Raccogliere luce o ingrandire?

Il telescopio subisce ancora il fascino di Galileo Galilei. Malgrado siano passati secoli, molti continuano a pensare che esso serva per vedere più vicini gli oggetti celesti. Se questo scopo era valido nel 1600, oggi il telescopio ha acquistato un significato ben diverso e decisamente più importante.

Già alla fine del 1800 ci si accorse che il telescopio aveva ben altre caratteristiche che non quelle di far vedere vicino ciò che era lontano. Quest’ultima possibilità era solo un “di più”, di interesse sempre meno attraente. Anche perché non è certo l’ingrandimento che può far superare i limiti intrinseci di un’immagine telescopica.

L’unica caratteristica di importanza astronomica è il diametro dello strumento. Solo da esso dipendono i due vantaggi fondamentali: la quantità di luce che si può raccogliere (e quindi l’informazione fisica) e la capacità di distinguere due stelle molto vicine (o i particolari di uno stesso oggetto). Tutto il resto è solo una “manipolazione” più o meno evidente di ciò che fornisce l’apertura. Una manipolazione che, se non conosciuta adeguatamente, può portare a errori, confusioni e conclusioni del tutto fuorvianti.

Oggi, l’occhio umano è praticamente inutile nell’osservazione astronomica e si preferiscono ricevitori molto più specialistici che variano a seconda dell’informazione che si vuole ottenere: lastre fotografiche o CCD, spettrometri, fotometri, polarimetri, interferometri, ecc., ecc.

L’occhio rimane fondamentale solo per coloro che desiderano “guardare” gli oggetti celesti, cercando di seguire le orme di Galileo, ossia tentare di ingrandirli il più possibile. Tuttavia, bisogna ricordare che senza una conoscenza delle caratteristiche dell’immagine che si vuole ingigantire si fanno sforzi spesso del tutto inutili  Solo una precisa conoscenza del sistema ottico usato e della figura di diffrazione possono evitare insuccessi spesso dolorosi. Non fidiamoci nemmeno troppo della tecnologia che ci viene offerta ovunque e per chiunque. Quando si tratta di vendere, si gira sovente intorno ai veri problemi e le parolone, le promesse e -purtroppo- i prezzi alti sono sovente soltanto uno specchietto per le allodole e sfruttano facilmente la scarsa preparazione del compratore.

Non ho, ovviamente, nessuna intenzione di scendere in questo campo, dato che il nostro valentissimo e preparatissimo Etruscastro ha preparato un manuale adatto allo scopo. Prima di usarlo, però, state bene attenti a ciò che il vostro telescopio è in grado di fornire. In questo contesto, non solo il disco di Airy diventa un ostacolo insormontabile, ma anche gli altri difetti tipici degli obiettivi. Essi prendono il nome di aberrazioni e deformano o alterano l’immagine raccolta nel piano focale. Non esiste un telescopio perfetto che riesca a eliminare TUTTE le aberrazioni. Quali cancellare dipende essenzialmente dal tipo di risultato che si vuole raggiungere. Proprio questa scelta permette di decidere che tipo di strumento è più vicino alle proprie aspirazioni. Ovviamente, vale lo stesso discorso anche per i “giganti” professionali.

Cos’è un $telescopio$?

Come già detto varie volte, un telescopio è formato da un sistema ottico in grado di raccogliere quanta più luce possibile da un astro posto praticamente all’infinito, i cui raggi possano, perciò, essere considerati paralleli. In quest’articolo non specifichiamo il tipo di obiettivo (lo faremo la prossima volta), ma ci limitiamo solo alle sue caratteristiche essenziali. L’importante è che sia in grado di far convergere tutti i raggi verso un solo punto o in “qualcosa” che gli assomigli il più possibile. Il limite di questo punto è l’ormai ben noto disco di Airy, che è definito dalla diffrazione  ed è funzione soltanto del diametro e della lunghezza d’onda. Se a qualcuno risulta ancora un po’ “fantasioso” e misterioso questo fenomeno, legato all’ottica ondulatoria, basti ricordare che deriva essenzialmente dal secondo principio della termodinamica. Tra le sue tante implicazioni, esso dice che non è possibile trasformare l’energia emessa da una sorgente estesa, come una stella, in un punto fisicamente perfetto.

