Il modello cosmologico standard ΛCDM – Parte II: quanta materia ed energia oscura?

Dopo aver visto cos’è e come si ricava il modello cosmologico standard ΛCDM, in questa seconda parte vedremo di capire come ottenere il bilancio energetico tra materia ed energia oscura che oggi conosciamo, sfruttando una particolare categoria di dati a nostra disposizione, le distanze ottenute dalle cosiddette candele standard. Introdurremo brevemente le Supernovae di Tipo Ia e vedremo di capire come una misura di distanza ottenuta dalle stesse si può legare all’effetto prodotto da materia ed energia oscura sull’espansione dell’Universo.

Nella prima parte di questo articolo, che trovate QUI (assolutamente necessario da leggere prima di proseguire, per chi non lo avesse già fatto), abbiamo introdotto il modello cosmologico standard ΛCDM descrivendo gli elementi necessari a ricavarlo e l’equazione di Friedmann che lo rappresenta formalmente, la quale come abbiamo detto ci spiega il modo in cui i vari costituenti energetici dell’Universo, ovvero quello relativo alla materia (barionica e oscura), rappresentato dal parametro ΩM, e quello dato dall’energia oscura, indicato con il parametro ΩΛ, possono modificare la sua evoluzione nel tempo e la geometria dello spazio-tempo.

Nel discorso introduttivo sulla cosmografia, abbiamo accennato al fatto che la metrica di Robertson-Walker ci permette di spiegare matematicamente e geometricamente come i raggi luminosi si propaghino nello spazio-tempo, permettendoci cosi di definire un concetto di distanza tra due sorgenti luminose che sia dipendente dal tipo di geometria adottata, cioè dal valore della costante di curvatura k (che può assumere i valori -1, 0, +1 se ricordate) e dal fattore di scala cosmico a(t).

Ma prima di arrivare a ciò è bene fare alcune premesse essenziali. Poichè il discorso è abbastanza articolato e affronteremo più dettagli di quanto fatto nella prima parte, sarà necessario introdurre alcune quantità ed equazioni e da qui in poi affronteremo il problema passo passo in sezioni separate in modo da fornire una lettura più semplice e organizzata anche per i meno esperti.

 

Sezione 1. Il redshift cosmologico

Spostamento verso il rosso (redshift) e spostamento verso il blu (blueshift) per una sorgente in movimento rispetto ad un osservatore.
Spostamento verso il rosso (redshift) e spostamento verso il blu (blueshift) per una sorgente in movimento rispetto ad un osservatore.

Cominciamo con il discutere un parametro fisico importante in cosmologia, ovvero il cosiddetto redshift z. Come probabilmente noto dall’effetto Doppler, una sorgente luminosa che ci invia il suo segnale elettromagnetico e che si muove verso di noi, fa si che la lunghezza d’onda del segnale elettromagnetico diminuisca, spostandosi cioè verso il blu. Viceversa, se la sorgente si allontana, la lunghezza d’onda aumenta, spostandosi così verso il rosso. Questo tipo di effetto è tipicamente misurabile dal cosiddetto spettro di luce, che riporta il flusso osservato in funzione della lunghezza d’onda, cioè ci permette di visualizzare il segnale elettromagnetico scomposto in tutte le sue componenti. Da qui è possibile definire il $redshift$ z, come

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dove λosservata è la lunghezza d’onda dello spettro della sorgente preso in esame, mentre λemessa è quella di riferimento prodotta in laboratorio, cioè a riposo (non in movimento). Dalla formula possiamo subito vedere che se le due lunghezze d’onda sono uguali, cioè se la sorgente è ferma rispetto a noi, allora z = 0, mentre se la sorgente si allontana z > 0 e se si avvicina z < 0. Tuttavia nel caso cosmologico, il $redshift$ può essere provocato da un fenomeno totalmente diverso da quello dell’effetto Doppler discusso fin’ora. Ma quale?

Abbiamo visto nel precedente articolo (reperibile QUI) che l’Universo è attualmente in espansione, e tra l’altro accelerata. Questo fa si che tra di noi ed altre sorgenti, soprattutto se poste a distanze molto elevate rispetto a noi, si venga a formare molto nuovo spazio con il passare del tempo, cioè lo spazio stesso tra noi e la sorgente aumenta in dimensione. Lo spazio generato sarà tanto più grande quanto più lontana è la sorgente, a causa del fatto che l’espansione è accelerata e l’accelerazione è diventata visibile solo dopo un certo tempo di vita dell’Universo. Cosa comporta tutto ciò? La diretta conseguenza è che la velocità con cui vediamo queste sorgenti distanti allontanarsi da noi aumenta con l’aumentare della distanza tra noi e gli oggetti stessi, ma non perchè le sorgenti stesse si muovano di per sè ma perchè è lo spazio in espansione a trascinarsele dietro. Quello che accade dunque è che si crea anche in questo caso uno spostamento verso il rosso, detto però redshift cosmologico, perchè causato dall’allontanamento tra due oggetti (noi e la sorgente) per effetto dell’espansione dell’Universo. Le onde elettromagnetiche prodotte vengono letteralmente “stirate” per effetto di questa espansione e l’effetto prodotto sullo spettro di luce è perfettamente analogo a quello causato dall’effetto Doppler.

Come possiamo immaginare riflettendoci un attimo, il $redshift$ cosmologico è praticamente nullo se considerato per sorgenti a piccole distanze (ad esempio nella nostra galassia), dove non riusciamo a percepire l’espansione dell’Universo perchè sono in gioco i moti propri delle stelle e delle galassie che possono anche al contrario essere in avvicinamento fra loro e verso di noi. L’effetto dell’espansione però diventa dominante per grandi distanze, diciamo già nell’ordine di quelle che definiscono le dimensioni del nostro ammasso di galassie, il gruppo locale, e quindi intorno alla decina di milioni di anni luce. Il motivo di ciò è che è proprio su questa scala di distanze che l’espansione dell’Universo diventa ben visibile ai nostri occhi, cioè produce un effetto tangibile e misurabile. In tutto questo discorso puntualizziamo ancora una volta che il $redshift$ cosmologico, anche se definito sempre con la stessa formula di quello dato dall’effetto Doppler, non comporta affatto che la sorgente sia effettivamente in moto rispetto a noi perchè si sta spostando con una sua velocità, ma semplicemente che essa si allontani perchè è lo spazio stesso ad espandersi. Ciò significa che la sorgente potrebbe avere un $redshift$ cosmologico elevato, ma essere comunque ferma nel riferimento dello spazio ad essa circostante, quindi la vedremo in questo caso allontanarsi molto velocemente solo per effetto dell’espansione dell’Universo.

Legge di Hubble, che lega il redshift cosmologico alla distanza delle sorgenti luminose osservate, su scale cosmologiche piccole, dell'ordine della decina di milioni di anni luce.
legge di Hubble, che lega il redshift cosmologico alla distanza delle sorgenti luminose osservate, su scale cosmologiche piccole, dell’ordine della decina di milioni di anni luce.

Inoltre, questa definizione di $redshift$ cosmologico consente anche di avere (e spiegare) velocità di allontanamento (dette anche velocità di recessione) di sorgenti che superano la velocità della luce, arrivando anche a valori due o tre volte superiori. Ma tranquilli, gli oggetti non si stanno realmente muovendo a velocità superiori alla velocità della luce, trattasi solo di un effetto apparente provocato dallo spazio che si può espandere a velocità anche elevatissime senza violare il postulato della teoria della Relatività Ristretta che afferma che nessun segnale elettromagnetico si può propagare ad una velocità superiore a circa 299 792 km/s. Questo ci consente di avere oggetti con valori di $redshift$ z > 1, senza che essi di fatto si muovano a velocità superiori a quelle della luce. Giusto per darvi un’idea di quale possa essere il $redshift$ di un oggetto posto ai confini dell’Universo osservabile, basti pensare al quasar ULAS J1120+0641, il quale ha il più alto $redshift$ misurato ad oggi, pari a circa z = 7, ed è posto a ben 12.9 miliardi di anni luce da noi.

Come intuibile per quanto detto fin’ora, possiamo pertanto pensare al $redshift$ cosmologico come ad un indicatore di distanza, vale a dire che tanto più è elevato il $redshift$ cosmologico misurato e tanto più ci aspettiamo che la distanza dell’oggetto sia elevata.

