Descrivere un mondo partendo da un punto luminoso

Le osservazioni interessantissime di Lorenzo Franco e i ricordi dell’inizio della mia vita di planetologo mi hanno stimolato a raccontare vari dettagli sugli studi degli asteroidi, soprattutto legati ai miei filoni di ricerca. Un modo di sentirsi meno vecchio? Forse sì, ma i piccoli pianeti restano giovani, pimpanti e carichi di interesse astrofisico.

Come si ottiene il periodo di rotazione, attorno al proprio asse, di un asteroide? E’ semplicissimo rispondere. Basta misurare il flusso di luce che riceviamo e costruire la relativa curva di luce in funzione del tempo. Dato che gli asteroidi emettono solo luce riflessa e sono corpi di forma irregolare, la quantità di luce che inviano verso terra dipende soltanto dalla superficie apparente che mostrano all’osservatore. Durante la rotazione completa questa cambia continuamente, passando da un massimo di luce (area massima) a un minimo (area minima) e poi ancora a un massimo e a un altro minimo (Fig. 1).

curva di luce
Figura 1. La curva di luce di un asteroide, ottenuta dal nostro amico Lorenzo Franco

Questa doppia onda è tipica delle forme irregolari. Se avessimo una sfera mezza chiara e mezza scura avremmo, invece, solo un massimo e un minimo di luce (come, ad esempio, capita per Vesta).

Le osservazioni fotometriche, quelle che svolge in modo eccellente Lorenzo Franco, permettono di stabilire in una sola notte, o, più frequentemente in una serie di notti, la curva di luce completa dell’oggetto celeste. Il periodo di rotazione è la durata di tempo che intercorre tra un massimo (o minimo) e la sua successiva apparizione. Normalmente, quasi tutti gli asteroidi sono di forma irregolare e quindi le loro curve di luce complete sono caratterizzate da due massimi e da due minimi per periodo.

Se ci pensate bene, già questo risultato è ammirevole: l’analisi della luce inviataci da un punto che appare tale anche con i maggiori telescopi, permette di conoscere un’entità fisica come il periodo di rotazione. Non è stata conquista da poco e io sono estremamente contento e onorato di aver fatto parte del limitato numero di pionieri di questa “semplice” tecnica osservativa applicata ai piccoli corpi del sistema solare (anni ’70). Oggi, è alla portata di tutti, ma continua a regalare dati di estrema importanza per lo studio dell’evoluzione fisica della fascia asteroidale.

Queste cose, però, le sapete già abbastanza. Tuttavia, lo studio della curva di luce va ben oltre. Può, sotto certe ipotesi non eccessivamente restrittive, permettere la ricostruzione della forma “generale” del corpo celeste e la direzione del suo asse di rotazione. Parametri, tra l’altro, molto importanti per lo studio dell’evoluzione del momento angolare e della forma dei frammenti di un corpo andato catastroficamente distrutto. Vi prego di ricordare che proprio la forma di alcuni asteroidi medio-grandi ci aveva permesso di individuare gli ellissoidi a tre assi e la struttura ad “ammasso di pietre”, oggi universalmente riconosciuta (qui).

Mentre la determinazione del periodo di rotazione è normalmente rapida e facile (una volta bastava un buono fotometro fotoelettrico, oggi un buon CCD), più complicata è la determinazione della forma e dell’asse di rotazione. In questo articolo voglio raccontarvi uno dei vari metodi, quello che ho usato più spesso, in quanto messo a punto proprio da me (ah… ah… ah…) e che risulta anche il più semplice da spiegare geometricamente e senza utilizzare formule più o meno complicate.

