Marte secondo il cinema spagnolo

Pare che la mia prima recensione sia piaciuta… allora insisto!
In questo articolo tanto il film quanto la regista sono poco noti, anche se il film è citato in wikipedia: stavolta farò un po’ di spoiler, ma ne varrà la pena…


A metà discesa uno dei tre non ce la fa più e i due superstiti, la capa biondina e l’altro dell’equipaggio, arrivano finalmente alla fine del sentiero, dove si apre una grotta sospetta: ovviamente decidono di entrare, a costo di perdere ogni contatto con la capsula spaziale. Era l’unica strada percorribile (a meno di non risalire la scarpata, cosa che hanno subito escluso) ed è qui che a breve faranno la scoperta sconvolgente.

particolare delle grotte
particolare delle grotte
particolare delle grotte
particolare delle grotte

La grotta in realtà è un labirinto di cunicoli assolutamente non naturali, ma sicuramente artificiali e creati da un’antica razza aliena: avevano riempito le pareti di graffiti di vario genere ed indicato con frecce o croci i cunicoli in presenza di un bivio.

Il secondo superstite, oramai a corto d’aria, decide di togliersi il casco, per scoprire che lì l’aria è respirabile: subito la biondina lo segue nella mossa apparentemente suicida, liberandosi così dell’inutile fardello dei due serbatoi d’aria ormai vuoti. E così, girovagando tra i cunicoli, scoprono con dispiacere che in un certo cunicolo non c’è più ossigeno (che viene altrove mantenuto grazie alle anomalie gravitazionali) e la scoperta è deleteria per il secondo sopravvissuto. Quel cunicolo era segnalato da una croce.

la luce alla fine del tunnel
la luce alla fine del tunnel
scheletri di alieni
scheletri di alieni

Rimasta sola, la capa biondina continua a girovagare evitando i cunicoli pericolosi e di lì a breve (si fa per dire, vista la lungaggine e la ripetitività delle sequenze) scopre dapprima uno e poi decine di scheletri degli alieni che avevano fabbricato il labirinto. E alla fine di un tunnel una luce… il Sole.

Nel frattempo il simpatico Baglioni ed il medico di bordo scoprono una falla nella pressurizzazione della cabina, realizzando che avrebbero soltanto un paio di giorni di vita. Allora lui (il marpioncello) fa le avance alla tipa per finire la propria esistenza nel modo più gioioso ed antico del mondo, ma lei di rimando lo rimprovera ed a fatica riesce a convincerlo ad intraprendere insieme la passeggiata, alla ricerca dei colleghi, dei quali non avevano avuto più notizie.

La biondina intanto esce dal tunnel e si ritrova in una spianata tra i monti in cui è presente ossigeno e lì vicino c’è addirittura un laghetto: era l’habitat di quella razza aliena fino a che era rimasta in vita.

Gli altri due escursionisti, senza nemmeno l’ausilio di una mappa, riescono a ripercorrere il sentiero battuto dai colleghi ed in un attimo arrivano pure loro alla grotta: in un batter d’occhio (si vede che erano più intelligenti!) si presentano nella radura, dopo aver superato le insidie del labirinto, gli incroci e gli scheletri. Almeno così intuiamo, visto che per fortuna la regista non ci ha riproposto un’estenuante passeggiata nella grotta-labirinto.

Finalmente i tre superstiti si possono riabbracciare. E così, naufraghi in questa isola piena di ossigeno, ma in mezzo ad un mondo notoriamente ostile, si sarebbero attrezzati in qualche modo per sopravvivere fino all’arrivo dei soccorsi. Come faranno i soccorsi a trovarli, viene lasciato all’immaginazione dello spettatore, visto che non è previsto un sequel… forse qualche segnale di fumo… chissà…

A questo punto, partendo dall’immagine che riprende i tre superstiti, la macchina da presa fa uno zoom all’indietro (tipico di parecchi ottimi documentari di Piero Angela) svelando poco a poco che la zona dove ora si trovano è solo una parte di un centro abitato, costellato di antichissime case scavate nella roccia. Zoomando sempre di più all’indietro, si sale verso l’orbita marziana uscendo dalla Valles Marineris: la camera si allontana definitivamente da Marte e appaiono i titoli di coda.

Tiriamo le somme

Di questo film, come detto, mi aveva colpito proprio la sequenza finale: mi ero sempre riproposto di verificare con le foto di Marte scattate dalle sonde spaziali, quanto ci fosse di vero nella finzione scenica. Ora mi si è presentata l’occasione di farlo ed allora, appena finita l’altra recensione, ho iniziato a raccogliere materiale.

