopic Explorer) e HAWK-I (High Acuity Wide-field K-band Imager) su UT4. Le osservazioni con VST usavano OmegaCAM mentre VISTA montava VIRCAM (VISTA InfraRed CAMera). Nell'ambito del programma ePESSTO, l'NTT ha raccolto spettri nella banda del visibile con lo spettrografo EFOSC2 (ESO Faint Object Spectrograph and Camera 2) e spettri infrarossi con lo spettrografo SOFI (Son of ISAAC). Il telescopio da 2,2 metri dell'MPG/ESO ha osservato con lo strumento GROND (Gamma-Ray burst Optical/Near-infrared Detector).
    [4] La distanza relativamente piccola tra la Terra e le due stelle di neutroni in fusione, circa 130 milioni di anni luce, ha reso possibili le osservazioni, dal momento che la fusione di stelle di neutroni produce un'onda gravitazionale più debole della fusione dei buchi neri, che invece rappresentano la probabile controparte dei primi quattro eventi di onde gravitazionli osservati.
    [5] Quando le stelle di neutroni sono in orbita in un sistema binario, perdono energia emettendo onde gravitazionali. Si avvicinano sempre di più finchè, quando alla fine si scontrano, parte della massa del resto stellare viene convertita in energia, come descritto dalla famosa equazione di Einstein E=mc2, sotto forma di un violento impulso di onde gravitazionali.


    Articolo originale QUI.

    Ringrazio per la preziosa collaborazione corrado973.

  3. Meraviglioso! Leggendo l'articolo del primo post, si sente l'eccitazione e la passione della ricercatrice, l'emozione per un evento che entrerà dritto dritto nei libri di storia.

  4. Domanda che mi è nata da questo articolo ma non lo riguarda direttamente (spero non sia troppo OT):
    secondo la teoria attuale, per quanto ne so, se un oggetto "cade" in un buco nero un osservatore esterno lo vede fermarsi a una lunghezza di planck dall'orizzonte degli eventi per via della dilatazione temporale, dunque nel caso della coalescenza di due buchi neri ciò che osserveremmo sarebbero due buchi neri pressoché tangenti l'uno all'altro? (separati da una lunghezza di plank).
    Però si dovrebbe essere formato un buco nero dal diametro dell'OE più grande, che dovrebbe impedire la fuga di luce in certe regioni che prima non erano occupate da nessuno dei due buchi neri iniziali. Eppure, vedendo due buchi neri tangenti, quella regione dovrebbe comunque esserci visibile. In pratica la luce, per noi, sfuggirebbe dall'OE!!!
    Come si risolve?
    Spero di essermi spiegato.

  5. Citazione Originariamente Scritto da Dinamo Visualizza Messaggio
    Domanda che mi è nata da questo articolo ma non lo riguarda direttamente (spero non sia troppo OT):
    secondo la teoria attuale, per quanto ne so, se un oggetto "cade" in un buco nero un osservatore esterno lo vede fermarsi a una lunghezza di planck dall'orizzonte degli eventi per via della dilatazione temporale, dunque nel caso della coalescenza di due buchi neri ciò che osserveremmo sarebbero due buchi neri pressoché tangenti l'uno all'altro? (separati da una lunghezza di plank).
    Non vedresti mai fermarlo veramente, ci vorrebbe un tempo infinito per ottenere questa condizione per via della dilatazione temporale.

    Anche nella coalescenza di due buchi neri quindi, in teoria non vedresti accadere l'evento del merging se sei all'interno del sistema perchè la luce in uscita verrebbe ritardata dalla dilatazione temporale. Tuttavia vedresti poi una possibile esplosione e la conseguente fuoriuscita di radiazioni una volta che il merging è avvenuto a causa della rottura delle condizioni iniziali, cioè perchè il sistema finale non è più quello iniziale.

    A questa domanda comunque potrebbe risponderti meglio un esperto in fisica dei buchi neri e dei fenomeni di merging.

  6. Dire che tutto questo è entusiasmante ancora non rende l'idea! Si capisce anche lo stupore di tutti quelli che hanno avuto la fortuna di essere , non solo spettatori, ma attori. Hai poco da aspettartele certe cose, quando avvengono però...
    Una domanda: Hanno tutti detto che in questo caso, trattandosi di due stelle di neutroni, c'è stato iin contemporanea o quasi l'effetto visivo nelle diverse lunghezze d'onda. Perché, invece nel caso di due buchi neri questo non è stato possibile. Perché non era così bene individuata la provenienza, per la lontananza (dalle dieci alle venti volte più distanti, quindi con un numero enormemente più grande di galassie) o perché, nel caso dei B.H., ci sono solo le onde gravitazionali?

  7. Beh, @Gaetano M., come dici tu c'entra la distanza. Per vedere una controparte nell'ottico, bisogna che la fonte sia sufficientemente vicina. E la vicinanza comporta anche un numero limitato di oggetti da scansionare.

    Però, c'è da ricordare che due BN che si fondono non hanno un granché da rilasciare sotto forma di onde luminose, per la loro natura.

    Inoltre, la fusione di due stelle di neutroni (a quanto si è visto) comporta un gamma ray brust corto, ed esiste un piano di ricerca ad hoc per questi fenomeni.

    Da ultimo, sembra che la fusione di due BN avvenga in tempi brevissimi, mentre quella tra due stelle di neutroni è più lenta. Un tempo più lungo consente una migliore individuazione della posizione dell'oggetto...