L’ipotesi fondamentale che bisogna fare per poter arrivare a un risultato accettabile è che la forma dell’asteroide sia assimilabile a un ellissoide a tre assi (a>b>c), rotante attorno al semiasse minore c. Attenzione! Questo non vuol dire che tutti gli asteroidi siano forme di equilibrio come i LASPA (qui), ma solo che, come tutti i frammenti collisionali, hanno forme più o meno allungate e non simmetriche. La rotazione intorno all’asse minore è comprovata dalla teoria e dalla casistica, e si lega a condizioni che si riferiscono al momento angolare. Le forme a tre assi sono più che giustificabili, guardando i sassi di una spiaggia ciottolosa in cui il mare abbia smussato gli angoli delle pietre (Fig. 2).

sassi
Figura 2. Sassi che il mare ha consumato…. Bellissimi ellissoidi a tre assi.

Ammettiamo, quindi, che il nostro asteroide si presenti come un ellissoide a tre assi, rotante attorno all’asse minore. Magnifico. Tuttavia, noi continuiamo a vedere, da terra, solo un punto luminoso e quindi l’ellissoide può essere orientato in qualsiasi modo nella sua posizione celeste.

La sua prima curva di luce, in genere, ci aiuta già a capire la forma grossolana: se l’ampiezza, ossia la differenza tra massimi e minimi, è abbastanza rilevante vuol dire che l’ellissoide è piuttosto allungato. Come mai? Presto detto. Prendiamo ad esempio un oggetto che abbia l’asse di rotazione perfettamente perpendicolare alla linea di vista.

ellissoide a tre assi rotante
Figura 3. In alto un ellissoide a tre assi visto dalla direzione dell’asse polare. Durante la sua rotazione l’area rimane costante. Se, invece, viene visto dalle posizioni 1, 2, 3, 4 l’area cambia continuamente e passa da un minimo a un massimo. Come conseguenza, durante un intero periodo di rotazione d’identificano due massimi e due minimi di luce.

L’area della superficie ellittica vista da terra passerà da un minimo (1) quando si vede l’asse intermedio b (πbc) a un massimo (2) (dopo novanta gradi di rotazione) quando si vede l’asse maggiore a (πac). Poi, dopo altri 90°, di nuovo πbc (3), seguita da πac (4), per concludersi, infine, nuovamente con πbc (1). L’asse minore c si vedrà sempre, proprio perché l’asse di rotazione è perpendicolare alla linea di vista.

Ricordiamo, ovviamente, che l’area di un ellisse è data proprio da π moltiplicato per i due assi. Quanto detto è rappresentato in Fig. 3, dove nella parte alta vi è l’ellissoide visto dal polo (e quindi l’ellisse mostra proprio gli assi maggiori a e b), mentre le due rappresentazioni sottostanti si riferiscono agli istanti 1, 2, 3, 4 come descritto nel testo. Nel caso della figura si potrebbe immediatamente risalire al rapporto tra gli assi maggiori dell’ellissoide (a/b), scrivendo la formula (ormai ben conosciuta da tutti):

m2 – m1 = ampiezza = – 2.5 log Amax/Amin = – 2.5 log (πac/ πbc) = – 2.5 log (a/b)

notando che m2 – m1 è proprio l’ampiezza della curva di luce in quanto è la differenza di magnitudine tra massimo e minimo, mentre l’intensità luminosa che entra nel logaritmo è, nel caso di luce riflessa, proporzionale solo all’area apparente vista dall’osservatore. In altre parole, più uno “specchio” è grande e più luce riflette.

Se fossimo sicuri di essere nelle condizioni della Fig. 3 avremmo già ottenuto un risultato importante. Purtroppo esso è solo un caso fortunato, che, però, si verifica sempre (prima o poi) per qualsiasi asteroide e per qualsiasi orientazione del suo asse di rotazione. Basta avere pazienza. Ora vi mostro perché…

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2 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Caro Enzo, veramente un'ottimo lavoro! MOLTO interessante! Lo farò leggere alla mia piccolina, che non sopporta la geometria perchè non ne capisce l'utilità.....

  2. Ciao Enzo,
    bellissima spiegazione ... non si potrebbe fare di meglio ... semplice e chiara.
    Mi sembra importante citare, come caso d'uso concreto, l'articolo osservativo sull'argomento dello scorso settembre (qui).

    Saluti
    Lorenzo Franco