Credevo fosse un Giove e invece era una stella

Una campagna osservativa, durata cinque anni, condotta con lo spettrografo SOPHIE mostra che, fra i candidati pianeti giganti individuati dalla sonda Kepler della NASA, i falsi positivi sono più della metà. Aldo Bonomo (INAF Torino): “Si tratta perlopiù di stelle binarie a eclisse”

Il dubbio era nell’aria. Tanto che gli astronomi, nei casi incerti, anteponevano sempre la precisazione “candidati”, quando di volta in volta annunciavano un incremento del numero di pianeti extrasolari individuati dalla sonda Kepler della NASA. C’erano dunque i pianeti confermati, a oggi oltre un migliaio, e quelli in attesa di conferma, i candidati appunto, di gran lunga più numerosi. Quello che però nemmeno i più pessimisti avevano messo in conto era quanto fosse elevata la percentuale di falsi positivi, per lo meno fra i pianeti giganti con periodo orbitale fino a 400 giorni: oltre il 50%, rivela ora uno studio in corso di stampa su Astronomy & Astrophysics.

Rappresentazione artistica di 51 Pegasi b, il primo esopianeta mai scoperto (nel 1995) in orbita attorno a una stella normale. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger
Rappresentazione artistica di 51 Pegasi b, il primo esopianeta mai scoperto (nel 1995) in orbita attorno a una stella normale. Crediti: ESO/M. Kornmesser/Nick Risinger

«Da studi precedenti ci si attendeva una frequenza di falsi positivi significativamente più bassa», dice uno degli autori dello studio, Aldo Bonomo, ricercatore allOsservatorio astrofisico dell’INAF di Torino. «Ci sono state stime in letteratura del 10-20 percento, mentre qui siamo almeno a un fattore due più grande, anche un fattore tre».

Per giungere a questa sconcertante conclusione, il team internazionale di astronomi del quale Bonomo fa parte, guidato da Alexandre Santerne dell’università portoghese di Porto, ha seguito per oltre cinque anni, dal 2010 al 2015, con lo strumento SOPHIE – uno spettrografo installato sul telescopio da due metri dell’Osservatorio dell’Alta Provenza – un campione di 129 fra i candidati giganti di Kepler. A differenza di Kepler, che si affida al metodo dell’occultazione, rilevando dunque le eclissi parziali prodotte dal transito periodico dei pianeti fra noi che li osserviamo e la loro stella madre, per individuare gli esopianeti SOPHIE si avvale della misura delle variazioni della velocità radiale delle stelle stesse, variazioni indotte dalla forza di gravità esercitata dai pianeti in orbita.

Il campione di candidati pianeti rilevati dal telescopio spaziale Kepler selezionati per lo studio con realizzato con SOPHIE. Crediti: Santerne et al.
Il campione di candidati pianeti rilevati dal telescopio spaziale Kepler selezionati per lo studio con realizzato con SOPHIE. Crediti: Santerne et al.

Ebbene, proprio grazie ad aver utilizzato un metodo radicalmente diverso, autonomo e in qualche modo complementare rispetto a quello di Kepler, i dati di SOPHIE hanno consentito di discriminare fra i diversi responsabili delle occultazioni. E di smascherare così chi è stato a trarre in inganno Kepler: nane brune (nel 2.3% dei casi) e, soprattutto, stelle binarie a eclisse (nel 52.3% dei casi). «Si tratta di stelle doppie, o a volte anche stelle che fanno parte di sistemi tripli», spiega Bonomo, «che in determinate condizioni possono produrre un segnale molto simile a quello di un transito planetario».

I prossimi a finire nel mirino saranno i candidati esopianeti più piccoli, comprese le cosiddette superterre. Nel loro caso, prevede Bonomo, la percentuale di falsi positivi dovrebbe essere assai più contenuta. L’ultima parola, comunque, spetta alle misure, che saranno condotte questa volta anche con HARPS-N, lo spettrografo montato sul Telescopio Nazionale Galileo dell’INAF, alle Canarie.

Informazioni su Enrico Corsaro 88 Articoli
Nato a Catania nel 1986. Si laurea in Fisica nel 2009 e ottiene il titolo di dottore di ricerca in Fisica nel 2013, lavorando presso l'Università di Catania e di Sydney, in Australia. Dopo il conseguimento del dottorato ha lavorato come ricercatore astrofisico presso l'Università Cattolica di Leuven, in Belgio, e continua ad oggi la sua carriera nel Centro di Energia Atomica e delle energie alternative di Parigi. Appassionato del cosmo e delle stelle fin dall'età di 7 anni, il suo principale campo di competenze riguarda lo studio e l'analisi delle oscillazioni stellari ed i metodi numerici e le applicazioni della statistica di Bayes. Collabora attivamente con i maggiori esponenti mondiali del campo asterosismologico ed è membro del consorzio asterosismico del satellite NASA Kepler. Nonostante il suo campo di ricerca sia rivolto alla fisica stellare, conserva sempre una grande passione per la cosmologia, tematica a cui ha dedicato le tesi di laurea triennale e specialistica in Fisica e a cui rivolge spesso il suo tempo libero con la lettura e il dibattito di articoli sui nuovi sviluppi del settore.

