Una piccola premessa. Ormai mi conoscete sia per i tanti difetti che per i pochi pregi. Posso solo confermarvi che lo scopo finale dei miei articoli è, comunque, solo e soltanto quello di divulgare il più semplicemente possibile argomenti anche ostici come, ad esempio, l’ottica. Tuttavia, vi rendete sicuramente conto che non sempre è facile e immediato. Qualche sforzo lo devo fare. Fatica da un lato e piacere di rendervi partecipi dall’altro. Devo, quindi, trovare una chiave che mi permetta di divertirmi e di fare divertire. Ne segue che, spesso e volentieri, mi lascio andare al mio carattere un po’ fanciullesco (che sono ben contento di avere anche alla veneranda età di 68 anni) e mischio facilmente scienza con fantasia. Vedi pescatore inesperto e pesce furbacchione, ma anche piccoli racconti e favole per bambini (nell’anima e nel fisico). Potrei evitare queste divagazioni dispersive… però mi divertirei di meno. E quindi vi costringo a leggerle. Se a qualcuno danno un po’ fastidio, può sempre cancellarle e conservare la parte più “tecnica”. Basta lavorare con qualche copia e incolla e si riesce benissimo. Per cui, vi prego, lasciatemi viaggiare anche con la fantasia… E inizio subito così.
La vera storia dell’arcobaleno
Una volta compresa la verità, bisogna continuare a crederci e a lottare perché non venga occultata. Fatevi aiutare dai bambini che di queste cose se ne intendono molto di più di voi.
Quanti racconti, quante leggende, quante spiegazioni scientifiche sull’origine dell’arcobaleno. D’altra parte quell’arco luminoso e colorato che attraversa il cielo ancora grigio al termine di un temporale, ha da sempre stimolato la fantasia e l’intelligenza dell’uomo. Se parlate con gli studiosi, vi diranno delle belle parole sulle gocce d’acqua sospese nell’aria e di come la luce solare si possa scomporre passando attraverso di esse. Fate di sì col capo, fingetevi interessati, ma non credeteci. Altri vi diranno di correre nel luogo dove nasce l’arcobaleno: troverete una pentola piena di monete d’oro, che vi renderà ricchi. Mi raccomando non andateci! Rovinereste tutto. O almeno, prima di andarci, sentite la vera storia dell’arcobaleno e capirete la mia paura.
Come molti sanno, ma non dicono per cercare di approfittarne in gran segreto, chi fabbrica gli arcobaleni è l’infaticabile folletto ciabattino Leprechaun. Viene descritto come un diavoletto irlandese scherzoso, inaffidabile e perfino maligno. Tutte storie! Dicerie costruite proprio per non sentirsi in colpa nel rubare le sue pentole piene d’oro.
Tutto cominciò dieci giorni prima del passato remoto infinito. Il mondo era grigio e triste, senza colori. Il mare era grigio scuro, le foglie grigio chiaro e il cielo quasi bianco. Anche il Sole e la Luna erano grigi e le nuvole bianche che gli passavano davanti sembravano disegnare delle smorfie sconsolate sul loro volto.
Ogni tanto piangevano singhiozzando e le nubi, che avevano pietà, cercavano di trattenere il loro pianto disperato, ma non sempre ci riuscivano e questo si trasformava in pioggia. Leprechaun era triste, molto triste, e voleva trovare una soluzione. Pensava di giorno e pensava di notte, senza mai dormire. Poi capì che tutto era così grigio perché non vi era gioia. Non sapeva però ancora cos’era la gioia. Iniziò quindi a cercarla con tutta la caparbietà di cui era capace. Provò nel cielo, nel mare, nelle foreste… niente! Nessuno la conosceva.
Provò allora sotto terra. Era difficile muoversi tra tutte quelle rocce, la sabbia e i sassi taglienti. Proseguì comunque senza mai perdere la fiducia. Incontrò finalmente un’enorme goccia liquida. Tuttavia, non era il pianto del Sole o della Luna, era qualcosa di diverso. Era calda e densa e il folletto sperò che fosse la gioia. No, non lo era, ma la goccia sapeva come si potesse crearla.
