In questi ultimi giorni siamo stati tutti un po’ Kepler. Per un giorno, guardando le immagini del puntino di Mercurio pattinare sul disco solare, consapevolmente o meno ci siamo cimentati nella quotidiana corvée della sonda NASA, quel compito che ha svolto egregiamente per anni: osservare le stelle per cogliere il passaggio su di esse di mondi sconosciuti. Ed è probabilmente per questo motivo che l’agenzia spaziale degli Stati Uniti ha scelto proprio il martedì 10 maggio, a transito ancora caldo, per annunciare al mondo le ultime scoperte del suo cacciatore d’esopianeti.

Di suspense non c’era praticamente traccia, questa volta. Nel pianeta sicuramente abitabile – per non dire abitato – non ci sperava più nessuno, disincantati come siamo dal susseguirsi, negli ultimi anni, dei roboanti annunci NASA. Annunci che hanno creato aspettative puntualmente disattese. E infatti non è stato un pianeta chiavi in mano, già arredato e pronto all’uso, quello che gli scienziati del team di Kepler hanno svelato. Niente mondo di qualità, insomma. Sulla quantità, però, questa volta sono riusciti a stupire. Armati d’una dozzina di grafici uno più ricco dell’altro, Timothy Morton (della Princeton University) e gli altri autori d’uno studio basato su quattro anni di dati Kepler e pubblicato su The Astrophysical Journal hanno snocciolato cifre da far concorrenza alla legge di Moore.
Riepiloghiamole. Oltre mille i nuovi pianeti confermati da Kepler – 1284, per essere precisi – dei quali 550 potrebbero essere rocciosi, proprio come la nostra Terra. E di questi, quelli che navigano in zona abitabile sarebbero 9, portando così a 21 il totale dei mondi al di fuori del nostro nei quali sono alte le probabilità che possano esserci le condizioni per la presenza di acqua allo stato liquido. In tutto siamo così alla bellezza di oltre 5000 candidati pianeti, dei quali 3200 verificati. Di questi, ben 2325 li ha stanati Kepler in quattro anni tenendo d’occhio 150 mila stelle.
«Con quest’annuncio il numero di pianeti confermati da Kepler è più che raddoppiato», osserva Ellen Stofan, scienziata NASA. «Questo ci fa sperare che là fuori, da qualche parte attorno a una stella molto simile alla nostra, potremo finalmente scoprire un’altra Terra».

Dimensioni del raccolto a parte, la novità principale dello studio presentato oggi è il metodo di scrematura fra i veri nuovi pianeti e i tanti falsi positivi in agguato: impostori il cui numero ha in passato gettato qualche ombra sul successo della sonda NASA. Un nuovo metodo, dicevamo (il nome del software è ‘Vespa’…): sempre più automatico, sempre più affidato alla statistica, com’è inevitabile vista la crescita esponenziale dei candidati. Anche i pianeti extrasolari cominciano a entrare nell’orbita dei big data, insomma. Meno analisi ad hoc, più parametri oggettivi.
E una soglia: il 99 percento, qualunque cosa voglia dire. Chi la supera è dentro, è confermato. Gli altri sono fuori. Dei 4302 candidati del catalogo Kepler del luglio scorso, fuori ne sono rimasti 707. Per loro la gara è finita: sono qualcosa d’altro, altri “fenomeni astrofisici” come li definiscono asetticamente i ricercatori del team. Probabilmente nane brune ed eclissi dovute a stelle binarie. Erano invece 984 quelli già con la promozione in tasca, per i quali l’esame di Kepler non è stato che una riconferma. Fra coloro che restano, 1327 sono stati rimandati a settembre: probabilmente pianeti ma ancora sotto la fatidica soglia del 99 percento. Ma ben 1284, appunto, sono i nuovi mondi confermati.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “False Positive Probabilities for All Kepler Objects Of Interest: 1284 Newly Validated Planets and 428 Likely False Positives” Timothy D. Morton, Stephen T. Bryson, Jeffrey L. Coughlin, Jason F. Rowe, Ganesh Ravichandran, Erik A. Petigura, Michael R. Haas e Natalie M. Batalha
Articolo adattato da Media INAF.