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8 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Io do un po' di tempo partecipo ad uno dei
    vari settori dell'associazione di cui faccio parte,
    che è proprio quello dei pianeti extrasolari,
    sfruttando il metodo dei transiti.
    Ho girato subito questa notizia ai miei compagni.
    Grazie.

  2. Diversificare gli investimenti è sempre una buona cosa.
    In ogni caso il risultato mi pare abbia, più che un affinamento dell'accuratezza nell'uso di metodi complementari, un valore statistico con ricadute sulle teorie della genesi planetaria di giganti gassosi.

  3. Osservazione interessante. In realtà comunque la risposta è no, ovvero non ha implicazioni sulla formazione di giganti gassosi ma è un importante segnale di allarme. Bisogna prestare attenzione nei processi di verifica e consolidamento di un risultato di questo tipo. Quando si ha un candidato pianeta, è necessario condurre attente indagini prima di poter concludere che il candidato sia realmente un pianeta o meno.
    Questo studio ci fa capire quanto sia facile potersi sbagliare e quindi quanto sia importante fare uso di metodi di verifica differenti e complementari a quello del transito fotometrico.

  4. Questo in fondo semplifica molto l'interpretazione, stante che parecchi dei candidati a pianeta sembravano dotati di massa tanto, tanto, ma tanto grande da porsi il problema se la valutazione della massa minima necessaria per innescare le prime reazioni nucleari H-He fosse da rivedere.

    Se invece i più grossi si rivelano stelle semplicemente... drasticamente meno luminose della compagna principale, tutto in fondo torna.

    Ma non pensate che questa osservazione riduca di molto il numero dei pianeti che via via si scopriranno, anzi: attorno alle stesse stelle che abbiamo accertato avere sistemi planetari, al momento osserviamo solo quelli più grandi. Pianeti rocciosi da 5.000-15.000 km di diametro per ora credo non siano alla nostra portata, e chissà quanti sono...

    Ormai si può con prudenza iniziare ad affermare che per una stella di medie dimensioni avere dei pianeti è un fatto sostanzialmente più probabile che non averne affatto.

  5. Citazione Originariamente Scritto da Valerio Ricciardi Visualizza Messaggio
    Pianeti rocciosi da 5.000-15.000 km di diametro per ora credo non siano alla nostra portata, e chissà quanti sono...
    Cade all'uopo la recente proclamazione da parte della IAU sul vincitore italiano (?) per la designazione dei nomi di pianeti extrasolari nell'ambito del concorso NameExoWorlds e che va al Planetarium Alto Adide Sud Tirol per la proposta sul sistema di PSR B1257+12, prima pulsar per cui sono stati scoperti pianeti extrasolari. Di questi in particolare, il pianeta A(b) è un pianeta roccioso più piccolo della Terra (0,020 ± 0,002 M⊕) e l'ultimo D(e) addirittura potrebbe essere una cometa od un'asteroide. Unica pecca che la designazione dei nostri concittadini sud-tirolesi (e la conseguente scelta dei maggiorenti dell'associazione internazionale) sia ricaduta su nomi della tradizione norrenica che hanno a che fare col mondo dei morti (tranne l'ultimo legato alla classicità greca): Lich, Draugr, Poltergeist e Fobetore; mentre inascoltata è rimasta la proposta del Planetario di Roma che si rifaceva ad una più nostrana tradizione latina.

  6. Sono d'accordo con quanto dici.
    Non dimentichiamo che i pianeti di tipo terrestre sono la stragrande maggioranza dei pianeti esistenti. Ne abbiamo trovati meno fin'ora solo perchè è più difficile osservarli sia a causa delle ridotte dimensioni sia per i loro semiassi orbitali più piccoli, che li collocano dunque più vicini alla stella.

    Comunque il risultato di questo articolo non va ad intaccare la rosa di pianeti già confermata. C'è sempre da dire che il processo di conferma di un candidato planetario è molto rigido e lungo.

    Con Kepler comunque non sono neanche così pochi oramai i pianeti di piccola taglia, se ne contano già diverse centinaia. Il vero balzo in avanti si avrà con la missione ESA PLATO che speriamo possa passare la seconda fase di selezione (ha già superato la prima) ed essere così lanciata in orbita per il 2024.