Accompagnò Lepreachaun a casa sua. Che meraviglia! Non erano più soltanto gocce perché tutte insieme formavano un mare infinito che risplendeva di “colori” brillanti e luminosi. Gli dissero che si trovava nel cuore della Terra e gli spiegarono cos’erano i colori. Gli raccontarono che erano nate in un tempo molto più antico, ma che una strega cattiva le aveva nascoste al centro dei pianeti, perché l’uomo non potesse mai conoscerle, vedere i loro colori e provare la gioia. Solo i colori, infatti, portano gioia. Leprechaun era entusiasta e felice. Bastava che aprisse un foro e facesse uscire tutte quelle gocce, quei colori e con essi la gioia. No, purtroppo non era così facile. L’incantesimo non l’avrebbe mai permesso. Se fossero uscite allo scoperto, e ogni tanto qualcuna ci provava, avrebbero portato solo distruzione e morte. Dovevano rimanere per sempre laggiù fino a spegnersi per sempre.
Leprechaun pianse fino a che ebbe lacrime. Era arrivato così vicino alla gioia e non poteva portarla con sé. Chiese di rimanere per sempre con quelle gocce e di morire con loro. Le più vecchie e sagge riaccesero, però, una speranza nel povero folletto disperato. Se avesse avuto forza, speranza, fiducia, fantasia, sarebbe forse riuscito a fabbricare da solo i colori anche dove non esisteva quel mare liquido e luminoso. Molto più vicino alla superficie esistevano gli stessi elementi che formavano quell’oceano di luce, solo che erano stati spenti e induriti dalla strega. Ma non erano morti: Leprechaun poteva farli vivere di nuovo. Doveva avvicinarli, unirli, mischiarli tra loro. Solo così sarebbero tornati a risplendere di mille colori e avrebbero “costruito” la gioia.
Leprechaun esultò e non vide l’ora di cominciare il nuovo lavoro. Non lo spaventava niente e nessuno: per ottenere quel risultato avrebbe superato qualsiasi difficoltà. Le gocce gli spiegarono che elementi doveva scegliere, come doveva mescolarli e combinarli. Era una fatica terribile, anche perché fino a che restava sotto terra non avrebbe potuto respirare. Il folletto guardò in faccia la gioia o almeno quello che rimaneva di essa e non ebbe alcuna esitazione. Tornò verso la superficie e cominciò la sua impresa.
Trovò quasi tutto quello che gli serviva, ma mancava soltanto un po’ di oro (ovviamente grigio), che avrebbe permesso di passare dal rosso al giallo e poi al verde. Uscì allo scoperto e chiese aiuto a tutti gli abitanti delle foreste e delle pianure. Lui avrebbe preparato i composti sotto terra e poi sarebbe uscito portandoli dietro di sé lungo un grande cerchio che avrebbe descritto in cielo. Da quel cerchio sarebbero usciti i colori, che avrebbero dipinto il mondo e con loro sarebbe nata la gioia. Bastava che gli preparassero una pentola piena di monete d’oro nel punto in cui fosse uscito all’aperto e tutto sarebbe stato perfetto. Lo avrebbe mescolato con il resto e avrebbe disegnato nel cielo un perfetto arcobaleno. E così fu per tanti e tanti anni.
Il Sole e La Luna non piansero più e le nuvole azzurre e rosa che gli passavano davanti creavano curve sorridenti sui loro volti. Le foreste divennero verdi, il grano giallo, i tramonti viola, la terra marrone, la neve bianca. Tutto risplendeva di luce e di gioia. Purtroppo, un brutto giorno, qualcuno che non voleva la gioia e quindi nemmeno i colori, ma solo il grigio del potere e della ricchezza, rubò la pentola. Il mondo tornò grigio e triste. Nessun problema! Ci voleva ben altro per scoraggiare l’eroico Leprechaun. Ricominciò tutto da capo e trovò di nuovo qualcuno pronto a donargli un po’ del suo prezioso metallo.