Per distanze relativamente piccole, diciamo fino a qualche decina di milioni di anni luce, la relazione tra $redshift$ e distanza si può approssimare ad una semplice retta, è cioè lineare, come mostra l’immagine qui a fianco, e costituisce la cosiddetta legge di Hubble. Questo succede perchè localmente, cioè in zone relativamente prossime a noi, l’espansione dell’Universo avviene ad un tasso pressoché costante, cioè l’accelerazione non è visibile. L’inclinazione di questa retta è il fattore di conversione tra $redshift$ e distanza, ed è dato dalla costante di Hubble al tempo odierno, H0, che abbiamo già introdotto nell’articolo precedente per un generico istante t di tempo. Spostandoci invece a distanze sempre più grandi, l’effetto di accelerazione dell’espansione si fa sentire sempre di più. Questo succede perchè più distante guardiamo nello spazio, più lontano guardiamo nel tempo, vedendo così l’effetto dell’energia oscura prendere il sopravvento sull’espansione dell’Universo. Questo fa si che la velocità di recessione delle sorgenti molto lontane diventi molto elevata, e di conseguenza il $redshift$ aumenta più di quanto non faccia la distanza corrispondente. Questo ci fa perdere la condizione di linearità tra redshift cosmologico e distanza data dalla legge di Hubble, ma ritorneremo nuovamente su questo aspetto con dati alla mano nella parte finale di questo articolo.

 

Sezione 2. La distanza di luminosità ed il modulo di distanza

La seconda quantità che dobbiamo introdurre è la cosiddetta distanza di luminosità e di conseguenza, il modulo di distanza, concetti molto diffusi tra gli astronomi. Partiamo dall’assumere che una determinata sorgente, che chiameremo S per comodità, abbia una luminosità intrinseca, che denotiamo con L. Essa rappresenta la quantità di energia emessa nel tempo (la potenza), ed è direttamente legata alla temperatura ed al raggio della sorgente (nel caso in cui essa sia una stella). Tuttavia, per effetto della distanza, non misuriamo direttamente la luminosità della sorgente ma il cosiddetto flusso osservato, ovvero la luminosità L distribuita su di una superficie sferica centrata sulla sorgente S ed avente raggio dato dalla distanza tra S e noi osservatori. Il flusso osservato, che denotiamo con F, è dato dalla semplice relazione  Schermata 2015-04-27 alle 11.49.39

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Rappresentazione geometrica della legge dell’inverso del quadrato che a partire dalla luminosità intrinseca L di una sorgente S ci fornisce il flusso osservato F. L’area A presa di riferimento ad una distanza r, si quadruplica ad una distanza doppia, divenendo nove volte più ampia ad una distanza tripla.

 

dove dL è proprio la distanza tra sorgente ed osservatore, che compare al quadrato al denominatore del secondo membro. La figura a lato ci illustra che questa legge è di tipo quadratico per la distanza a causa della definizione geometrica di superficie sferica, la quale cresce con il quadrato del raggio, facendo si che all’aumentare della distanza da S, la luminosità intrinseca della sorgente venga distribuita su di una superficie sempre più grande. Il flusso osservato F è pertanto ciò che misuriamo direttamente da terra, o dallo spazio, con appositi strumenti di rivelazione. Come si definisce quindi la distanza di luminosità? Semplicemente invertendo la relazione che abbiamo appena citato per la distanza dL, ottenendo così la definizione di distanza di luminosità.Schermata 2015-04-27 alle 11.49.46

Ma perchè si chiama distanza di luminosità? Perchè è definita utilizzando la luminosità della sorgente. In astronomia, infatti, esiste anche una definizione diversa di distanza, nota come distanza da diametro angolare, dA, la quale è invece definita a partire dalla dimensione angolare della sorgente, e che coincide con dL solo per $redshift$ molto bassi, praticamente per z = 0. La relazione tra distanza di luminosità e distanza da diametro angolare, ricavabile da alcune considerazioni geometriche, è difatti data come dL = (1 + z)2dA. Quindi per $redshift$ già poco più grandi di zero, le due distanze cominciano a differire notevolmente. Il motivo per cui ciò accade è che quando misuriamo il diametro angolare di una sorgente, siamo esenti dall’effetto di spostamento della lunghezza d’onda verso il rosso causato dall’espansione dell’Universo o da un eventuale moto di allontanamento/avvicinamento della sorgente rispetto a noi per effetto Doppler. Il diametro angolare di un oggetto è infatti una misura puramente geometrica proiettata in direzione perpendicolare a quella che invece riguarda il moto di allontanamento/avvicinamento, ed è dunque indipendente dalla velocità che la sorgente stessa ha rispetto a noi. Perchè allora non utilizzare più semplicemente il diametro angolare per tutte le misure di distanza? Ci semplificherebbe molto la vita direte voi. In realtà no, perchè è praticamente impossibile con le strumentazioni disponibili ad oggi, misurare il diametro angolare di sorgenti poste anche a miliardi di anni luce da noi. Sarebbero così minuscole e perfettamente puntiformi da rendere vano ogni tentativo anche con i telescopi più potenti che abbiamo a disposizione. Misurare il diametro angolare di un oggetto risulta possibile solo quando è ragionevolmente vicino a noi, per intenderci entro i limiti della nostra Galassia se parliamo di sorgenti stellari. Ecco che la distanza di luminosità diventa più vantaggiosa, anche perchè per una qualsiasi sorgente luminosa, se pur distante, abbiamo comunque la possibilità di misurarne il $redshift$ grazie allo spettro elettromagnetico emesso dalla sorgente.

A questo punto molti astrofili sapranno bene che se abbiamo un flusso osservato, possiamo convertirlo in una magnitudine apparente m tramite la cosiddetta legge di Pogson. Facendo lo stesso per una $magnitudine$ assoluta M, corrispondente al flusso osservato per la stessa sorgente ma posta ad una distanza da noi pari a 10 parsec (per la definizione di magnitudine assoluta di una sorgente), possiamo esprimere la $magnitudine$ apparente in funzione della distanza di luminosità e della $magnitudine$ assoluta secondo la seguente legge

Schermata 2015-04-27 alle 11.38.18dove abbiamo reso esplicito il fatto che, sulla base di quanto detto precedentemente, sia la distanza di luminosità dL, sia di conseguenza la $magnitudine$ apparente della sorgente S presa in esame, sono funzioni del $redshift$ z della sorgente. Se adesso portiamo la $magnitudine$ assoluta M al primo membro, introduciamo il cosiddetto modulo di distanza in funzione del $redshift$, dato da μ(z) = m(z) – M. Dalla formula che abbiamo considerato otteniamo quindi l’espressione del modulo di distanza in termini della distanza di luminosità della sorgenteSchermata 2015-04-27 alle 12.01.53. Questo parametro è fondamentale nella misura delle distanze di sorgenti di cui è nota la $magnitudine$ assoluta M e ovviamente quella apparente m. Specifichiamo per chiarezza, che dire di aver nota la $magnitudine$ assoluta M di una sorgente, equivale a conoscere la sua luminosità intrinseca L ed automaticamente la sua distanza di luminosità tramite la magnitudine apparente, quest’ultima facilmente misurabile. Quindi se avessimo la magnitudine assoluta M della sorgente, avremmo già risolto il problema…ma le cose nella realtà non so mai semplici! Come intuibile infatti, la luminosità intrinseca L non è conosciuta a priori perchè non sappiamo a che distanza la sorgente sia posta rispetto a noi senza altri elementi a nostra disposizione. Tuttavia esistono delle particolari sorgenti, note come candele standard, in cui la luminosità intrinseca è un valore ben preciso conosciuto tramite processi fisici noti, e che non cambia al variare della sorgente considerata per una particolare tipologia di oggetti. Per riassumere dunque, ricostruendo il modulo di distanza delle candele standard, otteniamo una misura diretta della loro distanza di luminosità. Unendo questa informazione al redshift della sorgente, otteniamo uno strumento potente per poter calibrare il modello cosmologico, come vedremo nella Sezione 6 di questo articolo. Ritorneremo sulle candele standard nella Sezione 5 e su come il modulo di distanza si distribuisce in funzione del $redshift$ della sorgente nella Sezione 6.

