Teo, Procolo e la stella


Autobiografia di un Protone

Dov’ero rimasto? Ah già, nella nebulosa. Che bei ricordi di pace e tranquillità conviviale. E’ nella nebulosa che ho imparato a socializzare. Sarà stato il clima rilassato, non so, ma diventai particolarmente chiacchierone, e desideroso di conoscere i miei vicini. Fu così che trovai il mio primo vero amico: un protone come me, ma molto più estroverso e simpatico. Anche lui si portava dietro un elettrone, ma non sembrava dispiacergli, anzi, pareva essergli affezionato. Anche se non potevamo avvicinarci troppo, a causa della repulsione elettromagnetica, potevamo comunque comunicare facilmente. Con la sua simpatia mi conquistò, e in un certo senso mi contagiò. Fu lui ad affibbiarmi l’appellativo di “protone timidone”, e successivamente a darmi un vero nome. Diceva sempre: “Anche se siamo miliardi di miliardi di miliardi, ognuno di noi è diverso, ogni singolo protone, o elettrone o fotone è diverso, ha una sua storia e un suo futuro. La grande numerosità e la vastità del cosmo rischiano di farci perdere la nostra identità, ma non dimenticare mai che tu sei tu!” Così decise di darmi un nome, e scelse Proteo.

Non so come gli venne in mente, ma è curioso che oltre 10 miliardi di anni dopo, gli esseri umani in Grecia parlarono di una Divinità chiamata Proteo, che cambiava costantemente forma. Come noi protoni, infondo. Noi ci troviamo in mille forme diverse, ma siamo sempre noi stessi. Così io divenni per tutti Proteo, o per brevità, Teo. Per contraccambiare il favore, e per facilitare la nostra comunicazione in quel caos di particelle chiacchierone, anch’io diedi un nome a lui; mi venne in mente Procolo, un nomignolo simpatico e buffo, come lui.

L’incontro con Procolo fu essenziale per me. Mi fece comprendere quanto fosse importante l’amicizia degli altri. Anche per un protone, che può starsene facilmente da solo, a differenza dei neutroni o gli elettroni, l’unione fa la forza. Unirsi permette di creare atomi diversi, molecole complesse, e in futuro avrebbe permesso di dar vita alla vita! Anche se queste cose ancora non le conoscevo appieno, iniziai ad apprezzarle proprio lì, nella nebulosa, grazie al contatto con tanti amici, come Procolo.

Con la crescente curiosità per il prossimo, nella nebulosa nacque in me anche il desiderio di esplorare: una sete di sapere e sperimentare che diventava ogni giorno più intensa. Colpa di quei racconti di imprese da supereroi e avventure mozzafiato che ci narravano pieni di vanto quegli spacconi negli atomi giganti. Le loro storie mi stuzzicavano, fino a farmi diventare impaziente e irrequieto, desideroso di viverle anch’io. Perfino gli elettroni componenti gli atomi più grandi avevano storie da narrare. Quei piccoletti…erano più sapienti di me! Di un protone come me! Con il passar dei milioni di anni iniziai a diventare insofferente; e non solo io! Anche Procolo e i nostri vicini provavano la stessa sensazione di impazienza.

Forse per quello, non so, le cose cominciarono a cambiare nella nebulosa. Forti turbolenze iniziarono ad agitare la materia; violente rotazioni ci sbattevano qua e là, come dentro la centrifuga di una lavatrice. In quel turbine che sembrava non finire mai, purtroppo persi di vista Procolo. Andare a cercarlo era un’assurdità in quel marasma. Cercai di farmene una ragione – in fondo era impossibile pensare di stare insieme per sempre, in un universo in continuo cambiamento, soggetti a forze così irrefrenabili come la gravità. Eppure devo ammettere che per la prima volta, con la scomparsa di Procolo, provai un po’ di solitudine.