Ogni volta, però, qualcuno lo rubava e faceva piangere il Sole e la Luna. E, ogni volta, il folletto tornava sottoterra e creava un nuovo arcobaleno con l’aiuto di chi non voleva rinunciare alla gioia. E così continua anche oggi, senza interruzione. Leprechaun spera sempre che nessuno vada più a rubare la sua pentola, ma non ci spera molto ed è sempre pronto a ricominciare.
Adesso che sapete la vera storia dell’arcobaleno, vi chiedo solo di non raccontarla a nessuno: magari lo verrebbero a sapere proprio quelli che preferiscono l’oro alla gioia. Se proprio vi trovate a passare vicino a quel recipiente così importante lasciate cadere una moneta dentro di esso. Leprechaun ve ne sarà grato. Poi proseguite il vostro cammino e spiegate a tutti che l’arcobaleno è dovuto alle piccole gocce d’acqua sospese nell’aria e alla scomposizione della luce solare.
Ai vostri bimbi dite, però, la verità. Loro capiranno e manterranno il segreto.
La visione scientifica: accettiamola ma non dimentichiamoci il folletto.
Sapete come sono gli scienziati? Se non lo sapete ve lo dico io che li conosco molto bene… Quando si mettono in testa qualcosa sono più duri della pietra. Vogliono spiegare tutto e tutti con formule, strane figure e termini difficili. Anche quando basterebbe lasciarsi andare alla fantasia. Loro cercano sempre la logica e la ragione. Devo ammettere, però, che sebbene siano testardi e molto rigidi, molte volte c’azzeccano. Tuttavia, non si deve sempre prendere ciò che dicono come oro colato (tanto per rimanere vicini al prezioso metallo). Spiegazioni basate sull’emozione e sul sogno possono essere altrettanto valide. Basta solo decidere quali sensi si vogliono usare e comprendere che fantasia e logica possono benissimo convivere, basta solo lasciare libera la strada che unisce cuore e cervello. Troppo spesso questa via di comunicazione viene chiusa con l’età. Impariamo dai bambini, loro la mantengono sempre aperta e scorrevole.
In fondo, è un po’ ciò che capita alla luce. Può essere descritta come onde gigantesche che si propagano nello spazio, attraverso un oceano senza confini, ma anche come un insieme di messaggeri piccolissimi (i fotoni) che la trasportano in giro per il Cosmo e la fanno conoscere a tutto e a tutti. Usare i fotoni e un po’ come credere alla leggenda di Leprechaun… a volte vedo proprio il suo volto dolce e furbo, con una candela in mano, quando penso a un fotone. Qual è la verità, allora? Beh…entrambe sono vere. Per la luce, almeno, è così.
La descrizione dell’arcobaleno è un dilemma molto simile. La spiegazione scientifica è sicuramente valida, ma tenetevi nel cuore e in un piccolo angolo del cervello (ha tanto posto ancora libero) anche la versione che i bambini si raccontano tra loro e che per noi sembra così difficile da capire.
Facciamo, allora, un piccolo passo indietro e ripensiamo alla rifrazione luminosa. Lo facciamo con la solita figura che conosciamo ormai molto bene. Tuttavia, questa volta lasciamo in pace i pesci e i pescatori e consideriamo un pezzo di vetro. Anche il vetro ha in indice di rifrazione maggiore di quello dell’aria e quindi un raggio luminoso che voglia penetrare al suo interno è costretto ad avvicinarsi alla perpendicolare. Tuttavia, questa volta studiamo da vicino cosa succede “veramente” dopo l’ingresso del raggio. Il raggio che arriva, se non abbiamo inserito filtri, è normalmente di luce bianca, ossia un “mix” di tutte le lunghezza d’onda. Non posso ripetere un’altra volta cosa sia la lunghezza d’onda e cosa rappresenti lo spettro della luce. Per chi ne avesse bisogno rimando al libro o, per un breve riassunto, QUI. Diciamo solo che ogni colore ha una sua lunghezza d’onda, ossia le onde che arrivano dalla stella possono essere più o meno “lunghe”.