 

Sezione 3. La distanza di luminosità in cosmografia

Fatta questa premessa sul $redshift$ ed in particolare quello cosmologico, e su come si definiscono la distanza di luminosità ed il modulo di distanza in termini osservativi e pratici, affrontiamo adesso il concetto di distanza di una sorgente luminosa da un punto di vista completamente diverso, e puramente matematico, cioè quello della cosmografia. Cerchiamo di capire adesso come si esprime una distanza creata dal percorso fatto dai fotoni nello spazio-tempo, ovvero dal segnale luminoso che da una determinata sorgente giunge fino a noi, in termini dei parametri che descrivono la metrica dello spazio-tempo, cioè il fattore di scala cosmico a(t) e la costante di curvatura k. Per i meno curiosi, dato che quanto segue è un pò più tecnico e meno entusiasmante da un punto di vista divulgativo, si può in caso saltare e andare direttamente alla Sezione 4, anche se visionare il modo in cui si arrivi al risultato è certamente molto consigliato.

Ritornando al nostro discorso, dalla metrica di Robertson-Walker, quindi senza ancora considerare il modello cosmologico vero e proprio per il momento, possiamo ricavare la relazione tra la lunghezza d’onda di un segnale elettromagnetico relativo ad una sorgente, ed il fattore di scala cosmico a(t). Questo perchè la metrica di Robertson-Walker, come qualunque metrica, è di per sè una cosiddetta forma differenziale, vale a dire che sotto opportune condizioni essa si può integrare fornendoci una funzione matematica che ci descrive esattamente la distanza di un particolare oggetto in funzione delle coordinate dello spazio-tempo. Ancora una volta però eviteremo di entrare nei dettagli matematici, perchè ciò richiederebbe nozioni di analisi matematica che esulano dallo scopo di questo articolo. In ogni caso affronteremo a seguire alcune considerazioni tecnico-pratiche che richiedono comunque una lettura un pò più attenta.

Schema per il calcolo della distanza di luminosità dL in termini del fattore di scala cosmico a(t). E' rappresentato il percorso dei raggi luminosi emessi dalla sorgente, posta ad r = r1, e lo specchio circolare posto a r = 0, avente raggio b. L'angolo formato tra il percorso dei raggi di luce e la linea congiungente r = 0 con r = r1, è denotato con || e corrisponde al semi-angolo del cono che tali raggi di luce formano rispetto allo specchio.
Schema per il calcolo della distanza di luminosità dL in termini del fattore di scala cosmico a(t). E’ rappresentato il percorso dei raggi luminosi emessi dalla sorgente, posta ad r = r1, e lo specchio circolare posto a r = 0, avente raggio b. L’angolo formato tra il percorso dei raggi di luce e
la linea congiungente r = 0 con r = r1, è denotato con |e| e corrisponde al
semi-angolo del cono che tali raggi di luce formano rispetto allo specchio.

La relazione che otteniamo per la distanza di luminosità si ricava con delle considerazioni geometriche e fisiche a partire dallo schema presentato in figura. Facciamo prima una considerazione sul sistema di coordinate utilizzato in cosmografia per descrivere lo spazio-tempo con la metrica di Robertson-Walker. Esso è dato dalle quattro coordinate (r, θ, φ, t), dove t è il tempo cosmico standard iniziato all’orgine dell’Universo e r, θ, φ sono le tre coordinate spaziali dette coordinate comoventi poichè sono indipendenti dal tempo. Le tre coordinate spaziali definiscono un sistema di coordinate sferico, in modo similare al sistema di coordinate equatoriale tanto noto in astronomia. Supponiamo di centrare questo sistema di coordinate spaziali su di noi in quanto osservatori. Avremo allora che la coordinata comovente r, detta radiale poichè definita lungo la congiungente tra l’origine (noi) e la sorgente, sarà r = 0 in corrispondenza della Terra. A questo punto, immaginiamo di avere una sorgente posta ad una coordinata comovente $radiale$ r = r1. Ma la coordinata comovente come abbiamo detto non dipende dal tempo e quindi non tiene conto del fatto che l’universo si espande. Per includere questo effetto e ottenere così la coordinata effettiva della sorgente al passare del tempo, dobbiamo considerare il prodotto r1 a(t0), cioè la coordinata $radiale$ comovente moltiplicata per il fattore di scala cosmico al tempo attuale t = t0. Questo perchè il fattore di scala ad oggi, ha tenuto conto di quanto l’Universo si sia espanso fino ad oggi.

Chiarita dunque la natura delle coordinate spaziali e temporali utilizzate in cosmografia, affrontiamo il metodo per ricavare la distanza di luminosità della sorgente considerata. Quello che intendiamo fare è raccogliere la luce emessa da questa sorgente tramite un telescopio posto a terra, avente uno specchio circolare di raggio b. Come ci mostra la figura a lato, i raggi di luce provenienti dalla sorgente formano un angolo |ε| con la congiungente tra la sorgente e il centro dello specchio, dando origine quindi ad un cono con un angolo solido (cioè l’angolo in tre dimensioni) dato da π|ε|2. Utilizzando la trigonometria di base per un triangolo rettangolo e seguendo lo schema illustrato nella figura possiamo scrivere che b = a(t0) r1 sin|ε| ≈ a(t0) r1 |ε|, dove l’ultima approssimazione sussiste perchè l’angolo |ε| è tipicamente molto piccolo per sorgenti luminose presenti nel nostro Universo, e dunque il seno dell’angolo è ben rappresentato dall’angolo stesso.

Calcolando a questo punto la porzione di potenza ricevuta sulla superficie dello specchio del telescopio rispetto al totale emesso dalla sorgente e distribuito su di una superficie sferica, avente angolo solido pari a 4π, possiamo ricavare una espressione del flusso osservato a terra in termini del raggio dello specchio, del fattore di scala cosmico e della coordinata comovente della sorgente. Sostituendo questo valore del flusso osservato nella definizione di distanza di luminosità che abbiamo introdotto precedentemente, otteniamo la distanza di luminosità in cosmografia, data da

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dove a(t0), o più brevemente a0, è il fattore di scala cosmico al tempo in cui riceviamo il segnale dalla sorgente, t0, e a(t1) è invece il fattore di scala cosmico al tempo in cui il segnale è stato emesso dalla sorgente, t1, chiaramente con t0 > t1 perchè la luce emessa dalla sorgente, a causa della sua velocità finita, impiega un tempo maggiore di zero per arrivare fino a noi e quindi deve essere stata emessa prima per poter essere visibile. La coordinata comovente della sorgente, r1, è anch’essa calcolabile dalla metrica di Robertson-Walker ed è data da

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cioè r1 è una funzione particolare, chiamata in cosmologia funzione S, di una quantità (indicata tra parentesi) che dipende dall’evoluzione del fattore di scala cosmico tra il tempo in cui il segnale è inviato a quello in cui è ricevuto. Questa funzione S può assumere tre differenti forme, in base al tipo di geometria dello spazio-tempo, cioè in base al valore della costante tricotomica k che abbiamo introdotto nel primo articolo, se ricordate. Essa sarà data dal seno della quantità tra parentesi se k = + 1 (cioè la geometria è sferica), dalla stessa quantità tra parentesi se k = 0 (cioè la geometria è Euclidea) e dal seno iperbolico della quantità tra parentesi se k = -1 (cioè se la geometria è iperbolica). Ed è quindi qui che entra in gioco il tipo di geometria dello spazio-tempo. La geometria dunque cambia il valore della coordinata comovente in esame, e cioè cambia letteralmente la distanza della sorgente.

Ma non ci dilunghiamo ulteriormente sulle considerazioni matematiche, ci basta sapere a questo punto che la distanza di luminosità in cosmografia dipenderà dal tipo di geometria che ha lo spazio-tempo, cioè dal valore della costante tricotomica k.

