“Coloro i quali non seguono il sentiero della musica non possono entrare”, leggeva un’insegna all’ingresso dell’Università più antica del mondo, fondata da Pitagora a Crotone nel VI secolo a.C. Fu proprio il grande matematico, filosofo e musicista Pitagora il primo a supporre che ogni oggetto nel cosmo emettesse un proprio suono, o vibrazione, producendo insieme una armonia universale che chiamò la musica delle sfere. Il concetto fu ripreso da vari filosofi e scienziati, compreso Keplero, nella sua opera Harmonices Mundi del 1619. Studiosi lungimiranti, se pensiamo che solo alla metà del XIX secolo l’uomo fu in grado di ascoltare suoni provenienti dallo spazio. Grazie alla tecnologia moderna, ora sappiamo con certezza che Pitagora, in qualche modo, aveva ragione.
Non ci è possibile udire direttamente la voce dei corpi celesti, in quanto le onde sonore non si propagano nel vuoto che ci separa da loro, tuttavia le onde radio che emettono, captate con i radiotelescopi, possono essere convertite in suono utilizzando semplici tecnologie analogiche, similmente alla musica trasmessa e amplificata dalle nostre radio. Ne abbiamo già parlato in un altro articolo relativamente alla nostra Terra.
La musica proveniente dallo spazio può essere considerata una forma d’arte della natura, a volte paragonata ai generi musicali ambient e concreta. Ma i suoni dei corpi celesti non sono certo interessanti solo dal punto di vista artistico. Il loro ascolto infatti ha permesso di raggiungere tra i più grandi traguardi dell’astronomia e cosmologia moderna. Lo sottolinea Honor Harger, una artista e curatrice che ha dato vita al progetto Radio Astronomy, iniziativa volta a diffondere la musica di stelle e pianeti convertendo i segnali raccolti da diversi radiotelescopi sparsi in tutto il mondo. Radio Astronomy si propone appunto di conciliare arte e scienza, permettendo di apprezzare le strane, meravigliose melodie del cosmo e allo stesso tempo promuoverne la conoscenza.
In una conferenza del 2011, postata sul sito della TED, organizzazione no profit dedicata alla diffusione di idee e progetti innovativi, la Harger ha spiegato la cruciale importanza dei messaggi sonori che ci inviano i corpi celesti, illustrando tre aneddoti storici che hanno rappresentato pietre miliari per il progresso scientifico.
Guarda il video
Al telefono col sole
Nel 1876, ancora lontani dall’invenzione della radioastronomia e dei radiotelescopi, 10 anni prima della scoperta delle onde radio di Hertz e 20 prima della prima trasmissione radio di Marconi, Alexander Graham Bell e Thomas Watson lavoravano alla costruzione del primo telefono, dotato di un cavo lungo meno di un chilometro teso sopra i tetti delle case.
Gli inventori si trovarono di fronte a un mistero: udivano strane interferenze; sibili, fischi, crepitii…Certamente non erano segnali emessi dai sistemi di telecomunicazione terrestri, che ancora non erano stati inventati! Erano invece emissioni radio a frequenza molto bassa prodotte dalla natura. In alcuni casi, i fruscii gracchianti erano causati da fenomeni noti, come i fulmini, ma c’erano anche degli strani fischi e curiosi squittii con un’origine molto più esotica.
Watson immaginò, correttamente, che stava ascoltando rumori causati da attività sulla superficie del Sole! Era il vento solare che incontrava la ionosfera terrestre, il corrispettivo sonoro del fenomeno visivo delle aurore. Insomma, il Sole approfittò del nostro primo telefono per “chiamarci” e farci sapere che le stelle emettevano potenti onde radio.
Qui Radio Milky Way
Come parte del lavoro di perfezionamento delle tecniche di telefonia, nel 1928 i Bell Telephone Laboratories reclutarono un ingegnere, Karl Jansky, assegnato a un progetto volto a studiare le interferenze atmosferiche captate con la tecnologia di telecomunicazione via radio. I rumori che l’antenna riceveva erano tanti. Per molti di essi fu facile risalire alla loro causa, si trattava di fulmini o fonti di energia elettrica, ma c’era un disturbo persistente che non si riusciva a identificare.
La chiave per svelare il segreto stava nella tempistica con cui l’interferenza si verificava: si udiva quotidianamente, ogni giorno però anticipava di 4 minuti. Una periodicità di 23 ore e 56 minuti, proprio la durata del giorno siderale, cioè il periodo di rotazione della terra misurato in base alle stelle (il tempo che la terra impiega per tornare al punto di partenza rispetto alle stelle fisse). Il $giorno siderale$ è leggermente più breve del giorno solare (una $rotazione$ della terra rispetto al sole), perché il pianeta, oltre che a ruotare su se stesso, si sposta rivolvendo intorno al Sole e deve quindi percorrere un po’ più di strada per riposizionarsi.
Insomma, quel segnale regolare aveva il “ritmo delle stelle”…doveva quindi provenire da lontano. Puntando l’antenna verso la fonte dell’emissione, Jansky comprese che in effetti il rumore originava dal centro della nostra galassia, la Via Lattea. La scoperta aprì la strada a una nuova forma di esplorazione spaziale, l’era della radioastronomia.