Occupiamoci solo della luce visibile, ossia quella che i nostri occhi riescono a percepire. Essa va dal violetto al rosso ed è solo una piccola parte dell’intero spettro elettromagnetico. Il raggio che arriva è composto di onde di tutti i tipi e appare di color bianco, ma, appena tocca la superficie del vetro (lo stesso capita anche nel laghetto) ogni tipo di onda (ossia colore) segue un suo cammino particolare. I raggi che contraddistinguono le varie onde “colorate” si piegano di più o di meno rispetto alla perpendicolare. Questo fatto lo vediamo nella Fig. 1, dove abbiamo disegnato i due colori estremi accettati dal nostro occhio, il viola e il rosso, e un paio di quelli intermedi (blu e giallo). In realtà i colori sono sette o sei (se non si considera l’indaco) come avevo già raccontato, a modo mio, QUI.
Questo fatto pone alcuni problemi (la luce si disperde all’interno del vetro), ma tanti vantaggi su cui si basa una parte fondamentale dell’astrofisica: la spettroscopia. In poche parole, la possibilità di “aprire” la luce di un astro come fosse un ventaglio e studiare non solo tutte le sue caratteristiche, ma anche e soprattutto la composizione e le peculiarità dell’oggetto che l’ha inviata o anche soltanto riflessa. Senza spettroscopia l’astrofisica moderna non sarebbe certo arrivata ai livelli odierni. Per ottenere questo risultato prodigioso basta prendere un pezzo di vetro fatto a triangolo, interporlo alla luce da analizzare e aspettare che la luce esca nuovamente allo scoperto, come avviene nella Fig. 2.
Vorrei fare una considerazione molto importante, soprattutto per i telescopi e per chi li usa. Come sapete e come vedremo, vi sono telescopi che usano come obiettivo delle lenti e altri che usano degli specchi. Ciò vuol dire che alcuni basano la formazione dell’immagine sulla rifrazione, altri sulla riflessione. Abbiamo già capito bene che una lente (essendo in pratica un pezzo di vetro) causa una dispersione dei raggi di vario colore. Se questo è molto utile per uno spettroscopio, non lo è più per una visione diretta di un oggetto celeste, che rischia di apparire di tutti i colori, anche sfasati tra loro. In realtà, come vedremo, si devono usare più lenti per cercare di limitare questo danno. Gli specchi, invece, hanno un pregio non trascurabile: la luce che si riflette non si separa nei vari colori. E’ anche facile capire il perché, dato che non vi è un passaggio da una sostanza a un’altra. In altre parole, l’immagine formata da un sistema di specchi non ha il problema del “cromatismo”, ossia della separazione dei colori nell’immagine finale. Comunque ci torneremo sopra, state tranquilli.
Qualcuno potrebbe dirmi: “Abbiamo già finito. Altro che folletto dei boschi, basta un pezzetto di vetro per fabbricare un bellissimo arcobaleno!”. In parte avrebbe ragione. Tuttavia, nell’atmosfera c’è un po’ di tutto, dalla polvere alle particelle elementari, dai pezzi di missili ai satelliti artificiali. Nessuno però ha la forma esatta di un triangolo. Ci vuole qualcosa che ne faccia le veci. Non è difficile capire cosa può essere questo “qualcosa”. Soprattutto, pensando che l’arcobaleno si vede normalmente dopo un temporale, quando il Sole torna a rallegrare la Natura. Temporale vuol dire pioggia e pioggia vuol dire goccioline d’acqua. Ecco trovato ciò che fa le veci del triangolino di vetro: una goccia d’acqua di forma sferica (questa è proprio la loro forma prima di cadere al suolo). Nessuno può realmente vedere nel cielo quello che accade, ma solo ammirare il risultato finale. Eppure, già nel 1200, gli arabi sapevano descrivere perfettamente il fenomeno.