La Fig. 1 ci mostra un telescopio generalizzato. I raggi rossi provengono da un oggetto posto all’infinito, incontrano l’obiettivo OB di diametro D, vengono deviati e convergono verso il punto F, detto fuoco. I raggi rossi della stella S1 sono diretti esattamente come l’asse AO dell’obiettivo, ma i raggi, sempre paralleli tra loro, di un’altra stella S2, separata dalla prima di un angolo ϑ, colpiscono l’obiettivo inclinati e sono fatti convergere in un altro punto che sta, comunque, nel piano passante per F e perpendicolare all’asse dello strumento.  Tale piano è detto piano focale ed è il luogo delle immagini che si formano attraverso l’obiettivo. La distanza tra il centro di simmetria dell’obiettivo e il fuoco è detta distanza focale fOB.

fig. 1
Figura 1

Il “vero” telescopio termina, teoricamente, a questo punto. Non vi sarebbe alcuna necessità di aggiungere altra strumentazione ottica. Si possono solo inserire le apparecchiature più idonee per lo studio dell’immagine suddetta. In altre parole, l’immagine contiene tutto ciò che può servire per la tecnologia più sfrenata.

Galileo non abita più qui, però…

Se, invece, vogliamo imitare il grande Galileo, e guardare direttamente con l’occhio l’immagine che si è formata, è necessario introdurre un nuovo dispositivo ottico in grado di trasformare nuovamente i raggi convergenti in un fascio parallelo, adatto alle condizioni di massimo rilassamento dell’occhio. L’obiettivo svolge il ruolo fondamentale di immagazzinare molta più luce di quanta possa riceverne direttamente l’occhio, l’oculare serve per adattarla alla visione dell’occhio e cercare di ingrandirla angolarmente. Io non mi occuperò dei dettagli di questa parte che ha quasi infinite variazioni sul tema. Alcune utili e necessarie, altre (e sono ben più numerose) del tutto inutili e secondarie rispetto al telescopio vero e proprio.

Lo schema obiettivo + oculare è mostrato in Fig. 2, dove la parte arancione è quella che ci interessa. Vale, comunque, la pena descrivere brevemente uno degli apparenti vantaggi dell’oculare: ingrandire le immagini formatesi nel piano focale dell’obiettivo. Attenzione, però: ingrandire NON vuol dire fornire più dettagli. Tutta l’informazione che si riceve con l’occhio attraverso l’oculare è già presente nell’immagine ottenuta sul piano focale. Ciò che il dischetto di Airy ci permette di analizzare è lasciato inalterato. L’oculare regala la soddisfazione di vedere più “grandi” particolari comunque presenti nell’immagine. Se due stelle non sono state separate dall’obiettivo, non c’è oculare che possa farlo. In altre parole, un oculare non può fare miracoli e superare i limiti dell’ottica ondulatoria. Non pretendete troppo da lui e non “svenatevi” nella speranza di andare contro la fisica.

fig. 2
Figura 2

Come si calcolano gli ingrandimenti di un sistema obiettivo + oculare? Ce lo mostra la Fig. 3.

fig. 3
Figura 3

L’angolo, ossia la distanza angolare tra due oggetti o tra due particolari di uno stesso oggetto, è dato dall’angolo ϑOB. Sul piano focale questa distanza angolare è rappresentata dalla distanza lineare S1S2, ma le distanze tra oggetti celesti sono in realtà espresse solo e soltanto come angoli. L’oculare OC ritrasforma le immagini in fasci di raggi paralleli che formano tra loro un angolo diverso, ϑOC. L’oculare è normalmente costruito in modo che questo angolo sia maggiore di quello relativo ai fasci originari delle due stelle. Si definisce come ingrandimento del sistema obiettivo + oculare il rapporto tra ϑOC e ϑOB. Esso ci dice proprio quanto una distanza angolare viene aumentata nella visione diretta dell’occhio. Possiamo scrivere, perciò, che l’ingrandimento I è dato da:

I = ϑOCOB

Tuttavia, abbiamo anche dal triangolo S1S2O:

S1S2 = fOB ϑOB

e da quello S1S2O’:

S1S2 = fOC ϑOC

In realtà, al posto dell’angolo bisognerebbe mettere la tangente dell’angolo, ma dato che gli angoli sono estremamente piccoli si può tranquillamente inserire l’angolo stesso espresso in radianti.

Le ultime due relazioni ci dicono che:

fOB ϑOB =  fOC ϑOC   e quindi:

I = ϑOCOB = fOB/fOC,  che è la classica formula usata per calcolare gli ingrandimenti, conoscendo le distanze focali dell’obiettivo e dell’oculare.