 

Sezione 4. La distanza di luminosità nel modello ΛCDM

Come possiamo adesso legare l’espressione della distanza di luminosità in cosmografia al modello cosmologico standard ΛCDM, cioè ai costituenti fisici dell’Universo? La chiave è sempre l’equazione di Friedmann, che abbiamo introdotto e spiegato QUI nella prima parte dell’articolo dedicato al modello ΛCDM. Calcolando l’equazione di Friedmann per il solo istante di tempo attuale t = t0, avremo

Schermata 2015-05-01 alle 17.53.16

con ΩK,0 il termine di curvatura, cioè il valore legato al budget energetico totale Ωtot,0 calcolato al tempo attuale, già introdotto precedentemente (ΩK,0 = 1 – Ωtot,0). H0 è ancora una volta la costante di Hubble al tempo attuale. Invertendo questa equazione ricaviamo l’espressione del fattore di scala cosmico al tempo attuale in funzione dei costituenti dell’Universo e della $costante di Hubble$, data da

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e che adesso possiamo utilizzare nella espressione di distanza di luminosità cosmografica. Pertanto sostituendo a0 nella espressione della distanza di luminosità, calcolando la quantità rappresentata dall’integrale tra parentesi tramite le stesse definizioni di redshift cosmologico e $costante di Hubble$, e sfruttando la relazione tra $costante di Hubble$ e i contributi energetici dell’Universo data sempre dall’equazione di Friedmann, con un pò di passaggi algebrici otteniamo l’espressione finale e più comune della distanza di luminosità del modello cosmologico standard per il caso di geometria Euclidea (k = 0) ed un Universo dominato da materia non-relativistica, cioè da materia ordinaria la cui densità decresce con il volume dello spazio occupato. Capiremo nella Sezione 6 perchè consideriamo proprio il caso con k = 0.

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Vediamo di capire meglio questa formula, di per sè non immediata. Al primo membro vediamo la distanza di luminosità in funzione del $redshift$. A secondo membro compaiono quindi il $redshift$ z, e dal momento che abbiamo incluso il modello cosmologico standard vediamo adesso apparire la $costante di Hubble$ al tempo attuale H0, ed i contributi energetici di massa ed energia oscura, ΩM,0 e ΩΛ,0, sempre al tempo attuale ma posti dentro un integrale. L’integrale che compare fa si che vengano tenuti in considerazione tutti i contributi del $redshift$ dalla posizione dell’osservatore, z’ = 0, a quella in cui si trova la sorgente luminosa z’ = z sotto la presenza di materia ed energia oscura. Il motivo per cui il $redshift$ che compare dentro l’integrale ha simbolo z’ è solo una questione di forma, perchè z’ è una variabile di integrazione in questo caso e non va confusa con il $redshift$ z della sorgente per cui la distanza di luminostà viene calcolata tramite la formula.

Abbiamo così finalmente l’espressione chiave che ci servirà per ottenere le percentuali energetiche di materia ed energia oscura e la $costante di Hubble$. Questa equazione lega la distanza di luminosità di una sorgente al suo redshift, includendo l’effetto causato dalla materia e dall’energia oscura. Come visibile, la funzione geometrica S che abbiamo introdotto prima per la cosmografia, qui non compare più poichè ci siamo focalizzati sul caso k = 0. Perchè vi chiederete proprio k = 0, cioè geometria Euclidea? Perchè come vedremo più avanti, ciò che osserviamo corrisponde proprio al caso k = 0, per cui adottiamo questa semplificazione per non complicarci la vita ulteriormente.

 

Sezione 5. Il dato osservativo: le supernovae Tipo Ia

Adesso una domanda sorge spontanea. Ma come si fa dunque a calcolare questi valori energetici di materia ed energia oscura usando l’ultima formula? Per farlo servono i dati, cioè le osservazioni. I dati, in qualunque contesto astrofisico e cosmologico, sono di vitale importanza infatti. Senza di essi, non avremo mai modo di capire se la nostra comprensione ed i nostri studi si stanno muovendo nella direzione giusta. I dati ci servono per calibrare i modelli e per metterli alla prova. Possono confermare un modello, così come anche portarci ad escluderlo totalmente. Nel nostro caso in particolare, i dati ci servono anche per capire se la formula che abbiamo ottenuto per la distanza di luminosità è adeguata.

Esempio di curva di luce di una Supernova Tipo Ia a confronto con una Supernova Tipo II (cosiddetta core-collapse). La magnitudine assoluta di picco delle SNe Tipo Ia raggiunge un valore elevato e ben preciso, pari a M = -19.5 nella banda del visibile, brillando dunque più delle SNe Tipo II che invece sono prodotte da stelle molto massicce che arrivano al loro ultimo stadio evolutivo.
Esempio di curva di luce di una Supernova Tipo Ia a confronto con una Supernova Tipo II (cosiddetta core-collapse).
La $magnitudine$ assoluta di picco delle SNe Tipo Ia raggiunge un valore elevato e ben preciso, pari a M = -19.5 mag nella banda del visibile, brillando dunque più delle SNe Tipo II che invece sono prodotte da stelle molto massicce che arrivano al loro ultimo stadio evolutivo.

Ma quali dati ci sono utili in questo caso? Fin’ora abbiamo parlato di distanze e di redshift legati alle sorgenti luminose. Ci serve dunque un tipo di sorgente che ha la particolarità di avere un valore di luminosità intrinseca ben noto, in modo da consentirci di avere la sua magnitude assoluta e dunque la distanza. Se ricordate, abbiamo già fatto riferimento prima a queste sorgenti con il termine di candele standard. Le candele standard più note in ambito cosmologico sono un tipo particolare di Supernovae (SNe), ovvero le cosiddette SNe Tipo Ia. Esse non sono da confondere con un’altra classe nota di supernovae, le SNe Tipo II. Per non rendere l’articolo eccessivamente lungo, non ci occuperemo in questa sede di capire come si formano e si classificano le diverse supernovae (affronteremo la cosa successivamente in un articolo dedicato).

Quello che ci basta sapere in questo contesto è che le SNe Tipo Ia sono prodotte da una nana bianca originata da una stella di massa intermedia (5-7 masse solari) posta in un sistema binario, con un meccanismo ben preciso che dà luogo ad una luminosità caratteristica ben nota, producendo nella fase del massimo di luminosità una magnitudine assoluta M  = -19.5 nella luce visibile, come ci mostra la figura qui sopra, dove vediamo una tipica curva di luce tipica di SNe Tipo Ia ed un esempio di curva di luce di SNe Tipo II, quest’ultime in media meno luminose delle Tipo Ia di circa due magnitudini. Le SNe Tipo II sono originate invece da stelle singole molto massive, 10-11 masse solari, che arrivano al loro ultimo stadio evolutivo, andando a costituire un nucleo di ferro ed esplodendo. A differenza delle Tipo Ia, le Tipo II non sono utilizzate come candele standard perchè la luminosità del massimo può variare considerevolmente in base alla stella presa in considerazione, e dunque non in un modo tipico da cui si può estrapolare un solo valore di luminosità al massimo.

 

Sezione 6. Vincolare i parametri cosmologici del modello ΛCDM

La parte finale di questo percorso che abbiamo affrontato ci permetterà di capire come effettivamente riusciamo ad ottenere le fatidiche percentuali di materia ed energia oscura che spesso leggiamo in giro quando si parla di Universo e dei suoi costituenti.

Ricapitolando abbiamo:

  1. capito cos’è il $redshift$ cosmologico e come misurarlo
  2. ricavato la distanza di luminosità di una sorgente con un determinato $redshift$ ed espressa in termini dei costituenti ΩΛ e ΩM e della $costante di Hubble$ H0
  3. identificato il tipo di sorgenti ideali per cui abbiamo noti sia il $redshift$ che la distanza di luminosità.

Quindi da un lato abbiamo la teoria, il modello che ci fornisce una espressione matematica della distanza di luminosità in funzione del redshift e che la lega ai costituenti dell’Universo, e dall’altro lato abbiamo i dati, cioè le distanze di luminosità ed i corrispondenti redshift di un certo numero di sorgenti luminose. Il nostro obiettivo è calibrare il modello teorico per riprodurre al meglio i dati a disposizione.

Il prossimo passo da fare è vedere come la distanza di luminosità di tali sorgenti si distribuisca in funzione dello stesso $redshift$, qualcosa che abbiamo già visto quando abbiamo parlato della legge di Hubble nella Sezione 1 di questo articolo. Guardando il diagramma qui sotto, vediamo nuovamente la distanza, qui espressa dal modulo di distanza, in funzione del $redshift$ della sorgente. I punti indicati con dei pallini (pieni per osservazioni del telescopio Hubble e vuoti per osservazioni da terra) in nero sono invece un campione di SNe Tipo Ia.