Occupiamoci prima dell’arcobaleno principale, quello più luminoso che, a volte, è l’unico che si vede. Tuttavia, spesso esso è accompagnato da uno secondario, più debole ma altrettanto suggestivo. Iniziamo a spiegare il fenomeno nella Fig. 3, limitandoci a due raggi luminosi, quello rosso e quello blu. Non ho preso quello viola perché potrebbe confondersi con il rosso, ma immaginate pure di sostituire il blu con il viola. Insomma, consideriamo i raggi estremi della luce visibile.
Un raggio solare (bianco) arriva da sinistra e incontra una goccia d’acqua sferica sospesa in aria, dato che il temporale sta finendo o è finito da pochissimo. Il punto di contatto è A. Come detto precedentemente, penetrando nell’acqua il raggio rosso si piega di meno di quello blu. Il raggio rosso colpisce la superficie interna della goccia in B. Una parte proseguirà uscendo dall’acqua e ritornando in atmosfera, allontanandosi dalla perpendicolare, ma una parte tornerà indietro sfruttando la riflessione. Non quella totale, ma solo e soltanto la riflessione normale. State molto attenti, a questo riguardo. In molti testi si trova scritto che la riflessione è causata solo da quella totale, ossia si è superato l’angolo critico. Non è vero! Sappiamo, infatti, che un raggio di luce si scompone sempre in uno che si rifrange e in uno che si riflette. Quale dei due predomini sull’altro dipende dalla sostanza e dalla geometria . In questo caso a noi interessa solo quello che si riflette, dato che la parte che si rifrange si dirige in una zona di cielo che non produce immagini visibili da terra. E’ solo una parte, ma ancora abbastanza vigorosa.
La stessa cosa fa anche il raggio blu. I raggi blu e rosso si intersecano tra loro (non succede niente, state tranquilli, ognuno continua per la sua strada) e arrivano a toccare nuovamente la superficie interna della goccia in C’ e C rispettivamente. Questa volta, consideriamo i raggi che subiscono la rifrazione e che escono all’aria. Il gioco è fatto. Essi si dirigono verso l’osservatore (in basso) mantenendosi nettamente separati tra loro. Abbiamo ottenuto una cosa analoga al triangolo usato in spettroscopia, ma utilizzando soltanto una naturalissima gocciolina d’acqua.
Vale la pena dare qualche numero. Sappiamo benissimo quanto valgono gli angoli di rifrazione all’interno dell’acqua e di quanto si discostino a seconda del colore. Sembrerebbe facile calcolare l’angolo formato tra il raggio incidente (proveniente dal Sole S) e quello finale diretto verso l’osservatore O, sia per la luce rossa che per quella blu. Ovviamente, tutto dipende anche dall’inclinazione dei raggi solari. Il calcolo si complica se vogliamo che la parte riflessa e/o rifratta sia quella predominante nelle varie situazioni. Ci vuole un bel po’ di matematica e di fisica per ottenere la risposta. Accontentiamoci del risultato finale. Gli angoli che permettono una visione distinta dell’arcobaleno sono di 42° per il rosso e di 40° per il blu. Vi chiedo di fidarvi… e di tenerli bene a mente perché vi possono interessare per rispondere alla DOMANDONA finale che vi farò.
L’arcobaleno primario è quindi spiegato da due rifrazioni e da una riflessione su una goccia d’acqua sferica. Tuttavia, quando un raggio entra in una goccia ha voglia di divertirsi e può essere “difficile” farlo uscire. Se pensiamo che sia un fotone a fare questo viaggetto possiamo immaginarcelo come il folletto della favola e vederlo sorridere mentre salta da una parte all’altra della goccia d’acqua, come in una piscina!
Parlando seriamente, consideriamo un altro possibile percorso del raggio di luce bianca che proviene dal Sole. Consideriamolo parallelo a quello precedente, dato che la luce solare può essere considerata composta da un fascio di raggi paralleli. Pur non essendo distante come una stella qualsiasi, è pur sempre abbastanza lontano da accettare questa approssimazione. Provate per credere… ormai sapete farlo.