La Fig. 4 mostra due visioni di Giove. La prima è stata ottenuta dalla seconda ingrandendola attraverso un oculare. E’ facile notare che si è guadagnato in dimensioni, ma non certo nei dettagli. L’informazione contenuta  nella seconda non è cambiata, ma si è solo fatta più confusa per varie ragioni fisiche. Molta attenzione, quindi, nella scelta e nella spesa. Grande non vuol sempre dire bello!

fig. 4
Figura 4

Mettiamo da parte gli oculari (chi ne vuole sapere di più può andare a leggere il manuale di Etruscastro) e procediamo nell’analisi del nostro telescopio vero e proprio.

Un lungo cammino verso il $fuoco$

Assodato una volta per tutte il concetto che il vero parametro fondamentale di un  obiettivo è il suo diametro, da cui dipendono sia la quantità di luce concentrata nel piano focale sia il potere separatore, possiamo passare ad analizzare un altro parametro di grande interesse, la distanza focale. Infatti, a parità di diametro, a seconda del tipo dell’obiettivo, si possono avere distanze focali anche molto diverse.

A volte si pensa che una grande distanza focale sia la configurazione migliore, in quanto, a parità di focale dell’oculare, permette un numero maggiore di ingrandimenti. Teoricamente, è così, ma l’importanza della distanza focale è ben altra. Ricordiamo ancora una volta che ingrandire qualcosa non vuole assolutamente dire aumentare il potere risolutivo e la luminosità dell’oggetto che si osserva. Ormai dovrebbe essere un concetto digerito completamente.

La distanza focale è un parametro che va scelto sulla base dei risultati che si vogliono ottenere. E’, in qualche modo, un artificio che “manipola” l’informazione, rendendo più o meno leggibili certi suoi risvolti. Facciamo tre esempi che mettono in evidenza pregi e difetti di una distanza focale più o meno lunga. Lascio al manuale la trasformazione dei concetti base, che vado a spiegare, in parametri di uso corrente.

Consideriamo in Fig. 5 il nostro solito obiettivo di diametro D, ma con due diverse distanze focali, f e f’, e i corrispondenti piani focali pf e pf’, dove si formano le immagini. Consideriamo anche due stelle che formino, rispettivamente, angoli ϑ1 e ϑ2 con l’asse ottico. Nel piano focale pf le immagini si formano in S1 e S2, mentre nel piano focale pf’ si formano in S1’ e S2’. E’ immediato notare che la distanza angolare ϑ1 – ϑ2, misurata in millimetri o centimetri o quello che volete, aumenta se la focale cresce. In altre parole, un millimetro corrisponde a una separazione angolare decrescente aumentando la focale dell’obiettivo. Il numero che ci dice quanti secondi d’arco corrispondono a un millimetro viene chiamata scala dell’obiettivo.

fig. 5
Figura 5

Vediamo meglio questa semplicissima considerazione. Sia l una lastra fotografica o un CCD o una qualsiasi superficie su cui sia possibile analizzare le immagini. La lunghezza lineare di l è, ovviamente, sempre la stessa sia che essa sia posta in F che in F’.

Vediamo nella Fig. 6 cosa succede sui due piani focali. Immaginiamo di dividere la superficie di l in tanti quadratini (come fossero i pixel di un CCD) e studiamo la situazione. I due “quadrati” della Fig. 6 rappresentano le due superfici che giacciono sul piano focale, viste “di fronte”. Esse sono rappresentati solo come linee l nella Fig. 5 (viste di “taglio”).

fig. 6
Figura 6

La distanza angolare tra le due immagini stellari è sempre la stessa ed è data da ϑ1 – ϑ2. Tuttavia, come detto precedentemente, la distanza lineare tra di loro aumenta all’aumentare della focale. Non illudiamoci, però. Al crescere della distanza lineare crescono anche le dimensioni del disco di Airy (sarebbe troppo bello!). La situazione di pf’ ha però dei notevoli vantaggi rispetto a quella di pf. Quando si misurano le posizioni relative tra due stelle si cerca di misurare il centro di ciascuna immagine (fotocentro). Se essa è una figura perfettamente simmetrica l’aumentare del diametro non influisce proporzionalmente sulla precisione della posizione del fotocentro. In altre parole, se si commette un errore di 0.1 mm nel piano pf, si commette un errore circa uguale anche in pf’. Gli errori di misura si definiscono, ovviamente, in termini lineari. Tuttavia, 0.1 mm su pf corrisponde a un angolo maggiore che in pf’. Ricordiamo, infatti, che 1 mm su pf’ corrisponde a un valore più piccolo di separazione angolare. Ne consegue che l’errore finale espresso come angolo (in secondi d’arco, ad esempio) è nettamente più piccolo se si lavora con grandi lunghezze focali. Ma, ancora più importante, è il fatto che, lavorando su angoli piccoli, l’intera lastra o il CCD è quasi immune dai difetti legati ai raggi  inclinati rispetto all’asse ottico.  Vedremo che esse sono le aberrazioni fuori asse, tra cui il coma è la più importante. Telescopi di grande lunghezza focale (a parità, ovviamente di diametro) sono usati per  misure di grande precisione.

