Event Horizon Telescope: sarà davvero foto del secolo?

Nelle ultime settimane si è fatto un gran parlare del progetto internazionale per fotografare direttamente due buchi neri supermassicci. Vediamo di chiarire di che si tratta e cosa dobbiamo realmente aspettarci (anche per evitare cocenti delusioni!).


 Quello che molti media hanno dimenticato di dire è che le osservazioni non saranno effettuate usando la luce visibile ma onde radio ad altissima frequenza (micro-onde); inoltre, lo strumento utilizzato non è uno ma ben 8 osservatori radioastronomici sparsi nel mondo e scelti per la qualità eccezionale dei siti in cui si trovano. Di conseguenza, la “fotografia del secolo” non sarà affatto una fotografia, bensì il risultato di una combinazione “a posteriori” dei dati radio raccolti nell’arco di diversi giorni e, anche se meno suggestiva, la definizione andrebbe corretta come “immagine del secolo”. Inoltre, l’immagine probabilmente non sarà nè spettacolare nè di facile interpretazione e il suo valore sarà evidente solo per gli astrofisici, non certo per il grande pubblico che si aspetta invece di vedere qualcosa di simile al “Gargantua” del film “Interstellar”.

 Il progetto, chiamato Event Horizon Telescope (EHT), si propone di ritrarre per la prima volta l’orizzonte degli eventi di due buchi neri, uno al centro della Via Lattea (chiamato Sagittarius-A, SgrA per gli amici), l’altro al centro di M87, una enorme e famosa galassia ellittica attiva al centro dell’ammasso della Vergine. Sulla base delle attuali conoscenze, questi due buchi neri dovrebbero essere i più grandi visti da Terra ma, come vedremo, le loro dimensioni apparenti son comunque talmente ridotte da costituire una formidabile sfida tecnologica.

A sinistra, il nucleo e il jet di M87 ripresi da Hubble. Al centro, Sgr-A nelle bande infrarossa e X. A destra, una simulazione di come dovrebbe apparire ques'ultimo buco nero supermassiccio tramite EHT.. Crediti: HST/Chandra/NASA/ESA - C. Goddi, F. Roeloff, M. Moscibrodzka.
A sinistra, il nucleo e il jet di M87 ripresi da Hubble. Al centro, Sgr-A nelle bande infrarossa e X. A destra, una simulazione di come dovrebbe apparire ques’ultimo buco nero supermassiccio tramite EHT..
Crediti: HST/Chandra/NASA/ESA – C. Goddi, F. Roeloff, M. Moscibrodzka.

Ma andiamo per ordine.

 L’orizzonte degli eventi definisce il bordo di un buco nero perchè si trova esattamente alla distanza in cui la “velocità di fuga” dalla massa che lo costituisce eguaglia la velocità della luce, motivo per cui neanche le onde elettromagnetiche riescono a sfuggire dall’interno di questo immaginario guscio. Il bello è che per calcolare le dimensioni dell’orizzonte degli eventi non è necessario ricorrere alle equazioni di campo di Einstein, con complicati calcoli tensoriali; basta applicare la fisica classica di Newton e in particolare la legge di gravitazione universale che tutti ricorderanno:

F = G m1 m2 / r2

Da essa, integrando, si trova che l’energia potenziale gravitazionale di una massa m posta a una distanza r da una massa M più grande è:

Ep = G m M / r

Ora, se uguagliamo questa energia potenziale a quella cinetica, possiamo ottenere la velocità minima che un corpo deve avere per allontanarsi all’infinito, sfuggendo definitivamente alla gravità di M:

v = √(2GM/r)

Questa è appunto la velocità di fuga e, nel caso dell’orizzonte degli eventi, la possiamo porre uguale a c per ottenere il raggio:

ℜ = 2GM/c2

che è appunto il raggio dell’orizzonte, detto anche raggio di Scwarzschild.

 Ricordandoci che c≈2,998·108 m/s, G≈6,674·10-11 N m2 / kg2, e che, nel caso del Sole, M≈1,989·1030 kg, troviamo che ℜ≈2,95km. Si tratta di un raggio minuscolo per un oggetto astronomico: se già facciamo fatica a intravedere il disco di una stella, figuriamoci di un oggetto che è centinaia di migliaia di volte più piccolo! Per fortuna, però, ci sono vari “aiutini” a facilitarci la vita; essi vengono dalla tendenza dei buchi neri a unirsi e formarne di più grandi, dal fenomeno della interferenza e anche dalla relatività generale.

Infografica tratta da Nature  che illustra, in alto, gli effetti di curvatura e ingrandimento del disco di accrescimento con due diverse inclinazioni rispetto alla linea di vista; in basso è illustrato l'effetto Doppler dovuto alla rotazione del disco, con amplificazione della sua luminosità quando si muove verso la Terra. - Crediti: Nature
Infografica tratta da Nature che illustra, in alto, gli effetti di curvatura e ingrandimento del disco di accrescimento con due diverse inclinazioni rispetto alla linea di vista; in basso è illustrato l’effetto Doppler dovuto alla rotazione del disco, con amplificazione della sua luminosità quando si muove verso la Terra. – Crediti: Nature

Per iniziare, si è scoperto che nel centro di molte galassie (forse tutte) c’è un buco nero supermassiccio; nel caso di SgrA, oltre quattro milioni di masse solari mentre per M87 arriviamo a 6 miliardi di masse solari! Utilizzando l’ultima formula riportata sopra, ℜ e M sono tra loro direttamente proporzionali e questo significa che I suddetti buchi neri hanno raggi di circa 12 milioni di km (Sgr-A) e quasi 18 miliardi di km per M87. Dunque, la situazione migliora nettamente: per “risolvere” il diametro dei due buchi neri, posti a distanze rispettivamente di circa 26000 anni luce e 53 milioni di anni luce, basterebbe poter apprezzare angoli pari a 20 e 14 micro-secondi d’arco, rispettivamente. Peccato che nessuno strumento, in qualsiasi lunghezza d’onda, sia in grado di arrivare a risolvere dettagli così minuti, pari alle dimensioni apparenti di un pompelmo sulla Luna!

