Il fiore alieno

Non sempre le azioni irresponsabili sono negative.

Non si seppe mai come arrivò il primo seme. Forse dalla missione alla cometa Wilson V o forse da quella che aveva analizzato per più di un anno il suolo dell’asteroide Astrid. O magari direttamente dallo spazio profondo. Fatto sta che il primo fiore apparve sul Monte San Francisco nei pressi di Flagstaff in Arizona, vicino al laboratorio geologico dove si analizzavano i campioni provenienti dalle missioni planetarie. Era bellissimo. Il suo colore era di un azzurro intenso con striature violette e dorate. Sembrava un piccolo fuoco d’artificio. Le dimensioni della corolla erano notevoli e superavano i venti centimetri. Lo stelo era molto lungo e arrivava oltre il metro. Le foglie invece erano piccolissime e stranamente gommose. La fioritura durava pochissimo, ma in breve tempo il frutto molto coriaceo e allungato faceva cadere al suolo una miriade di nuovi semi che si riproducevano quasi immediatamente. Nel giro di 15 giorni i germogli arrivavano all’$altezza$ necessaria e sbocciavano con nuove corolle iridescenti.

Il fiore alieno

Il primo fiore venne scoperto “fortunatamente” da un biologo durante un’escursione in montagna e fu immediatamente protetto per evitare qualsiasi possibile estirpazione. Non fu difficile capire che era di una specie mai vista prima: aveva una consistenza carnosa che dava l’idea della plastica ed emetteva un profumo straordinario. Nel giro di pochi mesi tutto il monte ne fu letteralmente invaso e nel giro di un anno l’Arizona del nord e lo Utah meridionale si popolarono dei bellissimi fiori “alieni”. La prerogativa più interessante era che la pianta non aveva problemi a riprodursi sia in alta montagna, sia nei deserti più torridi. Dovunque riusciva a trovare condizioni di vita ideali. Era uno splendore vedere il deserto dello Utah popolato in qualsiasi mese da una distesa azzurra che ondeggiava al vento. Infatti, non sembrava nemmeno che esistesse un periodo più adatto alla fioritura. Le nuove corolle si moltiplicavano indipendentemente dalle stagioni. Erano di un’adattabilità eccezionale.

Vennero analizzati al microscopio sia i fiori sia gli steli, sia le radici che i frutti e le foglie. Non si trovarono elementi sconosciuti. Sfruttavano gli stessi meccanismi delle piante terrestri e da questo punto di vista non avevano niente di anomalo. Due anni dopo la prima comparsa, tutta l’America del Nord era invasa dalla nuova specie. Poi fu la volta dell’America del Sud e in breve tempo di tutto il mondo. Non vi era $campo$, deserto, montagna, tundra o savana che non fosse impreziosito da quel bellissimo colore azzurro striato di viola e giallo dorato.

La riproduzione così rapida e parossistica, nonostante la bellezza dell’aspetto esteriore, cominciò a preoccupare gli specialisti … e non solo. Si cominciò a ipotizzare uno sbilanciamento preoccupante a favore della nuova specie così prolifica rispetto a quelle autoctone. Ma il vero problema scaturì molto presto e fu facilmente osservato da tutti. Gli alberi da frutta divennero sterili. O meglio, tutti gli insetti abbandonarono meli, peri, peschi, prugni, ecc. per andare a succhiare il nettare dei fiori alieni. Poco alla volta cessò l’impollinazione non solo degli alberi, ma anche dei normali fiori. Le api, le vespe, i calabroni e tutti i loro simili avevano trovato di meglio.