Metto qui il link all'altra discussione che era stata aperta in merito all'argomento.
Se ho ben capito la "caccia" a questi esopianeti si dà monitorando la caduta di luce di una stella. Se è chiaro che un grosso pianeta intercetta più luce di uno piccolo, non capisco come si possa stabilire se trattasi di corpo roccioso o gassoso, nè la distanza dall'astro. Potresti cortesemente spiegarmelo per sommicapi? Grazie
Ciao @fulvio_, ti rispondo in termini semplici.
Quando si osserva il transito di un pianeta sulla stella ci sono 3 elementi che ci permettono di capirne i dettagli:
1) la durata del transito: direttamente legata alla dimensione dell'orbita del pianeta attorno alla stella madre. Più è lungo il transito, più lontano sarà il pianeta dalla stella (e viceversa).
2) la profondità dell'eclisse prodotta dal transito: quanta luce viene diminuita alla stella ci da direttamente informazioni sulla dimensione del pianeta rispetto alla stella, e rispetto alla sua distanza dalla stella
3) la forma dell'eclisse: più è regolare, cioè a forma squadrata, più il pianeta ha una atmosfera sottile, dunque è più probabile che sia roccioso
Con opportuni modelli possiamo riprodurre questo tipo di curve di luce e ricavare dunque i parametri orbitali e la dimensione del pianeta. Quanto alla rocciosità in realtà non è una conclusione certa al 100% ma per formazione planetaria non trovi mai pianeti di dimensioni terrestre che sono di tipo gassoso. I processi di accrescimento per massa si arrestano per pianeti intorno alla dimensione terrestre, o super terrestre (circa 1.5 raggi terrestri). I successivi accrescimenti avvengono per accumulo di gas (pianeti di tipo Nettuniano e Gioviano).
I pianeti gassosi vengono comunque scovati con più facilità perchè sono quelli che più facilmente lasciano evidenza di eclissi a causa delle loro grandi dimensioni, e perchè comunque si trovano il più delle volte più distanti dalla stella, e quindi è più facile risolvere i fenomeni transienti.
sul fatto dei transiti: si parla di tre per confermare l'oggetto. immagino che il primo o presunto tale venga segnato,poi il secondo confrontato alla stessa perdita di luce della stella e il terzo- se è veramente un pianeta- transiterà precisamente al momento stabilito e con la stessa intensità.... è cosi?
Giusto
.
Il problema è che con questo tempo di m ..
di transiti ultimamente se ne fanno ben pochi!!!
....e questo è uno dei motivi per cui han preferito le missioni spaziali
Valore tipico di probabilità: P ~ 0.0045 (1 AU/a) (R*/R)
Charbonneau et al. (2007)
Conseguenze
Privilegiati piccoli valori di semiasse maggiore e quindi periodi brevi
Si trovano più facilmente pianeti molto vicini alla stella
ad esempio hot-Jupiters
Estremamente difficile trovare oggetti a distanze maggiori di 5 - 10 AU
Tale effetto selettivo rafforza quello dovuto alla limitata baseline
temporale delle osservazioni, che già di per se ci porta a
selezionare pianeti con periodi brevi
Si si è giustissimo, c'è sempre un compromesso tra dimensione pianeta e distanza!
Quello a cui mi riferivo io è la scoperta di pianeti terrestri. Gli hot-Jupiter sono relativamente facili da osservare perchè sono grandi prima di tutto, ma generalmente orbitano esternamente a quelle dei pianeti terrestri, anche se fino ad oggi rimane un effetto di selezione. Se vogliamo trovare pianeti più interessanti, c'è il problema di quanto sono vicini alla stella e di quanto sono piccoli. Scovare pianeti piccoli a distanze di abitabilità è difficile proprio perchè le loro dimensioni non ci permetteno di risolvere i transiti temporalmente, e ciò è dovuto al fatto che le variazioni di flusso indotte sulla stella diventano piccolissime.