Tutto il cielo in una … stanza

Non sempre, però, lo scopo che si vuole ottenere è quello appena descritto. Vediamo, ad esempio, un problema non trascurabile che viene introdotto da obiettivi con grandi distanza focali. Lo schema ottico è sempre quello di Fig. 5, ma adesso consideriamo nella Fig. 7 cosa succede all’immagine di una singola stella nei due piani focali su una stessa lastra o CCD, di dimensioni uguali a l. Dividiamo sempre le due superfici in quadratini. L’immagine della stella in pf è agevolmente contenuta all’interno di un singolo quadratino. La stessa stella va invece a coprire un’area ben maggiore nel piano focale pf’. Essa interessa ben nove quadratini.

fig. 7
Figura 7

Cosa vuol dire questo? Sappiamo benissimo che la quantità di luce raccolta da un obiettivo di diametro D non cambia al variare della focale. Ne consegue che la stessa quantità di luce viene distribuita su una superficie maggiore quando si usa una focale più lunga. Ogni singolo quadratino colpito dalla luce stellare  mostra un’intensità minore di quello in pf, colpito da tutta la luce della stella. Si suole dire che una focale più corta è più luminosa, perché le immagini stellari sembrano più luminose. In realtà, come già detto, l’intensità totale rimane invariata, ma nel secondo caso tutta la luce è concentrata in un quadratino e non viene dispersa su nove di essi. Focali corte possono quindi essere scelte quando si vogliono avere immagini apparentemente più luminose e quando non interessa molto la separazione tra le immagini e nemmeno i problemi dovuti alle aberrazioni fuori asse.

Ritorniamo per un attimo alla Fig. 6. Le immagini delle due stelle cadono entrambe all’interno di un solo quadratino nel piano pf. Ciò vuole anche dire che vedremmo una singola stella e non due, anche se l’intensità luminosa è molto elevata. Insomma, ogni soluzione ha un suo pro e suo contro. Riflettete sopra a queste varie considerazioni. Ad esempio, cosa vuol dire che entrambe le immagini stellari cadono all’interno di un quadratino? Beh… solo che il singolo pixel è ben più grande del disco di Airy della stella. Ciò potrebbe essere un vantaggio per una visione globale di un certo campo stellare, ma non permetterebbe al telescopio di arrivare al potere separatore dell’obiettivo: la tecnica ucciderebbe l’informazione.

Una focale corta comporta un altro vantaggio, che spesso è più che auspicabile: coprire con una sola immagine un campo di cielo il più vasto possibile. Poco importa se alcune stelle non vengono separate o se le aberrazioni fuori asse diventano molto grandi. L’importante è avere una visione contemporanea di una vasta regione di cielo. Ad esempio, per scovare qualche oggetto di cui non si sa l’esatta posizione o coprire l’intera forma di una struttura molto estesa.

Anche se forse è ormai inutile, disegniamo la Fig. 8 che altri non è che la Fig. 5, leggermente semplificata. Una lastra fotografica o un CCD di dimensioni l copre una zona di cielo ben diversa se posto in pf o in pf’, come mostrato in Fig. 9. In pf il CCD copre un angolo uguale a ϑ1 più grande di ϑ2, ossia ha un campo angolare più esteso. Al suo interno vi saranno molte più stelle che non in quello posto in pf’.

fig. 8
Figura 8

La distanza focale, quindi, pur avendo un ruolo decisamente secondario rispetto al diametro, può dar luogo a soluzioni più o meno vantaggiose a seconda di ciò che si vuole studiare e a seconda delle aberrazioni che si vogliono trascurare o eliminare.

fig. 9
Figura 9

Devo comunque fare una precisazione. Gli esempi fatti precedentemente sono oltremodo semplificati e non rappresentano situazioni realistiche al 100%. Hanno un valore puramente divulgativo e, giocoforza, estremizzato. Spero che siano, però, sufficienti per una comprensione qualitativa dei concetti di base.