Diagramma di Hubble per le Supernovae Tipo Ia. Il diagramma di Hubble mostra il modulo di distanza delle supernovae in funzione del redshift delle stesse. Dalla distribuzione dei punti è possibile vincolare i parametri liberi del modello cosmologico.
Diagramma di Hubble per le $Supernovae$ Tipo Ia (SNe Type Ia). Il diagramma di Hubble mostra il modulo di distanza delle $supernovae$ in funzione del $redshift$ delle stesse. Dalla distribuzione dei punti è possibile vincolare i parametri liberi del modello cosmologico.

Vediamo anche una curva tratteggiata che passa in mezzo a questi punti, ma che cos’è? Si tratta della distanza di luminosità teorica che abbiamo ricavato partendo dalla cosmografia ed includendo il modello cosmologico, data dall’ultima formula in Sezione 4. Questa distanza di luminosità è stata calcolata per i valori di ΩΛ e ΩM che meglio rappresentano tutti i dati osservativi che abbiamo a disposizione. Infatti, cambiando i valori di ΩΛ e ΩM la distanza di luminosità associata ad una sorgente di $redshift$ z cambia. Esiste dunque una coppia di valori ΩΛ e ΩM per cui dL diventerà il più simile possibile alla distanza osservata con le sorgenti, rappresentata in verticale dalla posizione dei cerchi neri. Estendendo questo calcolo per tutti i dati a disposizione, possiamo ricavare che ΩΛ = 0.70 (o 70%) e ΩM = 0.30 (o 30%) circa, ed un valore della $costante di Hubble$ odierna pari a circa H0 = 69.5 km/s Mpc-1. Abbiamo così vincolato i parametri liberi del modello cosmologico, ottenendo cioè i valori che ci permettono di riprodurre i dati osservati nel migliore dei modi.

Facciamo adesso alcune considerazioni importanti. La parte terminale di questo diagramma, cioè quella ad alto $redshift$ sulla destra, rappresenta la zona più delicata perchè come intuibile al crescere delle distanze e del $redshift$ diventa più complicato per noi osservare supernovae e quindi trovarne. Come visibile infatti, per $redshift$ z > 1 i punti diventano pochi, e si esauriscono rapidamente avvicinandosi a z = 2. Tuttavia, le supernovae a $redshift$ più alto sono quelle che risentono di più dell’espansione accelerata dell’Universo, proprio perchè sono quelle più remote rispetto a noi. Questo rende queste supernovae le più critiche per calcolare il bilancio tra materia ed energia oscura, le quali giocano un ruolo opposto sull’espansione dell’Universo, dove la materia tende a frenare l’espansione mentre l’energia oscura tende ad accelerarla (ricordate quello che abbiamo detto nella parte finale del primo articolo sul modello cosmologico standard).

La parte iniziale del diagramma, invece, cioè quella per piccoli $redshift$, z < 0.2, è quella che delimita il valore della $costante di Hubble$ al tempo odierno. Se ci pensate un attimo infatti, avevamo visto in precedenza che la legge di Hubble è data proprio per le sorgenti relativamente vicine a noi, con un $redshift$ cosmologico basso. L’espansione dell’Universo è infatti non accelerata se ci manteniamo a distanze non troppo elevate rispetto a noi, cioè quelle del nostro ammasso di galassie e degli ammassi vicini come il Virgo e il coma. Dunque i dati delle supernovae ci consentono di ottenere i valori di percentuale di materia (sia barionica che oscura), di energia oscura, e la $costante di Hubble$ odierna dall’espressione stessa della distanza di luminosità.

Nella prima parte di questo articolo ci siamo comunque chiesti anche qualche altra domanda importante. In particolare, ci siamo chiesti come riusciamo a capire qual è la geometria dello spazio-tempo. Se ricordate, quando abbiamo presentato la distanza di luminosità per il modello cosmologico abbiamo specificato che essa era quella per uno spazio-tempo a geometria Euclidea (k=0). Abbiamo dunque tralasciato gli altri due casi, cioè per k= -1 e k = +1, che darebbero luogo a due distanze di luminosità con espressioni un pò diverse da quella vista. Perchè abbiamo fatto questa scelta? Vediamo di spiegarlo a seguire.

Ipotizziamo di fare la stessa operazione sui dati delle supernovae utilizzando le distanze di luminosità per k= +1 e k = -1. Otterremo altre due condizioni ottimali di valori per i costituenti di materia ed energia oscura. Tuttavia, tra le tre relazioni, cioè al variare di k, una in particolare sarà quella che riprodurrà meglio i dati rispetto alle altre due. Ciò che si trova di fatto è che la relazione per k = 0 è la migliore. Questo ci mostra che effettivamente i dati seguono una geometria di tipo Euclideo, e non diversamente.

Per verificare che effettivamente ciò che abbiamo trovato corrisponde alla condizione di geometria Euclidea dello spazio-tempo, dobbiamo ricostruire il valore del budget energetico totale Ωtot a partire dai due contributi, ΩΛ e ΩM.. Utilizzando i valori citati poco prima abbiamo che ΩtotΩΛ + ΩM = 0.7 + 0.3 = 1. Questo ci dice che il valore del budget totale è praticamente pari a quello dato dalla densità critica di energia dell’Universo, che abbiamo già introdotto nella prima parte. L’unica geometria possibile per questo caso è proprio quella Euclidea.

La seconda domanda che ci siamo posti è se questa geometria dello spazio-tempo può essere soggetta a cambiamento. Di fatto ciò non è possibile, perchè la geometria è determinata dalle condizioni iniziali dell’Universo, cioè dalla quantità di materia generata con la sua nascita e dal valore della densità di energia oscura, la quale è una costante al passare del tempo.

In un prossimo articolo vedremo di introdurre e studiare un modello cosmologico differente da quello standard, detto modello cosmologico con legge di potenza, che riesce a riprodurre i dati delle SNe Tipo Ia in modo altrettanto soddisfacente e senza la necessità di introdurre materia ed energia oscura per spiegare l’espansione accelerata!

 

Informazioni su Enrico Corsaro 88 Articoli
Nato a Catania nel 1986. Si laurea in Fisica nel 2009 e ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica nel 2013, lavorando presso l'Università di Catania e di Sydney, in Australia. Dopo il conseguimento del dottorato ha lavorato come ricercatore astrofisico presso l'Università Cattolica di Leuven, in Belgio, e continua ad oggi la sua carriera nel Centro di Energia Atomica e delle energie alternative di Parigi. Appassionato del cosmo e delle stelle fin dall'età di 7 anni, il suo principale campo di competenze riguarda lo studio e l'analisi delle oscillazioni stellari ed i metodi numerici e le applicazioni della statistica di Bayes. Collabora attivamente con i maggiori esponenti mondiali del campo asterosismologico ed è membro del consorzio asterosismico del satellite NASA Kepler. Nonostante il suo campo di ricerca sia rivolto alla fisica stellare, conserva sempre una grande passione per la cosmologia, tematica a cui ha dedicato le tesi di laurea triennale e specialistica in Fisica e a cui rivolge spesso il suo tempo libero con la lettura e il dibattito di articoli sui nuovi sviluppi del settore.

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20 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Enrico, se aspetto di leggere tutto, mi dimentico la domanda, perciò se più avanti lo spieghi ti chiedo scusa in anticipo. La domanda: Non capisco come un segnale luminoso che viaggia a velocità superiore alla velocità della luce, anche se dovuta all'universo in espansione, possa raggiungerci ed essere visto.

  2. Sarò io che sono fuori forma, ma confesso di aver fatto parecchia fatica a leggere l articolo. Mi sembra che sia più difficile del precedente e racchiude concetti sfumati che fatico ad integrare in una visione d insieme.
    Forse semplicemente ho sovra interpretato i contenuti...
    Comunque sia mi pare doveroso chiedere alcune delucidazioni che potrebbero in caso essere utili anche ad altri.
    Enrico, potresti definire brevemente i seguenti concetti (so che alcuni li hai già più o meno spiegati nell articolo ma a me continuano a risultare oscuri):

    1) cosa è il tempo cosmico standard? (Introdotto nella Sezione 3).

