Oscillazioni solari nel riflesso di Nettuno

Il pianeta più esterno del Sistema solare è stato utilizzato come specchio naturale per captare la luce della nostra stella e ricavare, grazie agli strumenti di Kepler, informazioni sulle oscillazioni che avvengono al suo interno. Nel team internazionale di astronomi che ha condotto l’indagine c’è anche il “nostro” Enrico Corsaro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, fellow del programma AstroFIt2 e fra i principali collaboratori di questo lavoro. Vi rimando a lui per le eventuali domande.

Non solo cacciatore di nuovi mondi. Non solo esploratore della struttura interna di migliaia di stelle lontane. Ora Kepler, la missione della NASA dedicata alla ricerca di pianeti extrasolari, diventa anche un prezioso strumento per studiare le oscillazioni del nostro Sole – segni rivelatori di ciò che accade nelle sue recondite profondità – che si manifestano in lievissime variazioni nell’intensità della luce emessa. Per farlo, i ricercatori hanno puntato i sensibilissimi strumenti di Kepler, in grado di percepire variazioni di luminosità dell’ordine di un milionesimo di magnitudine, non direttamente verso il Sole stesso, ma addirittura verso Nettuno. Il perché di questa scelta è presto spiegato: il fotometro di Kepler è progettato per registrare le variazioni di luminosità provenienti da stelle distanti decine, centinaia o addirittura migliaia di anni luce da noi. Puntarlo direttamente verso il Sole, estremamente più vicino e brillante, avrebbe prodotto solo un danneggiamento permanente della strumentazione. Così gli astronomi hanno pensato di aggirare l’ostacolo sfruttando l’atmosfera del gelido pianeta ai confini del nostro sistema planetario come uno specchio naturale, in grado di riflettere la quantità di luce solare giustogiusto adatta alle misure di Kepler.

Immagine artisica
Immagine artisica

L’idea di osservare e studiare le oscillazioni solari riflesse nell’atmosfera di un pianeta del nostro Sistema solare non è in realtà nuova: vari tentativi sono stati fatti con telescopi da Terra circa 35 anni fa, ma senza alcun successo. Ciò è stato dovuto al fatto che le oscillazioni del Sole hanno una ampiezza piccolissima, dell’ordine del milionesimo di magnitudine, ed osservarle nella luce riflessa da un altro oggetto celeste rappresenta una sfida tutt’altro che semplice, principalmente a causa dalle variazioni irregolari di luminosità indotte dallo stesso oggetto celeste. Ma con l’entrata in funzione di Kepler le cose sono cambiate, e ovviamente in meglio: conti alla mano, l’impresa non è più apparsa così estrema, e così il satellite è stato puntato verso Nettuno per 49 giorni consecutivi tra dicembre del 2014 e febbraio del 2015, misurando ogni minuto la sua luminosità, frutto appunto della radiazione solare riflessa dalla sua atmosfera. I risultati di questa campagna osservativa sono stati raccolti e accuratamente analizzati da un team di scienziati guidati da Patrick Gaulme della New Mexico State University. L’indagine ha così permesso di ottenere la prima misura delle oscillazioni del

Sole nella luce riflessa da un corpo celeste. Fra i principali collaboratori di questo lavoro, pubblicato sulla rivista The Astrophyisical Journal Letters, c’è Enrico Corsaro, fellow del programma AstroFIt2 presso l’INAF-Osservatorio Astrofisico di Catania, che ha sviluppato specifici metodi numerici per l’analisi delle oscillazioni stellari, comprese quelle del Sole.

La potenza della variazione di luminosità in funzione della frequenza mostra la presenza di un chiaro aumento del segnale nella regione intorno ai 3 mHz (indicata dalla freccia), dovuta alle oscillazioni solari. Il segnale oscillatorio è molto contrastato per i dati VIRGO del Sole (in verde) ma solo appena visibile per i dati di Kepler (K2) provenienti dala luce riflessa da Nettuno (in grigio) a causa del ben più elevato livello di rumore del segnale. I risultati del fit sono mostrati dalla linea arancione, sovrapposta ad una curva in nero che mostra l’andamento del livello di rumore nei dati K2. Crediti: P. Gaulme
La potenza della variazione di luminosità in funzione della frequenza mostra la presenza di un chiaro aumento del segnale nella regione intorno ai 3 mHz (indicata dalla freccia), dovuta alle oscillazioni solari. Il segnale oscillatorio è molto contrastato per i dati VIRGO del Sole (in verde) ma solo appena visibile per i dati di Kepler (K2) provenienti dala luce riflessa da Nettuno (in grigio) a causa del ben più elevato livello di rumore del segnale. I risultati del fit sono mostrati dalla linea arancione, sovrapposta ad una curva in nero che mostra l’andamento del livello di rumore nei dati K2. Crediti: P. Gaulme

 

Qui il video K2 Observes Neptune in a Dance with Its Moons.