Un sottofondo musicale… Old Age
Nel 1964, sempre ai Bells Laboratories, gli ingegneri Arno Penzias e Robert Wilson studiavano la $Via Lattea$ con un’antenna molto particolare, costruita per la telecomunicazione via satellite, ma che per le sue caratteristiche risultò perfetta per l’utilizzo in $radioastronomia$. Essi intendevano misurare l’intensità delle onde radio emesse dalla nostra $galassia$ ad alte latitudini galattiche, cioè al di fuori del piano della $Via Lattea$. Ma l’”ascolto” non andò come previsto.
L’antenna infatti riceveva una grande quantità di rumore nel microonde (7.35 cm) irradiato in modo uniforme, cioè di uguale intensità, e isotropo, ossia rilevabile in tutte le direzioni. Avendo queste caratteristiche, l’emissione non poteva provenire da una fonte precisa nella $Via Lattea$, ma doveva originarsi da un volume di spazio molto più ampio. Ben lontani da immaginare la potenza della loro scoperta, Penzias e Wilson attribuirono dapprima l’eccessivo rumore alla strumentazione.
In effetti, dopotutto una coppia di piccioni aveva fatto il nido proprio dentro l’antenna, ricoprendola di quello che Penzias con delicatezza definì “bianco materiale dielettrico”. Ma anche una volta ripulita l’antenna, gli strani segnali nel microonde persistevano. Grazie al lavoro teorico di altri scienziati, infine si comprese che il rumore era niente meno che un messaggio lanciato al momento del Big Bang, 13.7 miliardi di anni fa, sopravvissuto fino al tempo presente.
Pensiamo all’Universo appena nato, densissimo e caldissimo, popolato dai fotoni a più alta energia (radiazione gamma). Questi fotoni esistono ancora, ma con l’espansione e il conseguente raffreddamento dell’Universo le loro lunghezze d’onda si sono gradualmente allungate. Oggi irradiano nel microonde, a una temperatura di 2.7 K, una frequenza bassissima che però con le strumentazioni moderne è diventata udibile. Una musica antica, costante, in un certo senso rassicurante, perché ci ricorda che noi esseri umani, così piccoli su un’isola sperduta del cosmo, in realtà siamo uniti con un legame indissolubile all’intero Universo. Ancora una volta la natura ha contattato i terrestri, per svelare loro un altro pezzo del puzzle che è la cosmologia.
Sembra davvero che l’Universo cerchi di metterci sulla buona strada per comprenderlo, lanciandoci periodicamente degli indizi preziosi; e molto spesso, questi indizi sono espressi in musica.
cara Francesca,
un articolo che definire bellissimo è troppo poco. Brava!!! Oltretutto, mi fa venire in mente due pensieri fuori dalle righe e frutto solo della mia fantasia:
1) chissà se gli squittii e i vari suoni dei delfini e degli altri cetacei non siano delle risposte dirette all'Universo? Forse noi non ne siamo ancora capaci e usiamo rudimentali strumenti tecnologici.
2) mi ricorda il bellissimo e poetico film di Spielberg "incontri ravvicinati del terzo tipo". Forse è proprio la musica la chiave per aprire tante porte dell'Universo.
Infine, una constatazione: noi pensiamo che solo gli occhi permettano di vedere. Niente di più falso, forse... Ogni senso ha sicuramente un'importanza fondamentale e magari pari a quella degli altri sensi. Leggevo poco tempo fa un articolo "serio" in cui si diceva che si è trovato il luogo del cervello in cui le informazioni derivanti dai vari sensi vengono combinate assieme per costruire la rappresentazione finale. Sono proprio necessari tutti? Gli scienziati sembrano propendere per un sistema sovrabbondante. Potrebbe, probabilmente, essere sufficiente un solo senso per descrivere compiutamente un oggetto. Noi non ne siamo ancora capaci (i più fortunati li hanno tutti), ma potrebbe succedere che in futuro si riesca a far lavorare fino in fondo ogni singolo senso. Il risultato sarebbe fantastico: la musica o l'olfatto darebbe una visione globale di un corpo celeste come quella data dall'occhio. Fantascienza? La fonte è estremamente qualificata al punto che mi sento ottimista e mi permetto -ardentemente- di sperare!!!
grazie Franceschina!!!! (con la testa ecc., ecc., ecc....)
complimenti è un bellissimo e interessantisssimo articolo!!!
tempo fa, non ricordo dove, avevo letto che un gruppo di studiosi si era dedicato anche all'ascolto dei suoni provenienti dalle aurore boreali per mezzo di alcuni apparecchi in grado di percepire tali suoni....che dire....in tutti i modi l'universo ci riesce sempre a sorprendere!!
Grazie Enzo!!! Davvero!!
Alle tue stimolanti osservazioni:
CIAOOOO...(come sai tu)
Grazie Cla!
Hai ragione, l'Universo non finirà mai di stupirci, in qualsiasi senso, su qualsiasi frequenza lo osserviamo!
http://link.springer.com/article/10....221-010-2178-6
la mia però sotto....
bellissimo articolo francesca,complimenti
Un articolo spettacolare! Anch'io ho pensato, mentre lo leggevo, al film "Incontri ravvicinati del terzo tipo".
Da amante della cosmo, della musica e da piccola violinista, posso solo farti i più sinceri complimenti per un articolo interessantissimo e molto coinvolgente!
Bravissima!!
Brava, Francy! Hai colto l'armonia che governa i cieli!
Grazie ragazzi, siete troppo carini! Mi è sembrata una notizia curiosa, sono contenta che vi abbia affascinato quanto ha affacinato me.