    2) non riesco proprio a capire cosa siano le candele standard (introdotte nella Sezione 2 e spiegate nella Sezione 5), o meglio, sì sono stelle, ma perchè sono cosi utili al modello lambda cmb? Quali sono le loro proprietà peculiari che le rendono oggetti di interesse?

    3) l espressione finale della distanza di luminosità del modello cosmologico standard per k=0 (introdotta nella Sezione 4) contiene dentro all integrale un valore z primo, che tu hai espressamente detto essere una variabile di integrazione da non confondere con il Red shift "classico" z.
    Cosa significa? Se non ho capito male z primo è semplicemente la derivata prima di z o sbaglio?

    4) non capisco cosa rappresenti la funzione S (introdotta nella Sezione 3).

    5) non capisco cosa rappresenti il simbolo r1 che compare nelle equazioni della Sezione 3.

    Grazie

  3. Citazione Originariamente Scritto da Gaetano M. Visualizza Messaggio
    Enrico, se aspetto di leggere tutto, mi dimentico la domanda, perciò se più avanti lo spieghi ti chiedo scusa in anticipo. La domanda: Non capisco come un segnale luminoso che viaggia a velocità superiore alla velocità della luce, anche se dovuta all'universo in espansione, possa raggiungerci ed essere visto.
    @Enrico Corsaro, anche a me questa cosa non torna: per quanto ne so, se lo spazio creato dall'espansione nell'unità di tempo supera la velocità della luce, la sorgente finisce immediatamente oltre la nostra sfera di Hubble, e diventa invisibile....

  4. Citazione Originariamente Scritto da Gaetano M. Visualizza Messaggio
    Enrico, se aspetto di leggere tutto, mi dimentico la domanda, perciò se più avanti lo spieghi ti chiedo scusa in anticipo. La domanda: Non capisco come un segnale luminoso che viaggia a velocità superiore alla velocità della luce, anche se dovuta all'universo in espansione, possa raggiungerci ed essere visto.
    Con calma...ho diviso l'articolo in sezioni anche per agevolare la possibilità di porre domande. L'articolo è lungo e ricco di concetti, per cui è comprensibile che possa essere un pò complicato. Magari per il futuro mi atterrò su qualcosa di più divulgativo, ma è anche bene per me capire le vostre impressioni per regolarmi di conseguenza ovviamente.

    La domanda che fai è sicuramente validissima e mi aspettavo che qualcuno la ponesse. Cercherò di spiegare la cosa nel modo più semplice possibile.
    Premetto che in questo articolo vengono discussi diversi aspetti spesso male interpretati e fuorvianti riguardanti la cosmologia del modello standard, e tra questi anche la velocità di recessione superluminale. Ne consiglio una lettura per i più curiosi.

    Il punto principale è la concezione di sistema di riferimento e l'inglobare la relatività generale nel nostro discorso. Non parliamo qui di correzioni relativistiche, previste dalla relatività speciale per oggetti in moto prossimo alla velocità della luce, quindi dimentichiamoci di correzioni di questo tipo e della relatività ristretta che in questo caso non c'entrano nulla. Focalizziamo l'attenzione sul redshift cosmologico e sulla relatività generale.

    Consideriamo una supernova che si sta allontanando da noi con una velocità superiore a quella della luce che misuriamo tramite il redshift ottenuto dagli spettri di luce. A causa dell'espansione dell'Universo una tale velocità non significa che la supernova si stia realmente muovendo a quella velocità ma che può essere lo spazio-tempo stesso in espansione a quella velocità. Nelle vicinanze della supernova potremmo infatti vederla anche perfettamente ferma.

    Allora sorge la domanda. Ma se la sfera di Hubble delimita l'Universo visibile imponendo che la velocità di espansione coincida proprio con la velocità della luce, perchè allora riusciamo a vedere oggetti che recedono a velocità superiori a quelle della luce? A primo acchito sembrerebbe che stiamo osservando oggetti al di là della sfera di Hubble. In realtà non è affatto così ed il motivo vediamo di capirlo a seguire.

    Il problema di avere a che fare con un redshift cosmologico è che la corrispettiva velocità di recessione che calcoliamo dipende oltre che dal redshift anche dall'istante di tempo a cui la calcoliamo la velocità (equazione 1 dell'articolo che vi ho citato). Noi vogliamo sapere quale sia la velocità di recessione ad oggi di certo, quindi al tempo attuale. Ma la luce emessa dalla sorgente non potrà mai essere quella emessa oggi! Semplicemente perchè la sorgente è molto molto distante da noi. Vedremo in pratica sempre e solo luce di tanto tempo fa provenire dalla sorgente.

    Quello che succede è che:

    1) si misura direttamente il redshift dagli spettri (e questo è un dato osservativo). Quel redshift tuttavia corrisponde alla luce al tempo in cui è stata emessa, e non ad oggi!
    2) si ottiene la velocità di recessione ad oggi (e non al tempo in cui la luce è stata emessa dalla sorgente), e questo dipende dalla relatività generale
    3) si trova che la velocità di recessione oggi è diventata superluminale

    Quindi noi non osserviamo direttamente velocità di recessione superluminali, ma solo redshift. Le velocità le ricaviamo sapendo che in quel tempo passato, la sorgente aveva quel determinato redshift e tenendo conto dell'espansione dell'Universo secondo le leggi fornite dalla relatività generale.

    Come giustamente dite, non potremmo mai osservare una sorgente che si allontana più veloce della luce semplicemente perchè la luce emessa da essa non avrebbe il tempo di raggiungerci. Ma siccome esiste anche il riferimento del tempo, e siccome più un oggetto è distante più la luce che osserviamo è antica, in un lontano passato quella supernova che vediamo oggi doveva sicuramente essere a portata di segnale elettromagnetico, e dunque la luce da lei emessa aveva avuto il tempo di raggiungerci.

    Possiamo dunque calcolare la velocità di recessione che aveva la sorgente quando ha emesso quella luce, e questo istante non coincide col nostro presente. Troveremo che quella velocità è sicuramente minore di quella della luce. Ma se poi calcoliamo la velocità di recessione ad oggi (che è poi ciò che desideriamo sapere), essa può tranquillamente essere divenuta superluminale nel frattempo, anche se continuiamo a vedere la sorgente. Il fatto che vediamo la sorgente ancora, non significa che essa nel frattempo non stia già allontanandosi più veloce della luce. Chiaramente più la sorgente è distante da noi, più la luce avrà impiegato tempo per raggiungerci e quindi più è probabile che la sorgente stessa abbia avuto tempo per raggiungere velocità di recessione superluminali.

    Sono riuscito a spiegare il concetto?

  5. Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    Sarò io che sono fuori forma, ma confesso di aver fatto parecchia fatica a leggere l articolo. Mi sembra che sia più difficile del precedente e racchiude concetti sfumati che fatico ad integrare in una visione d insieme.
    Bè certamente non potevo scrivere tutto il trattato della cosmologia standard in un articolo del genere per far comprendere ogni sfumatura e dettaglio. Mi rendo conto che sono concetti complessi, che sono tanti, e difficili da visualizzare spesso e che è molto arduo condensarli in un articolo divulgativo...sarà forse anche il motivo per cui in giro non si trovano descrizioni del genere...
    Mi sembri forse un pò deluso dal contenuto, probabilmente ti aspettavi qualcosa di molto più affascinante e di diretta comprensione. Il problema di base è che entrare più nel dettaglio delle operazioni richiede una buona conoscenza di molteplici concetti.
    Comunque tranquillo, l'articolo è disponibile qui proprio per essere discusso da tutti voi e quindi se vengono dubbi ben venga. Poi come dicevo prima io stesso cercherò di regolarmi meglio per i prossimi in modo da garantire un pubblico più ampio possibile.

    Veniamo alle tue domande.

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    1) cosa è il tempo cosmico standard? (Introdotto nella Sezione 3).
    Il tempo cosmico standard è la coordinata temporale della metrica di RW. é il tempo che inizia con l'inizio dell'Universo, a t = 0.