In questo caso è ovvio che la zona all’interno della Valles Marineris è puramente inventata (anche se quella specie di struttura reticolare effettivamente esiste su Marte, ma in un’altra zona) ed io mi sono divertito a vedere quanto fosse stata inventata! Grazie a Celestia, le cui mappe in alta risoluzione provengono da immagini realizzate dalle sonde della NASA, ho scattato qualche foto della vallata dove ovviamente non c’è l’insediamento alieno, ma una zona molto frastagliata e ricca di caratteristiche geologiche. Se lo guardate in alta risoluzione (cliccando sulla  foto) potrete gustare la ricchezza di particolari e divertirvi a trovare dove era posizionato l’insediamento alieno.

Particolare della Valles Marineris per mezzo di Celestia
Particolare della Valles Marineris per mezzo di Celestia

Allontanandomi di più ho ottenuto questa immagine, con la quale ho replicato l’ultima scena del film.

Marte ripreso dall'orbita
Marte ripreso dall’orbita

Come si può notare mettendo in pausa il filmato, i tecnici della “Cine Effecto” hanno fatto un discreto lavoro, partendo anche loro da immagini presenti all’epoca, praticamente modificandole con appositi programmi di editing.

Per quanto riguarda Phobos, la foto realizzata dalla sonda Viking 1

l'aspetto di Phobos ripreso da una sonda spoaziale
l’aspetto di Phobos ripreso dalla sonda americana Viking 1

mostra l’aspetto del satellite con il grande cratere che si vede pure nel film: è quello che si osserverebbe dal suolo marziano con un ausilio ottico. Ricordo infine che, come la nostra Luna, anche Phobos presenta sempre la stessa faccia a chi lo osserva dalla superficie, avendo un’orbita sincrona.

 

Informazioni su Pierluigi Panunzi 567 Articoli
Classe 1955, sono nato e vivo a Roma, laureato in Ingegneria Elettronica, in pensione dopo aver lavorato per anni nel campo del software, ma avrei voluto laurearmi in Astronomia. Coltivo la passione per l’astronomia dal giorno successivo allo sbarco dell’uomo sulla Luna, maturando un interesse sempre crescente per la Meccanica Celeste, il moto dei pianeti, la Luna e i satelliti. Da molti anni sono divulgatore scientifico e in passato ho presieduto a serate astronomiche organizzate a Roma e paesi vicini. Da parecchi anni mi sto perfezionando nell’astrofotografia grazie all’auto-regalo di varie apparecchiature digitali

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2 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. ho trovato una bella foto (da parte delle sonde NASA nel 1972) della zona australe di Marte in cui esiste una struttura decisamente circolare: una parte, a destra nella foto, è proprio quella citata nel film e dalla quale hanno tratto la forma per il labirinto alieno...
    Allegato 14469
    alla NASA da subito avevano battezzato questa zona Inca City

    le foto ad altissima risoluzione invece ovviamente non mostrano alcun tipo di struttura!
    Allegato 14470

  2. Bé, struttura, nel senso di pattern riconoscibile, c'è eccome! E vistosa, direi.

    Solo che non vi è alcun elemento (a voler fare sempre doverosamente i possibilisti) che faccia propendere concretamente per il risultato di un'azione deliberata da parte di un essere vivente cosciente e costruttore.

    Probabilmente dev'essere sfuggita ai "sostenitori senza se e senza ma a prescindere" delle civiltà aliene nel giardino di casa, altrimenti vi avrebbero già scorto mura ciclopiche di antiche monumentali vestigia poi sepolte dalla sabbia portata dal vento marziano. Magari muraglioni eretti per costituire grandi riserve d'acqua su una superficie marziana che stava diventando più arida... o i bastioni di antichi forti... figuriamoci. Qui per la pareidolia è come invitare una lepre a correre!

    Ricordo a me stesso che le fratturazioni su grande scala prodotte da un impatto su un substrato relativamente regolare e ben stratificato hanno di norma un andamento radiale/anulare insieme; cosa che utilizzando un reticolo grafico da lui disegnato sovrapposto ai "centri" che gli sembrava di poter individuare su normalissime carte geografiche consentì a mio padre, pur giurista di formazione, di "dimostrare" la natura blastica di sospetti crateri meteoritici.

    TUTTI quelli che lui giunse a conclusione poter avere quell'origine, che prima di allora o dopo vennero esaminati per quanto attiene alla presenza di impattiti e con l'analisi della direzione di stress (microtettonica), risultarono avere effettivamente quell'origine.

    Ora, le due foto che tu posti sono interessantissime. Andrebbero approfondite: parrebbe che la macrostruttura possa essere di impatto, ma la si potrebbe giustificare anche come le direzioni di fratturazione da stress causate dalla cupola di un domo salino in risalita idrostatica dal di sotto dei sedimenti soprastanti (quel che accade oggi continuamente e inesorabilmente sul fondo del Tirreno, memorie della crisi di salinità del periodo Messiniano). In quel caso sarebbe alla base di un'importante scoperta a conferma, perché amplierebbe la valutazione su quanta acqua (quanta, non se) ci fosse su Marte prima che la perdesse quasi tutta, e quanto a lungo avesse agito un ciclo dell'acqua con dilavamento dei suoli e presa in carico di sali.