Kepler riesce a misurare la luminosità di una sorgente con una precisione di poche parti su un milione. La variazione di luminosità rivelabile osservata può, perciò, spingersi fino a valori eccezionali che rendono applicabile un metodo mai usato finora. L’applicazione è recente, ma l’idea è molto più antica e risale alla fine del secolo diciannovesimo. Chi l’ha avuta era un ragazzo di sedici anni.
[amazon_link asins=’8822068777′ template=’ProductAd’ store=’astronomia04-21′ marketplace=’IT’ link_id=’0cfb7835-bf3c-11e8-9ef1-a75861124dc1′] C’è bisogno di dirvi chi è? Penso di no. E’ lui, sempre lui, il grande Albert Einstein! Le sue riflessioni sulla luce inviata da una sorgente in movimento sembra che abbiano dato il via, al suo cervello prodigioso, verso la teoria della relatività. Ragione per cui desidero richiamare il concetto generale prima di parlarvi della nuova scoperta degli esopianeti e di come la si sia ottenuta. Cercate di seguirlo, perché vi aprirà un mondo inaspettato anche se di una semplicità disarmante. Non farò uso di formule anche se non sarebbe poi estremamente difficile ottenere quella risolutiva. Ci limiteremo a velocità basse rispetto a quella della luce e quindi la parte “relativistica” è appena accennata. Tuttavia, penso di darvi una visione sufficiente del concetto fondamentale per mezzo soltanto di qualche semplice figura.
Prima di iniziare a leggere quanto sto per raccontarvi, andate, però, a rileggere (o a leggere) l’articolo che avevo scritto tempo fa sull’aberrazione annua. Ricordo soltanto che essa è causata dalla combinazione di due velocità: quella della luce e quella di rivoluzione della Terra attorno al Sole. Leggete anche bene ciò che dicevo sulla possibilità di SOMMARE una velocità qualsiasi a quella della luce. Non è infatti un’assurdità, dato che la somma serve solo a determinare la direzione apparente e non il valore della velocità risultante. Ciò che Einsterin aveva ipotizzato (e come sempre è poi stato confermato) era il fatto che la luce inviata da una sorgente in movimento doveva mostrare un simile effetto di aberrazione, dato che si doveva tener conto sia della velocità della luce che di quella della stella. Il risultato finale, però, andava ben oltre alla determinazione della direzione finale, ma stabiliva che la luminosità di una stella doveva apparire più intensa se essa si muoveva verso di noi rispetto a quella che avrebbe avuto allontanandosi, e molte altre cose ancora. Il fenomeno, nella sua generalità portata fino a valori di v comparabili a c, prende il nome di aberrazione relativistica.
Consideriamo subito la Fig. 1. La stella S manda in giro per l’Universo i suoi fotoni che viaggiano alla velocità c, indicata dai vettori arancioni. Solo una parte di essi ha la direzione giusta per giungere sulla Terra T. Essi sono compresi dentro al cono arancione. Immaginiamo che i fotoni siano solo quelli rappresentati in figura. Solo tre sono interni al cono e, quindi, sono gli unici che il nostro pianeta riesce a vedere.
Facciamo adesso muovere la stella in Fig. 2 e, per semplicità, proprio lungo la direzione della Terra. Analoga conclusione avremmo, comunque, anche considerando una direzione diversa. La velocità v della stella è indicata dai vettori azzurri diretti verso di noi. I fotoni sono soggetti a due velocità: quella loro e quella della stella. La velocità risultante si ottiene allora sommando i vettori velocità c e v. Si ottengono i vettori verdi che indicano la direzione dei fotoni. Quanti sono, adesso, quelli che sono contenuti all’interno del cono arancione? Sono saliti addirittura a sette. Cosa significa questa conclusione? Semplice: la luce che riceve la Terra è maggiore di quella ricevuta se la stella fosse ferma. Se avete letto l’articolo sull’aberrazione annua non salterete sulla sedia dicendo: “Ma come? Sappiamo benissimo che la velocità della luce non si può sommare ad altre velocità!”. Avreste perfettamente ragione. Ma, noi siamo interessati alla direzione apparente dei fotoni e non all’effettiva velocità che, ovviamente, rimane sempre la stessa, ossia c.
Disegniamo, ora, la Fig. 3. In essa facciamo muovere la stella in direzione opposta con velocità uguale a prima, ossia con velocità –v. I fotoni cambiano, ovviamente, direzione, dato che adesso si muovono lungo la direzione indicata dai vettori verdi che sono la differenza tra c e v o -se preferite- la somma di c e –v. Ricordo, per chi non le conoscesse già, che la somma e la differenza di vettori sono spiegate esaurientemente nel libro la Fisica Addormentata nel Bosco”. Contiamo quanti vettori verdi sono compresi all’interno del cono arancione. Uno e uno solo. Ciò vuol dire che la luce ricevuta da Terra è inferiore a quella inviata dalla stella ferma e, a maggior ragione, dalla stella in movimento verso T.
Non ci vuole molto a concludere che se una stella si muove avanti e indietro rispetto alla direzione della Terra la sua luce aumenta e diminuisce periodicamente. Che cosa può fare oscillare in questo modo una stella? Ovviamente, un pianeta che orbita insieme a lei attorno al comune baricentro.