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    2) non riesco proprio a capire cosa siano le candele standard (introdotte nella Sezione 2 e spiegate nella Sezione 5), o meglio, sì sono stelle, ma perchè sono cosi utili al modello lambda cmb? Quali sono le loro proprietà peculiari che le rendono oggetti di interesse?
    Mi sono ripromesso di parlarne in un articolo a parte, a livello di fisica, formazione ed evoluzione. Comunque mi pare di aver spiegato perchè sono utili e qual è la proprietà importante. Queste sorgenti hanno una luminosità intrinseca con un valore ben preciso, che conosciamo e che ci permette quindi di ottenere direttamente la loro distanza! Quindi l'informazione utile qui è la distanza delle sorgenti. Si chiamano candele standard perchè brillano con una luminosità ben precisa e comune a tutte le supernovae dello stesso tipo.

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    3) l espressione finale della distanza di luminosità del modello cosmologico standard per k=0 (introdotta nella Sezione 4) contiene dentro all integrale un valore z primo, che tu hai espressamente detto essere una variabile di integrazione da non confondere con il Red shift "classico" z.
    Cosa significa? Se non ho capito male z primo è semplicemente la derivata prima di z o sbaglio?
    Purtroppo non era semplice da spiegare in un articolo del genere, ma diciamo che per farmi capire e fare contento magari i più curiosi ho deciso di mettere la formula. Devi avere bene in mente cosa sia un integrale per capirlo. z' non è la derivata, è solo una variabile. Potrei chiamarla anche a, b, o come preferisci tu. Il punto è che quell'integrale viene calcolato su tutti i valori di redshift che vanno da zero (cioè da noi ad oggi) fino al valore z della sorgente, e per farlo introduci una variabile dentro l'integrale, che in questo caso è stata chiamata z' per non confonderla con z, ma al contempo per ricordarti che quella variabile indica comunque un redshift.
    Spero sia più comprensibile così...

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    4) non capisco cosa rappresenti la funzione S (introdotta nella Sezione 3).
    La funzione S è una funzione triplice. S(x) diventa:
    sin(x) se k = +1 (seno trigonometrico)
    x se k = 0
    sinh(x) se k = -1 (seno iperbolico)
    dove k ti definisce la geometria dello spazio-tempo.

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    5) non capisco cosa rappresenti il simbolo r1 che compare nelle equazioni della Sezione 3.
    r_1 è la coordinata comovente della sorgente presa in riferimento per spiegare il calcolo.
    In generale la chiami r, coordinata radiale comovente.
    Essa è cioè una coordinata di uno speciale sistema di riferimento, detto sistema di coordinate cosmiche, ed è indipendente dal tempo. Per convertirla in una coordinata dipendente dal tempo consideri r * a(t), cioè la moltiplichi per il fattore di scala cosmico. Diciamo in altre parole che r indica la distanza tra due sorgenti senza che esista una evoluzione temporale dell'Universo, è cioè un valore fisso. Se poi moltiplichi per il fattore di scala, che ti dice proprio come l'espansione si evolve, allora quella diventa la coordinata della sorgente in un qualsiasi istante di tempo da te scelto.

  6. Aggiungo che ringrazio comunque tutti per i commenti e vorrei incoraggiare chiunque a fare domande, anche se pensate possano essere banali. Non sono qui per criticare nè bacchettare nessuno, ma semplicemente perchè mi fa piacere poter spiegare qualcosa per ciò che mi è possibile fare. Quindi non abbiate timore e chiedete pure tutto quello che vi viene in mente .

  7. Citazione Originariamente Scritto da Enrico Corsaro Visualizza Messaggio
    Bè certamente non potevo scrivere tutto il trattato della cosmologia standard in un articolo del genere per far comprendere ogni sfumatura e dettaglio. Mi rendo conto che sono concetti complessi, che sono tanti, e difficili da visualizzare spesso e che è molto arduo condensarli in un articolo divulgativo...sarà forse anche il motivo per cui in giro non si trovano descrizioni del genere...
    Si ma sai come dilettante non so quanto le mie domande siano mirate. Io ti chiedo tutto ciò che non capisco e che mi sembra importante per la comprensione del testo, quindi diciamo che all inizio non avendo dimestichezza con l argomento faccio domande random per tastare il terreno è sfoltire i dubbi principali e capire cosa è alla mia portata e cosa no. Mi rendo conto di essere un po pedante con tutte le mie domande e infatti cerco sempre di informarmi il più possibile per conto mio, ma alcune cose sembrano del tutto inesistenti sul web.e ovviamente capita anche che le fonti siano poco raccomandabili.
    mi sono accorto di averti posto domande un po stupidine questa volta, ma questo articolo mi sembra difficile... boh...

    Mi sembri forse un pò deluso dal contenuto, probabilmente ti aspettavi qualcosa di molto più affascinante e di diretta comprensione. Il problema di base è che entrare più nel dettaglio delle operazioni richiede una buona conoscenza di molteplici concetti.
    Comunque tranquillo, l'articolo è disponibile qui proprio per essere discusso da tutti voi e quindi se vengono dubbi ben venga. Poi come dicevo prima io stesso cercherò di regolarmi meglio per i prossimi in modo da garantire un pubblico più ampio possibile
    fidati, i tuoi articoli per me sono una manna dato che come hai giustamente osservato di queste cose non parla praticamente nessuno... oltre alle persone del forum io non conosco dal vivo astrofili e tanto meno coetanei appassionati alla cosmologia e all astrofisica.
    quindi io posso solo ringraziarti dell articolo e delle risposte.
    tra l altro mi rendo bene conto del fatto che certe nozioni sono fondamentali e non si può prescindere da esse per una completa comprensione del problema, quindi capisco che il dettaglio tecnico e sperimentale deve essere affrontato. Si poi forse ti sei reso anche conto che ho un interesse per queste cose più speculativo che pratico, comunque sia immagino che se tu hai sentito la necessità in questo articolo di affrontare il dettaglio tecnico - sperimentale un motivo ci sarà..

    ecco giusto qualche altra piccolissima precisazione.

    Il tempo cosmico standard è la coordinata temporale della metrica di RW. é il tempo che inizia con l'inizio dell'Universo, a t = 0.
    Si questo ok. Forse mi sono espresso male.
    Volevo dire che da come ho capito questo tempo cosmico standard è una coordinata indipendente da quelle spaziali e che vale per tutto l universo. Insomma sembra trattarsi di una coordinata assoluta. Io però credevo che spazio e tempo fossero dimensioni fortemente interconnesse, e che non si potessero scindere l una dall altra. Insomma le credevo entità relative e credevo che ogni punto dell universo avesse il suo spazio tempo.
    è lecito come dubbio o non ho capito nulla?


    Mi sono ripromesso di parlarne in un articolo a parte, a livello di fisica, formazione ed evoluzione. Comunque mi pare di aver spiegato perchè sono utili e qual è la proprietà importante. Queste sorgenti hanno una luminosità intrinseca con un valore ben preciso, che conosciamo e che ci permette quindi di ottenere direttamente la loro distanza! Quindi l'informazione utile qui è la distanza delle sorgenti. Si chiamano candele standard perchè brillano con una luminosità ben precisa e comune a tutte le supernovae dello stesso tipo.
    Aspetterò il prossimo articolo per non intasare ulteriormente la conversazione, ma c'è comunque qualcosa che mi sfugge..

    Purtroppo non era semplice da spiegare in un articolo del genere, ma diciamo che per farmi capire e fare contento magari i più curiosi ho deciso di mettere la formula. Devi avere bene in mente cosa sia un integrale per capirlo. z' non è la derivata, è solo una variabile. Potrei chiamarla anche a, b, o come preferisci tu. Il punto è che quell'integrale viene calcolato su tutti i valori di redshift che vanno da zero (cioè da noi ad oggi) fino al valore z della sorgente, e per farlo introduci una variabile dentro l'integrale, che in questo caso è stata chiamata z' per non confonderla con z, ma al contempo per ricordarti che quella variabile indica comunque un redshift.
    Spero sia più comprensibile così...
    Ok ok questa forse è proprio una di quelle cose da specialisti che per poterla capire a fondo bisogna avere a monte anni di esperienza.