Queste oscillazioni sono costituite da onde acustiche che si propagano all’interno delle stelle e che ne deformano la struttura, rimanendo però visibili alla superficie stellare, e dunque causando piccolissime, ma periodiche, variazioni di luminosità. Lo studio delle frequenze delle oscillazioni contiene informazioni sensibili sulla struttura dell’interno stellare, il quale non si potrebbe altrimenti osservare poiché non visibile dall’esterno. «Un risultato evidente dai dati ottenuti nel nostro studio è che le frequenze misurate con i dati di Kepler sono un po’ più elevate di quelle che conosciamo per il Sole, ottenute con osservazioni dedicate» dice a Media INAF Gaulme. «La realtà si è però mostrata un po’ più complessa di quanto anticipato. Dopo aver paragonato i dati di Kepler con quelli dell’osservatorio spaziale SOHO di ESA e NASA, acquisiti nello stesso periodo di osservazione, abbiamo accertato che le proprietà delle oscillazioni del Sole di fatto si sono rivelate leggermente fuori della media prevista in quel periodo». Differenza legata a una proprietà imprescindibile delle oscillazioni di tipo solare, cioè la loro imprevedibilità. Solo l’uso di curve di luce ottenute per tempi osservativi relativamente lunghi garantisce misure delle proprietà stellari più attendibili. «I risultati ottenuti in questo studio confermano da un lato ciò che sappiamo riguardo al Sole dall’eliosismologia, e dall’altro avvalorano l’importanza di utilizzare metodi di analisi dati sofisticati, come quello da me sviluppato e basato sulla statistica di Bayes, per estrarre dal dato osservato il maggior numero di informazioni attendibili anche in condizioni difficoltose» aggiunge Corsaro. «Con questo lavoro abbiamo dunque messo in evidenza l’importanza e l’affidabilità delle misure asterosismiche condotte fino ad oggi su numerosissime altre stelle che popolano la nostra galassia».

Per saperne di più:

 

Articolo originale QUI.

 

Tutto lo staff di Astronomia.com si congratula vivamente con il “nostro” @Enrico Corsaro!

 

 

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Red Hanuman è nato poco tempo prima che l'uomo mettesse piede sulla Luna, e cresciuto a pane e fantascienza. Poteva non sentire il richiamo delle stelle? Chimico per formazione e biologo autodidatta per necessità, ha da sempre desiderato essere un astrofisico per vocazione e diletto, ma non ha potuto coronare il suo sogno. Attualmente, lavora nel settore ambiente. Da pochi anni studia il violino. Perché continua ad usare un nickname? Perché la realtà non può essere richiusa in un nome, e perché πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός : tutto scorre come un fiume. Ma, soprattutto, perché Red Hanuman è chiunque coltiva in sé un desiderio di conoscenza ...

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9 Commenti    |    Aggiungi un Commento

  1. Le prime domande le faccio io: a che livello corrispondono le informazioni che ricaviamo da questo studio? Cioè, riguardano solo gli strati superficiali del Sole, o si va più in profondità?
    Come possono essere impiegati questi dati?

  2. Molte grazie Red per aver preso carico di pubblicare la notizia qui e per i vostri complimenti!

    Il livello di informazione va decisamente più in profondità della sola superficie, ricoprendo la zona convettiva solare. Anche se non discusso nell'articolo Media INAF (perchè altrimenti troppo dettagliato), siamo riusciti a estrarre circa 25 frequenze di oscillazione, le quali possono essere utilizzate per vincolare la struttura solare fino alla base della zona convettiva.

    L'impiego di questi risultati ha sostanzialmente ripercussione su tutti i dati fin'ora utilizzati. Il punto è che bisogna prestare attenzione al livello di rumore presente nei dati e anche a come misuriamo il segnale, quindi anche in base al tipo di modelli utilizzati per riprodurre le osservazioni (come quello del fit in arancione nella figura). In generale abbiamo comunque un esito positivo, che va cioè a confermare che le misure compiute fin'ora su altre stelle rimangono valide. In futuro avremo modo di ripetere questa operazione anche con Urano, e possibilmente con altri telescopi spaziali che andranno in orbita.

  3. I 49 giorni di misure sono serviti solo per rendere più evidenti le variazioni in funzione delle lunghezze d'onda e non per analizzare le variazioni nel tempo. @Enrico Corsaro mi incuriosisce il possibile utilizzo di questi studi, visto che viene fatto anche su stelle lontane. Immagino che siano indicativi della composizione delle stelle.

  4. Citazione Originariamente Scritto da Gaetano M. Visualizza Messaggio
    I 49 giorni di misure sono serviti solo per rendere più evidenti le variazioni in funzione delle lunghezze d'onda e non per analizzare le variazioni nel tempo.
    Lo diciamo un po' diversamente. L'analisi viene fatta nel dominio delle frequenze poichè esso ci permette di identificare i modi di oscillazione in maniera chiara. Se il tempo osservativo (totale) aumenta, il risultato è che miglioriamo la risoluzione in frequenza, e cioè abbiamo più dati da poter usare per uno stesso modo di oscillazione (lo vediamo meglio in pratica, più definito). Nel dominio del tempo questo tipo di analisi è invece difficile perchè le oscillazioni solari hanno un carattere instrinseco di tipo stocastico (imprevedibile), che ne cambia continuamente la distribuzione.

    Citazione Originariamente Scritto da Gaetano M. Visualizza Messaggio
    @Enrico Corsaro mi incuriosisce il possibile utilizzo di questi studi, visto che viene fatto anche su stelle lontane. Immagino che siano indicativi della composizione delle stelle.
    Ci danno moltissime informazioni, principalmente su massa e raggio stellari, poi anche sulla struttura interna (fino a che profondità arriva la zona convettiva, ad esempio), e anche sulla struttura e composizione del nucleo radiativo (se una stella brucia idrogeno in una shell oppure elio nel nucleo, ad esempio). Ci danno anche informazioni sui campi magnetici di superficie, sulla metallicità della stella e sulla temperatura efficace, sull'inclinazione dell'asse di rotazione della stella e sulla velocità di rotazione, sulla rotazione differenziale tra nucleo ed inviluppo esterno, e sui meccanismi di trasporto del momento angolare. Tutto questo sempre sfruttando le proprietà osservative delle oscillazioni stesse.