Capito il concetto di fondo e togliendoci ancora una volta il cappello davanti a un genio come Einstein (a sedici anni pensare in questo modo non è certo normale) arriviamo alla notizia relativa al nuovo pianeta scoperto utilizzando l’ipotesi del grande fisico. Non per niente è già stato soprannominato “pianeta Einstein”.
Devo prima, però, fare alcune precisazioni. Ho semplificato di molto la trattazione limitandomi alla parte più evidente e immediata. In realtà, l’effetto Einstein diventa macroscopico quando la velocità v è confrontabile con c, altrimenti tende a confondersi con l’aberrazione “normale”, che tuttavia è un caso particolare della teoria generale descritta da Albert. Pensate, in particolare, ai getti di materia dai bordi di un buco nero. Lì, veramente, abbiamo v simile a c e non per niente si chiamano getti relativistici.
Se v si avvicina veramente a c non abbiamo soltanto un effetto di intensificazione della luce, ma anche il “restringimento” dell’apparente dimensione della sorgente diventa importante, dato che i raggi sembrano focalizzarsi sempre più verso la direzione del movimento. Qualcosa come quello che si vede nella Fig. 4.
Immaginate, allora, di viaggiare nello spazio a velocità crescente verso la costellazione di Orione (tanto per fare un esempio). Come la vedreste mentre la nave spaziale accelera sempre più? La risposta è data in Fig. 5 (ma guardatela solo dopo averci pensato un po’ sopra) dove il campo di vista resta sempre lo stesso (circa 30°): tutto viene compresso.
Essa vale tenendo conto solo dell’aberrazione. Se si tenesse conto anche dell’effetto Doppler le cose si complicherebbero ancora di più… l’Universo in un punto! Non esageriamo, però… Chi vuole saperne di più può andare a leggere questo bell’ articolo.
Ma torniamo alle osservazioni reali.
I gruppi che hanno approfittato della mente di Einstein sono dell’Università di Tel Aviv e dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA).
Oltre all’effetto spiegato precedentemente ne sono stati usati altri due. Il primo si rifà alla marea. La stella è deformata come una palla da rugby nella direzione del compagno planetario (che lo è ancora di più, ovviamente). Durante la rivoluzione attorno al baricentro l’area mostrata all’osservatore varia e quindi anche la luminosità, minima quando la direzione stella-pianeta è verso la Terra e massima, 90° prima o dopo. In modo simile a quanto capita per la curva di luce di un asteroide come già spiegato e come ci mostrano le splendide osservazioni del nostro amico Lorenzo Franco. Il terzo effetto è quello dovuto alla luce della stella riflessa dal pianeta. Essa è massima quando il pianeta è dietro la stella.
Bisogna tener presente che tutto ciò è indipendente dalla distanza della stella e in parte anche dall’inclinazione del piano orbitale (a meno che il suo asse non sia proprio diretto verso la Terra).
Una volta che il pianeta è stato identificato con questo metodo così sofisticato, esso è stato confermato attraverso misure di velocità radiale ottenute con lo spettrografo del Whipple (chissà come sarà contento anche da … lassù) Observatory in Arizona. Un’ulteriore, attenta occhiata ai dati di Kepler ha mostrato, inoltre, che in realtà il pianeta transita anche davanti alla stella (ma, come detto, non è una condizione necessaria per il nuovo metodo), in modo molto marginale come mostrato in Fig. 6.
Il pianeta Einstein, ufficialmente Kepler-76b, è un Giove caldo che rivolve attorno alla stella in un giorno e mezzo. Il suo diametro è di circa il 25% più grande di quello del nostro pianeta gigante e ha una massa doppia. La stella è di tipo F e si trova a circa 2000 anni luce, nella costellazione del Cigno.
Il pianeta è “bloccato” dalla marea rispetto alla stella e le mostra, quindi, sempre la stessa faccia, come la Luna fa con la Terra. Ciò significa che Kepler-76b “bolle” a una temperatura di circa 2000 °C.
Veramente interessante è il fatto che il pianeta ha un fortissimo vento superficiale che porta il punto più caldo della sua superficie non nella direzione diretta verso la stella, ma a circa 15000 km di distanza. Questo strano effetto è stato osservato solo una volta, su HD 189733b, da Spitzer in luce infrarossa.
Sebbene il nuovo metodo non possa scoprire, con la presente tecnologia, oggetti di dimensioni terrestri, esso offre risvolti unici in quanto non ha bisogno di spettri ad alta definizione e nemmeno di un transito.
Un articolo ENTUSIASMANTE che ti mette in moto il cervello ma anche la fantasia nel momento in cui ci si sofferma sulle possibilità offerte dalle nuove tecniche.... e un ennesimo tributo al nostro Albert... ce ne fossero di menti così.... Grazie Vincenzo !!
L'ideale dovrebbe essere una stella poco massiccia con un pianeta molto massiccio ed un'orbita "allungata" tipo quella della cometa di Halley.... corretto?
perchè dici che l'orbita deve essere allungata?
Il caro e vecchio Einstein è sempre una garanzia! Certo che un pianeta così grosso e massivo che orbita in un giorno e mezzo implica che sia davvero vicino alla stella...strano che non sia stato sgretolato dalle forze mareali!
Una curiosità...ma il forte vento superficiale, in che modo sarebbe stato dedotto??
Grazie Enzo!
Ciao,
Alex.
Ma nooooooooooooooooooooooooo....avete visto??
http://www.tomshw.it/cont/news/la-so...i/45788/1.html