L’argomento potrebbe sembrare, a prima vista, relativamente innovativo. Così non è, però, se affrontiamo la problematica da un punto di vista più ampio e generale. Fin dai tempi di Ipparco si è cercato (senza riuscirci) di misurare il movimento delle stelle. Solo in tempi relativamente recenti, il potere risolutivo dei telescopi e le osservazioni continue e scandite nel tempo, prive di errori sistematici, hanno finalmente permesso di determinare l’apparente moto parallattico (ossia il movimento apparente dovuto al moto della Terra attorno al Sole) e il moto proprio delle stelle legato sia alla loro rotazione intorno al centro della galassia sia ad altri spostamenti locali. Sto parlando dell’astrometria di precisione.
Prima limitata solo agli oggetti più vicini, questa tecnica è andata lentamente espandendosi e oggi la missione Gaia ci permetterà di descrivere in tre dimensioni i movimenti delle stelle di gran parte della Via Lattea. L’astrometria è una tecnica relativamente antica, che ha avuto un grande aiuto dalla fotografia, ma che è rimasta sempre un po’ al palo rispetto ad altre sorelle apparse in tempi più recenti, come la spettroscopia. Pensiamoci sopra un attimo. Che le stelle si muovessero l’una rispetto alle altre era ben noto o almeno prevedibile fin da tempi abbastanza antichi. Il metodo più intuitivo per determinare questi spostamenti era senza dubbio quello di misurare le variazioni di posizione nel cielo. Ovviamente, bisognava separare gli effetti apparenti, come la parallasse annua, dai movimenti veri. In ogni modo, il metodo era concettualmente semplice, anche se, comunque, limitato. Infatti, ciò che si poteva ottenere erano solo le componenti del movimento stellare proiettato sulla sfera celeste. Rimaneva sconosciuta la componente radiale, ossia quella diretta verso di noi o in senso opposto. Solo la sua conoscenza poteva permettere una vera definizione tridimensionale. Per ottenere questo spostamento si è dovuta aspettare la spettroscopia e la misura dell’effetto Doppler.
Quest’ultima tecnica ha fatto passi da gigante rispetto a quella astrometrica e si può dire che è oggi nettamente più precisa e utilizzata. Non per niente, è proprio essa che ha permesso di scoprire sistemi doppi molto stretti e la maggior parte degli esopianeti. L’avvicinamento o l’allontanamento di un astro è misurabile con un errore di pochi metri al secondo, cosa impossibile per le misure astrometriche. Ne è conseguito che la componente radiale, teoricamente più problematica, è ormai ben più semplice da ottenere di quella tangenziale.
Non c’è nemmeno bisogno di dire che la conoscenza delle tre componenti (due sulla sfera celeste e una radiale) permette di avere una visione tridimensionale della velocità di una stella rispetto al Sole. Con Gaia, ciò sarà possibile per centinaia di milioni di stelle (anche molto lontane) e la Via Lattea acquisterà una visione ben più realistica. Alti e bassi tecnologi che finalmente vedranno un risultato epocale. Tutto magnifico e tutto molto atteso in molti campi astronomici.
Le cose restano ben più difficili, però, per galassie che non siano la nostra. Anch’esse ruotano attorno al centro di massa e le loro stelle descrivono orbite simili a quella che compie il Sole. Oggi si riescono a osservare nettamente le stelle di galassie anche abbastanza lontane, ma l’unica tecnica per misurarne la velocità rimane quella spettroscopica. Si può dire soltanto di quanto certe stelle si allontanano da noi e di quanto altre si avvicinano. E’ già molto, dato che questa misura permette di dedurre il senso di rotazione di una galassia, ma, come già detto, è una visione giocoforza limitata alla direzione Terra-galassia. Una soluzione lontana da una definizione tridimensionale. Il discorso sembra completamente ribaltato rispetto a pochi secoli fa, quando era proprio la velocità radiale il problema più grande.
Ottenere le componenti tangenziali delle stelle di una galassia sembrava un’impresa al di là della tecnologia attuale. Riuscirci sarebbe stato un risultato veramente epocale. Ed ecco che Hubble non ha deluso e ci ha fornito la prima determinazione di un campo di velocità tridimensionale su una galassia che non è la nostra. Fantastico!
Non pretendiamo più di tanto, però. La galassia studiata è un satellite della nostra, la celebre Grande Nube di Magellano (GNM). Per vicina che sia, comunque, le variazioni di posizione da misurare per ottenere le velocità tangenziali sono comunque di un almeno un ordine di grandezza inferiori a quelle della missione Gaia (170 000 anni luce contro i 20 000 circa coperti da Gaia).
Il risultato di questa attenta, rigorosa e ampia ricerca ha dato un primo risultato definitivo: la zona centrale della GNM compie una rotazione ogni 250 milione di anni. Sembra quasi uno scherzo del destino: lo stesso tempo impiegato dal Sole a girare attorno al centro della Via Lattea. No, no, non pensate a strani collegamenti. La faccenda è del tutto casuale e non può avere nessun legame. Ogni tanto si fa un “ambo” anche nel Cosmo!
Per ottenere questo stupefacente risultato sono state studiate centinaia di stelle per un periodo di sette anni. Improvvisamente, accoppiando questi valori a quelli spettroscopici, la GNM è diventata una struttura a tre dimensioni e non più quella nube un po’ indistinta che si vede nell’emisfero sud e che copre circa 20 volte il diametro della Luna Piena. Ogni campo delle immagini utilizzate doveva contenere un quasar di riferimento, ossia un punto che si poteva considerare immobile durante tutto il periodo osservativo.
Le ripercussioni sullo studio dinamico e fisico delle galassie sono fantastici e permettono studi di livello nettamente superiore a prima. Tanto per fare un esempio, la massa sarebbe calcolata in modo estremamente preciso e questo è un fattore che si lega a tutta la sua storia evolutiva.
Hubble è l’unico telescopio che può ottenere questo risultato, a causa del suo potere risolutivo e della stabilità del puntamento. Immaginando un uomo sulla Luna, Hubble potrebbe determinare la velocità con cui gli crescono i capelli!
Studiare una galassia relativamente lontana da noi ha dei vantaggi rispetto allo studio dinamico della Via Lattea. La GNM si vede dall’esterno ed è facile riportare tutte le misure a un sistema di riferimento ben definito. Facendo parte di lei, invece, i movimenti delle stelle della Via Lattea sono estremamente dispersi nel cielo, anche perché il Sole stesso si muove insieme alle altre. In poche parole, le conclusioni raggiunte per la GNM possono essere facilmente essere considerate una base migliore per le future osservazioni su altre galassie.
L’appetito vien mangiando. Si sta già lavorando per applicare il nuovo metodo di analisi alla Piccola Nube di Magellano. Capire bene come si muovono le due galassie al loro interno può essere di grande aiuto per stabilire i movimenti reciproci e attorno alla Via Lattea, dato che esse sono sicuramente legate gravitazionalmente.
Tutta la dinamica galattica locale farà un salto in avanti e poi… chissà.
Articolo originario QUI
di Vincenzo Zappalà – tratto da: L’Infinito Teatro del Cosmo