Guardiamo, quindi, la Fig. 4. Il raggio entra in A e si separa come al solito. Si riflette in B e B’ e poi ancora in C e C’ (una volta in più). Infine, decide di uscire e lo fa in D e D’. Come prima, abbiamo usato solo la parte che ci interessa, ma in ogni punto si ha sia un raggio riflesso che uno rifratto.
In ogni modo la conclusione è simile a quella di Fig. 3. Tuttavia, ci sono alcune differenze non certo trascurabili. Innanzitutto, la luce che esce sarà più debole di quella precedente a causa della riflessione in più che hanno subito i raggi vagabondi. Poi, i raggi si sono invertiti: il rosso è quello che esce più in alto, mentre il blu esce più in basso. Nella Fig. 3 avveniva esattamente il contrario. Infine, gli angoli tra raggio incidente e raggi finali sono leggermente più grandi : 54° per il blu e 50° per il rosso. Ciò vuol dire che l’arcobaleno è più “largo” di quello precedente. Comunque, tra poco, spiegherò meglio la situazione.
In pratica, avremmo finito. Tuttavia, vale la pena costruire meglio ciò che vede il nostro occhio. In particolare, bisogna evitare una fonte abbastanza “normale” di confusione. Le figure che ho fatto precedentemente mostrano contemporaneamente cosa capita al raggio rosso e a quello blu e, analogamente, potrebbero fare lo stesso anche per gli altri colori. Sembrerebbe, quindi, che l’intero arcobaleno nasca da una singola goccia d’acqua. Questo non è assolutamente vero. Se ci pensate un attimo, vedete che gli angoli di uscita dei raggi blu e rosso sono molto simili ma diversi tra loro. Il nostro occhio non riuscirebbe mai a catturarli entrambi. Ciò che capita in realtà è che ogni goccia ci invia uno e un solo raggio. Ci sono quelle specializzate nel blu, quelle specializzate nel rosso, nel giallo, nel verde, nell’arancione, ecc. Parlando più seriamente, dalle gocce che formano un certo arco nel cielo vedremo giungere la luce rossa, da quelle che ne descrivono un altro vedremo quella blu e via dicendo. Proprio questo ragionamento ci spiega anche perché l’arcobaleno ha la forma di un … arco. La Fig. 5 mostra chiaramente quanto ho detto per entrambi gli arcobaleni. Come vedete, ogni gocciolina ci manda un certo colore. Tutte assieme ci mostrano la meravigliosa immagine del doppio arcobaleno. L’angolo di incidenza dei raggi solari rispetto al suolo è l’angolo φ. Perché l’ho segnato? Ve ne accorgerete tra pochissimo…
Si vedono sempre entrambi gli arcobaleni? Come già detto, non sempre, a causa della minore luminosità del secondario. Tuttavia, può capitare benissimo che si veda soltanto il secondario. Questa situazione non dipende più dalla quantità di luce, ma da considerazioni puramente geometriche. E proprio qui scatta il DOMANDONE per tutti voi.
Potrei fare proprio il cattivo e chiedervi:
“Siete nella città di Roma, il giorno 22 aprile. In che direzione e a che ora potreste vedere un arcobaleno (sempre che ci siano le giuste condizioni “atmosferiche”)? E come cambierebbe l’arcobaleno in funzione del tempo che passa?”. Non è facilissimo rispondere e quindi non mi arrabbierò se non lo farete (lo giuro!).
Posso solo dirvi che le risposte sono legate solo e soltanto a una semplice considerazione geometrica. Chi vuole limitarsi nei calcoli potrebbe rispondermi anche solo in termini di … angolo limite per i due arcobaleni. Ovviamente, con una piccola spiegazione.
Se sarete stati bravi vi spiegherò -magari- perché la zona tra i due arcobaleni è più scura del normale e anche perché si chiama banda di Alessandro…
Attendo fiducioso!
Avete fatto la vostra scelta? Ha ragione il folletto o la gocciolina d’acqua. Io non so decidere: entrambe sono magie fantastiche!