La crisi delle coltivazioni ortofrutticole e della floricultura invase il mondo e ridusse sul lastrico intere nazioni che traevano dalla frutta, dagli ortaggi e dai fiori la loro fonte d’introito primario. Per un po’ di tempo si riuscì a produrre una piccola quantità di frutta e vegetali attraverso l’impollinazione artificiale, ma i prezzi salirono velocemente alle stelle e si rinunciò all’idea. Nemmeno le coltivazioni nelle serre furono immuni dall’invasione aliena. Il mondo agricolo era in ginocchio: niente più pomodori, né zucchini, piselli, banane, albicocche e altri normalissimi alimenti di tutti i giorni. Anche gli allevamenti di bestiame cominciarono a risentire della situazione, in quanto mucche, buoi, cavalli, pecore, capre, ecc. si rifiutavano di mangiare il fiore alieno e il normale foraggio cominciava a scarseggiare. D’altra parte sarebbe stato molto rischioso far mangiare una specie sconosciuta che avrebbe potuto innescare reazioni chimiche e biologiche molto pericolose. Anche il frutto del seme spaziale non sembrava saporito, anzi di gusto orrendo, guardando le reazioni delle cavie a cui era stato proposto. Non poteva certo entrare nelle tavole di tutti i giorni.

Furono provate centinaia di diserbanti. Essi facevano “tabula rasa” delle erbe e delle piante autoctone, ma lasciavano intatto il vigore delle nuove pianticelle. Si provò a inserire nel terreno degli acidi venefici. L’unico risultato fu che si distrussero intere coltivazioni di patate, carote, rape e altri tuberi. Ma in mezzo a loro il fiore alieno splendeva in tutta la sua meravigliosa bellezza ed era sempre invaso da nugoli di insetti affamati ed entusiasti. Il mondo ormai aveva assunto un colore azzurro anche nelle terre emerse. Perfino nelle città i fiori riuscivano a riprodursi inserendo le loro piccole radici nelle crepe dell’asfalto e sui muri scrostati. Come conseguenza pure gli insetti si moltiplicarono a dismisura favoriti in questo da un cibo sempre abbondantissimo.

Il piccolo Michele stava giocando nel giardino di casa e si fermò curioso a guardare i fiori alieni che erano circondati da cortei di api e vespe che aspettavano quasi pazientemente il loro turno. Nella sua testolina di quattro anni immaginò che se tutti quegli animali si davano da fare così tanto per succhiare il nettare, quest’ultimo doveva essere molto saporito. Impugnò un bastone e roteandolo scacciò gli insetti da un bellissimo e grande fiore che stava proprio davanti alla scala d’ingresso. Poi lo strappò e cominciò a succhiare. A parte la consistenza dura e carnosa, il gusto era dolcissimo e Michele rifece l’operazione con molti altri fiori. Pensò tra se e se: ”Hanno proprio ragione le api! E’ buonissimo!”.

In quel momento uscì la mamma e lo vide con un fiore ancora in bocca. Lo sollevò immediatamente e lo portò in casa, distendendolo sul letto. In preda al terrore cercò di farlo vomitare, ma ottenne solo un pianto disperato. Chiamò subito il medico, tentando di calmare il piccolo. Arrivò velocemente e fece una visita sommaria. Sembrava che al momento non vi fossero segni di avvelenamento, ma non poteva escludere un’azione ritardata. L’ospedale era vicino alla villetta di Michele e fu facile ricoverarlo con la massima urgenza. Gli venne fatta una serie infinita di analisi e il giorno dopo si riuscì a concludere che il bambino era sanissimo e che ormai il succo del fiore era stato metabolizzato. Aveva sì prodotto una strana proteina, ma questa era del tutto inoffensiva per l’organismo umano e sarebbe stata eliminata con l’urina nel giro di un paio di giorni.

Il bambino lasciò infine l’ospedale e tornò a casa. Stava benissimo ed era irrequieto come non mai. La mamma, tenendolo d’occhio, lo lasciò giocare in giardino ordinandogli di non ripetere più lo scherzo del giorno prima. Michele assentì e corse nel prato.

Si fermò e fece pipì, senza sapere che stava salvando il mondo: i fiori davanti a lui cominciarono ad appassire.

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3 Commenti

  1. A me è piaciuto anche lo scenario apocalittico, creato da una cosa bella, come può esserlo un fiore, che però se esasperata ed esagerata… Non so se enzo volesse metterci una morale, ma io ne vedo una verso gli estremismi.

  2. @n.b,
    direi qualcosa del genere: il bello non è mai bello del tutto e la più piccola sciocchezza non è mai una vera sciocchezza del tutto…. 😉