Analoghe considerazioni valgono anche per la visione diretta in stile “galileiano”, ossia attraverso oculare e occhio. Tuttavia, bisogna stare molto attenti a non venire trascinati da scelte che dipendono solo da vantaggi del tutto apparenti e non reali. Purtroppo la pubblicità della varia strumentazione tende sovente a gettare la polvere sotto al tappeto o a promettere prodigi. Quanto riportato in questo articolo e in quelli precedenti ha il solo scopo di far comprendere le capacità e caratteristiche essenziali di un telescopio. La parte successiva, più “tecnica”, la lascio all’ottimo manuale di Etruscastro. Ricordate, però, che senza sapere i fondamentali della luce e dei sistemi ottici, la comprensione di ciò che viene offerto dal mercato è talmente carente che può essere facile acquistare inutili suppellettili (sempre, ovviamente, molto care) che vi deluderanno alla prima occasione.

Il prossimo articolo sarà l’ultimo della serie e ci porterà nel mondo delle lenti, degli specchi e dei loro difetti. Ci dimostrerà che gli obiettivi a più lenti non si costruiscono per farli pesare di più (e farli vendere più cari) e che le forme degli specchi non sono fantasiose scelte estetiche o soluzioni legate alla facilità di lavorazione.

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18 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. questa articolo è pura BIBBIA!
    la metto tra i preferiti e mi riprometto di citarla ogni qualvolta un neofita chiede la differenza tra un rapporto focale f.5 ed uno a f10!
    grazie Enzo, e grazie anche per avermi citato indegnamente nel tuo articolo!

  2. Citazione Originariamente Scritto da medved Visualizza Messaggio
    Molte risposte a molte domande. Se non ci fai un libro con questi articoli sei un Criminale
    Complimenti
    grazie carissimo...ma libri... basta! trenta copie vendute non penso valgano la pena...

  3. Citazione Originariamente Scritto da etruscastro Visualizza Messaggio
    questa articolo è pura BIBBIA!
    la metto tra i preferiti e mi riprometto di citarla ogni qualvolta un neofita chiede la differenza tra un rapporto focale f.5 ed uno a f10!
    grazie Enzo, e grazie anche per avermi citato indegnamente nel tuo articolo!
    figurati... se serve a qualcosa sono strafelice!

  4. Citazione Originariamente Scritto da marcom73 Visualizza Messaggio
    non vedo l'ora di stringerti la mano sabato. sarà per me un onore.
    Ottimo articolo, illuminate.

    Marco
    anch'io non vedo l'ora... sull'onore lasciamo perdere... questo è stato il mio mestiere...

  5. Citazione Originariamente Scritto da etruscastro Visualizza Messaggio
    questa articolo è pura BIBBIA!
    la metto tra i preferiti e mi riprometto di citarla ogni qualvolta un neofita chiede la differenza tra un rapporto focale f.5 ed uno a f10!
    grazie Enzo, e grazie anche per avermi citato indegnamente nel tuo articolo!
    Non posso che accodarmi ad Etru. Aggiungo solo che chi non lo studia e comprende, sicuramente userà malissimo il suo strumento, perdendo tempo soldi e soprattutto.... Passione!
    Enzo, a questo punto, credo che non ci sia possibilità di ringraziarti a dovere.......

  6. Grande Enzo, mi sono commosso leggendo il tuo articolo! ho combattuto battaglie con i miei colleghi metallografi sull'inutilità di avere microscopi ottici 1000X o 2000X! (p.s. domani sarò a San Damiano a pranzo in via delle carceri..)

  7. Citazione Originariamente Scritto da Vincenzo Zappalà Visualizza Messaggio
    grazie carissimo...ma libri... basta! trenta copie vendute non penso valgano la pena...
    Se fossero scritti in inglesi e tu usassi uno pseudonimo tipo Vincent Hoe probabilmente andrebbe a ruba

  8. Citazione Originariamente Scritto da medved Visualizza Messaggio
    Se fossero scritti in inglesi e tu usassi uno pseudonimo tipo Vincent Hoe probabilmente andrebbe a ruba
    Ancora meglio: Vincent Hoethere... che ne dici?

    La prossima volta lo scriverò dopo che ne saranno stati ordinati almeno cento... Come comprare una casa sulla carta...