    La funzione S è una funzione triplice. S(x) diventa:
    sin(x) se k = +1 (seno trigonometrico)
    x se k = 0
    sinh(x) se k = -1 (seno iperbolico)
    dove k ti definisce la geometria dello spazio-tempo.
    ok


    r_1 è la coordinata comovente della sorgente presa in riferimento per spiegare il calcolo.
    In generale la chiami r, coordinata radiale comovente.
    Essa è cioè una coordinata di uno speciale sistema di riferimento, detto sistema di coordinate cosmiche, ed è indipendente dal tempo. Per convertirla in una coordinata dipendente dal tempo consideri r * a(t), cioè la moltiplichi per il fattore di scala cosmico. Diciamo in altre parole che r indica la distanza tra due sorgenti senza che esista una evoluzione temporale dell'Universo, è cioè un valore fisso. Se poi moltiplichi per il fattore di scala, che ti dice proprio come l'espansione si evolve, allora quella diventa la coordinata della sorgente in un qualsiasi istante di tempo da te scelto.
    Ok ho capito cosa è r1 ma mi rimane strano il fatto che sia indipendente dal tempo, come dicevo nel primo punto. Al di là del fatto che poi si tenga conto dell espansione moltiplicando per il fattore di scala, mi sfugge questa indipendenza che hanno le coordinare spaziali rispetto quelle temporali... non so se è un dubbio lecito o meno e se entra troppo nel dettaglio o meno... questo melo devi dire tu..

  8. Citazione Originariamente Scritto da Enrico Corsaro Visualizza Messaggio
    Possiamo dunque calcolare la velocità di recessione che aveva la sorgente quando ha emesso quella luce, e questo istante non coincide col nostro presente. Troveremo che quella velocità è sicuramente minore di quella della luce. Ma se poi calcoliamo la velocità di recessione ad oggi (che è poi ciò che desideriamo sapere), essa può tranquillamente essere divenuta superluminale nel frattempo, anche se continuiamo a vedere la sorgente. Il fatto che vediamo la sorgente ancora, non significa che essa nel frattempo non stia già allontanandosi più veloce della luce. Chiaramente più la sorgente è distante da noi, più la luce avrà impiegato tempo per raggiungerci e quindi più è probabile che la sorgente stessa abbia avuto tempo per raggiungere velocità di recessione superluminali.
    Sono riuscito a spiegare il concetto?
    Enrico molto chiaro, grazie! Quando la luce è partita (quella che noi vediamo oggi) faceva parte del nostro cono visibile e l'espansione ha semplicemente provocato un allungamento dell'onda elettromagnetica (redshift!) restando visibile. Col tempo dovrebbe però uscire dal nostro campo di visibilità, è giusta questa considerazione?

  9. Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    quindi diciamo che all inizio non avendo dimestichezza con l argomento faccio domande random per tastare il terreno è sfoltire i dubbi principali e capire cosa è alla mia portata e cosa no [...] cerco sempre di informarmi il più possibile per conto mio, ma alcune cose sembrano del tutto inesistenti sul web.e ovviamente capita anche che le fonti siano poco raccomandabili.
    mi sono accorto di averti posto domande un po stupidine questa volta, ma questo articolo mi sembra difficile... boh...
    Giusto giusto...molte cose sono inesistenti sul web ma ci sono io a mediare anche per questo. Tuttavia trovi sempre tutto negli articoli di ricerca...solo che per ricercarli ci vuole più tempo e bisogna anche un pò sapere dove guardare.
    Penso che sarebbe stato più opportuno dividere l'articolo in ulteriori parti, in modo da non convogliare troppi concetti tutti insieme, per una prossima volta cercherò di limitarmi di più . In ogni caso siamo qui per discutere ed è gratis, quindi ben vengano le domande!


    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    quindi io posso solo ringraziarti dell articolo e delle risposte.
    tra l altro mi rendo bene conto del fatto che certe nozioni sono fondamentali e non si può prescindere da esse per una completa comprensione del problema, quindi capisco che il dettaglio tecnico e sperimentale deve essere affrontato.
    OK grazie! Certo, la parte osservativa è fondamentale, io sono un fisico non un matematico o un fisico teorico puro e pertanto reputo la parte pratica imprescindibile.


    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    Volevo dire che da come ho capito questo tempo cosmico standard è una coordinata indipendente da quelle spaziali e che vale per tutto l universo. Insomma sembra trattarsi di una coordinata assoluta. Io però credevo che spazio e tempo fossero dimensioni fortemente interconnesse, e che non si potessero scindere l una dall altra. Insomma le credevo entità relative e credevo che ogni punto dell universo avesse il suo spazio tempo.
    è lecito come dubbio o non ho capito nulla?
    Certo, una cosa è il tempo cosmico standard, o tempo assoluto, un'altra è il tempo proprio, cioè il tuo tempo locale. Il tempo proprio è soggetto a relatività generale e ristretta, il tempo standard è semplicemente una coordinata assoluta. Esso non cambia nè se tu viaggi prossimo alla velocità della luce, nè se ti trovi vicino ad un enorme buco nero che distorce tutto lo spazio-tempo intorno. E' un riferimento assoluto che ha inizio con l'inizio dell'Universo e niente di ciò che avviene all'interno dell'Universo può cambiare questo tempo. Infatti le teorie relativistiche si chiamano relatività proprio per un motivo, perchè gli effetti prodotti sono relativi al sistema di riferimento in gioco e non sono "assoluti".
    Il fatto che spazio e tempo siano interconnessi non significa che non puoi comunque definire delle coordinate ben distinte fra loro. Il mescolamento delle dimensioni ti da poi gli effetti che la RG descrive ma queste dimensioni devi comunque identificarle e sapere come si mescolano, e per identificarle ti servono delle coordinate...la RG non dà predizioni per magia certamente, ma le fornisce proprio perchè ti dice e ti descrive come le quattro dimensioni possono mescolarsi tra loro, cioè come le quattro coordinate descrivono la metrica dello spazio-tempo.

    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    Aspetterò il prossimo articolo per non intasare ulteriormente la conversazione, ma c'è comunque qualcosa che mi sfugge..
    chiedi pure, cosa ti sfugge?


    Citazione Originariamente Scritto da DarknessLight Visualizza Messaggio
    Ok ho capito cosa è r1 ma mi rimane strano il fatto che sia indipendente dal tempo, come dicevo nel primo punto. Al di là del fatto che poi si tenga conto dell espansione moltiplicando per il fattore di scala, mi sfugge questa indipendenza che hanno le coordinare spaziali rispetto quelle temporali... non so se è un dubbio lecito o meno e se entra troppo nel dettaglio o meno... questo melo devi dire tu..
    Il punto è proprio questo, sono coordinate, se scegli tu come reputi più opportuno, in base alle simmetrie del problema, in base a quanto ti possono semplificare le equazioni, i calcoli, ecc. Se sai che l'evoluzione temporale dell'Universo dall'equazione di Friedmann è descritta dal fattore di scala cosmico a(t), puoi definire delle coordinate spaziali che non dipendono dal tempo, cioè puoi disaccoppiare quella che è la dipendenza temporale inglobata nel fattore scala, da ciò che invece non lo è. Devi semplicemente immaginare che il sistema di coordinate sia definito per un Universo che è completamente privo della dimensione temporale.

  10. Citazione Originariamente Scritto da Gaetano M. Visualizza Messaggio
    Enrico molto chiaro, grazie! Quando la luce è partita (quella che noi vediamo oggi) faceva parte del nostro cono visibile e l'espansione ha semplicemente provocato un allungamento dell'onda elettromagnetica (redshift!) restando visibile. Col tempo dovrebbe però uscire dal nostro campo di visibilità, è giusta questa considerazione?
    Si praticamente è così, vediamo e misuriamo però sempre il redshift che corrisponde a quando quella luce è stata emessa, nel lontano passato. Non abbiamo alcun dato osservativo sulla luce emessa ora...semplicemente non è passato abbastanza tempo perchè possiamo osservarla, e non è detto che riusciremo neanche ad osservarla infatti. Il punto di salto in avanti nell'interpretazione si ha quando calcoliamo la velocità di recessione, che non è un dato osservativo.
    Per poterlo fare abbiamo bisogno di risolvere l'equazione di Friedmann e vedere esattamente come l'Universo si espande. Quindi da li troviamo che ad oggi la velocità di recessione deve essere tale. Questo può dare benissimo valori superluminali, anche se la sorgente è ancora visibile.
    In realtà comunque poi la velocità di recessione non viene utilizzata per i modelli, perchè il dato osservativo è sempre il redshift per questi casi, e la distanza ovviamente se parliamo di candele standard.