A questo punto è necessario fare riferimento alle leggi dell’ottica ondulatoria e al fenomeno della diffrazione delle onde elettromagnetiche, che limita appunto il potere risolutivo di uno strumento. Questa risoluzione può essere migliorata riducendo la lunghezza d’onda λ e aumentando le dimensioni D dell’obiettivo, secondo la formula:

α ≈ 250000 λ / D

(α è la risoluzione in secondi d’arco e il suo valore esatto dipende dalla particolare forma dell’apertura dello strumento). Per questo motivo, il progetto EHT utilizza lunghezze d’onda radio più corte del solito, precisamente 1,3 e 0,87 mm (di fatto si tratta di micro-onde, al limite tra onde radio e infrarosso) e lo fa sfruttando antenne lontanissime tra loro, in modo da simulare un telescopio con apertura D pari a svariate migliaia di km. Per fare questo, è necessario ricorrere alla tecnica interferometrica a lunghissima base (VLBI) che combina i segnali registrati contemporaneamente dalle varie antenne come se fossero le “fenditure” attraverso cui passa l’onda, generando una figura di interferenza che, se opportunamente elaborata, permette di ricostruire l’aspetto della sorgente.

 Utilizzando la formula per l’angolo di diffrazione, dato che D sarà vicino ai 10000 km (figura successiva), possiamo dedurre che le osservazioni avranno una risoluzione di circa 25 micro-secondi d’arco (25 μas). Dunque, apparentemente, saremmo ancora un pò alti per riuscire a vedere i due orizzonti degli eventi… E’ qui che interviene un ultimo aiuto dalla relatività generale: Einstein ha previsto che lo spazio-tempo (e quindi anche la luce) viene deviato dai campi gravitazionali e, nel caso di un buco nero, questo genera una enorme lente in grado di ingrandirne l’immagine di svariate volte. Nel caso di Sgr-A, si stima che il diametro apparente dell’orizzonte degli eventi raggiunga i 50 micro-secondi d’arco, quindi risolvibile da EHT.

 Anche se la tecnica VLBI viene usata da decenni, qui viene portata all’estremo e si capisce che questo richiede una tecnologia decisamente avanzata per raccogliere ed elaborare l’enorme mole di informazioni (si parla di qualcosa come 2 petabytes di dati grezzi), tanto più che le osservazioni, da poco iniziate, si protrarranno per svariati giorni per poter raggiungere la sensibilità richiesta; si parla di 4 giorni in tutto, due per ciascuna sorgente. I dati verranno registrati su batterie di capienti hard disk e poi combinato tra loro in due diversi centri di elaborazione, dove l’analisi richiederà almeno 6 mesi. Perciò, a meno di indiscrezioni o colpi di scena, bisognerà avere pazienza perchè non vedremo nulla prima del 2018.

 La piccola lunghezza d’onda impiegata impone il ricorso ad antenne situate in località particolarmente secche ed elevate, dove l’assorbimento dovuto al vapore d’acqua è minimo. Gli 8 strumenti utilizzati sono all’avanguardia, a cominciare dal celebre radiointerferometro ALMA in Cile; ci sarà anche un radiotelescopio in antartide e uno in Spagna. Nell’immagine qui sotto, è possibile vedere la loro distribuzione sul globo, così come apparirebbe se osservata da Sgr-A (la distribuzione delle antenne è fondamentale per la qualità delle osservazioni interferometriche).

Crediti: Nature
Crediti: Nature

 

Alla fine, come illustrato nella simulazione a destra nell’immagine di apertura, dovremmo riuscire a vedere una specie di mezzaluna che è l’immagine di una parte del disco di accrescimento (quella che si avvicina a noi), deformata ed ingrandita dalla gravità. Ma non è escluso che l’immagine reale ci riservi delle sorprese!

 

Articolo originale QUI.

 

Ringrazio per la preziosa collaborazione corrado973.

 

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Red Hanuman è nato poco tempo prima che l'uomo mettesse piede sulla Luna, e cresciuto a pane e fantascienza. Poteva non sentire il richiamo delle stelle? Chimico per formazione e biologo autodidatta per necessità, ha da sempre desiderato essere un astrofisico per vocazione e diletto, ma non ha potuto coronare il suo sogno. Attualmente, lavora nel settore ambiente. Da pochi anni studia il violino. Perché continua ad usare un nickname? Perché la realtà non può essere richiusa in un nome, e perché πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός : tutto scorre come un fiume. Ma, soprattutto, perché Red Hanuman è chiunque coltiva in sé un desiderio di conoscenza ...

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