La prossima volta tornerò sulla luce proveniente da una stella e cercherò di descrivere senza nemmeno una formula (impresa decisamente ardua, ve lo assicuro) cosa succede all’ingresso del porto e perché è un sogno irrealizzabile ottenere un perfetto punto luminoso. Insomma, ci avvicineremo -finalmente- ai telescopi grandi o piccoli che siano.
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Bellissimo articolo Enzo!!! finalmente conosco la verità!, la faccenda dei fotoni e della loro lunghezza d'onda non mi ha mai convinto del tutto, è molto più credibile la storia del folletto (irlandese?) Leprechaun. In effetti il mondo appare grigio durante un temporale, poi arriva Leprechaun a colorare il tutto... Che l'arcobaleno sia un'opera di un folletto è dimostrato da quanto sia sfuggente, più uno si avvicina più sembra allontanarsi il birichino! Se domani andassi a Roma dovrei sbrigarmi perché l'arcobaleno lo vedrei dall'alba (6,30 circa) fin verso le 9 dopo di che Leprechaun andrebbe a riposarsi, e lo vedrei a ovest, altrimenti dovrei aspettare con pazienza verso le 17,15 circa fino al tramonto naturalmente a est. Più il sole è basso sull'orizzonte più l'arcobaleno si avvicina al semicerchio. Se potessi volare come fanno le rondini (meglio un condor o ancora meglio su un'aereo di linea) e guardando l'ombra del velivolo sulle nubi sottostanti potrei vedere un arcobaleno completo anche a mezzogiorno così abbiamo scoperto come il folletto trasporta l'arcobaleno! Uno dei miei sport preferiti è di cercare gli arcobaleni artificiali provocati dall'irrigazione dei campi di granoturco d'estate. Beh, mi piacciono i colori. Se qualcuno non ha pazienza di aspettare il sole dopo un temporale, può divertirsi a muovere un Compact disk illuminato dal sole, ma di questo credo che Enzo ce ne parlerà in seguito.
un abbraccio e bravissimo!!!!
Caro Enzo mi confondi è solo che i folletti piacciono anche a me! Vorrei chiedere il tuo parere sul limite delle dimensioni delle gocce, se sono troppo grandi non funzionano molto bene (perché non sono in grado di mantenere una forma perfettamente sferica?). Anche se sono troppo piccole non funzionano, (la nebbia generalmente non mostra arcobaleno), forse la dimensione delle goccioline della nebbia è paragonabile alla lunghezza d'onda della luce visibile? Salutami Leprechaun, mi piacerebbe incontrarlo per una birra insieme!
se qualcuno chiederà il perchè della tua risposta esatta chiederò a te di spiegarla... è il minimo che meriti!
Vi sono molti parmetri che giocano sull'apparizione di un arcobalerno. La grandezza della goccia e il rapporto con la lunghezza d'onda sono tra questi sicuramente. Poi vi sono anche le percentuali di luce riflessa e rifratta che anch'esse dipendono dalla sostanza, dalle dimensioni, dalla lunghezza d'onda e dagli angoli formati, ecc. Insomma, la trattazione dell'arcobaleno fatta in modo rigoroso avrebbe bisogno di un intero libro e tante formule!
Direi, comunque, che per quello che vorremmo fare (introduzione all'ottica) abbiamo detto abbastanza. Sto faticando duro con la diffrazione. Senza formule e riuscire a estrarre solo concetti comprensibili a tutti è piuttosto laborioso... Quando, soprattutto, lo scopo è di far capire che cosa arriva ai nostri occhi sia attarverso un telescopio che senza..
Spero di farcela... a voi l'ardua sentenza
Cioè l'ora e la posizione in cui si vedrà un arcobaleno dipende dall'inclinazione dei raggi e dalla posizione del sole? Oddio che paura, temo di aver detto una ca§§ata
Poi, Enzo, qui:
Vedi che sei proprio l'assistente ideale?
Anche qui hai ragione, accidenti....vado a cambiare... e GRAZIE!!!!
Proprio dopo aver letto l'articolo, esco al parco e guarda che ti becco...
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