Non c’era tempo per la malinconia, però; stavano succedendo eventi sconosciuti e non bisognava abbassare la guardia. I vortici continuavano, e con essi notai che la temperatura scendeva, finché calò su di noi un gelo terribile, quasi 200 gradi sotto zero. Con quel freddo era più difficile muoversi e agitarsi. Il nostro moto rallentò, e provammo l’istinto naturale di avvicinarci sempre più gli uni agli altri. Formammo dei gruppetti di atomi, dapprima piccoli come granelli di polvere, poi sempre più grandi man mano che altri atomi si univano. Anch’io entrai a far parte di uno di questi granellini. Il freddo era più sopportabile, man mano che la materia si ammassava, i granelli si ingrandivano, e poi si univano gli uni agli altri, sempre di più, diventando un’unica palla di materia sempre più grande. Poiché la forza di gravità aumenta con l’aumento della massa (ad esempio, la gravità lunare è più debole di quella terrestre perché la luna è 4 volte meno massiccia della terra), l’attrazione tra la materia della nebulosa era sempre maggiore. Io e il mio elettrone occupavamo una posizione abbastanza esterna nella nebulosa, quindi pur essendo ammassati con gli altri eravamo ancora abbastanza liberi; ma gli atomi più interni, nel nucleo della nube, erano soggetti a una pressione enorme, che cresceva con l’aggiungersi di nuova materia al gruppo.

La fortissima pressione prodotta dalla gravità fece di nuovo aumentare la temperatura. Anche noi all’esterno avvertivamo il calore, ma all’interno doveva essere davvero torrido! Capii che stava per accadere qualcosa di straordinario, probabilmente i fenomeni di cui avevo sentito parlare dai componenti dei grandi atomi. Per la prima volta provai una certa preoccupazione per il mio elettrone – a modo mio gli volevo bene! Nella nebulosa avevo imparato a comunicare un po’ anche con lui, anche se non era facile per me trovare argomenti di conversazione; lo consideravo solo un bambino rispetto a me. Gli chiesi se aveva paura, e lui mi sorprese dicendomi spavaldo che era tranquillissimo: era sopravvissuto alla battaglia tra materia e antimateria, cosa poteva spaventarlo?
Improvvisamente accadde qualcosa di incredibile. il nucleo della nebulosa, ormai incandescente, iniziò a sprigionare un flusso continuo di abbaglianti fotoni. La materia si era accesa!

Ricordai le storie che mi erano state raccontate nellanebulosa, le collegai a tutte le esperienze che stavo cfacendo, e iniziai in qualche modo a capire. Questa era una stella. La gravità aveva compresso la materia così tanto che non poteva più comprimersi, perciò i nuclei degli atomi di idrogeno avevano cominciato a fondersi insieme, dando origine a nuclei di elio. La fusione libera energia, rilasciata sotto forma di fotoni, creando quindi la luce. In questo modo, la materia era di nuovo in equilibrio termico, cioè la tendenza a collassare, la gravità, era contrastata dalla pressione verso l’esterno prodotta dal rilascio di energia.
Il calore anche per noi sulla superficie era altissimo – oltre 20000 gradi, ma nel nucleo dovevano esserci milioni di gradi! Alle temperature in cui ci trovavamo, gli atomi non potevano più esistere; gli elettroni si separarono dai loro nuclei, e così fece anche il mio elettrone, che sparì nel turbinio della stella appena nata.

Ero di nuovo solo, senza elettrone. E senza Procolo. Solo per modo di dire: tutto intorno miliardi e miliardi di particelle sulla superficie della stella assistevano come me agli eventi. Chissà se anch’io avrei partecipato alla fusione nucleare, o se mi attendeva un altro destino. Non vedevo l’ora di scoprirlo, ma non potevo fare altro che aspettare. E a giudicare dai tempi cosmici, sapevo che avrei aspettato parecchio!


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1 Commento

  1. Ho una domanda per Proteo. 😀

    Proteo, tu che c’eri, mi puoi spiegare una cosa?
    Al tempo in cui le primissime stelle erano ancora in gestazione nelle primissime nebulose, queste nebulose che composizione avevano?